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Associazione per gli Studi Giuridici sull'Immigrazione
 
 
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Corte d'Appello di Perugia, decreto del 22 novembre 2005

 
rel. Cossu
 

Nel procedimento n. 10/05 C.C. Min. promosso da [...]

Fatto

Con istanza depositata il 5.5.2005 e diretta al tribunale per i minorenni dell'Umbria, [...] cittadino peruviano clandestino in Italia, esponeva di essere coniugato con [...], la quale era residente regolarmente in Perugia, [...]. A seguito della moglie erano giunte in Italia le figlie minorenni [...] e [...], la quale ultima era affetta da "spina bifida, idrocefalo e paraparesi flaccida", malformazione che le imponeva di essere seguita da un centro specialistico (Centro spina bifida di Parma) e di cure riabilitative continue per l'integrazione scolastica e l'accesso agli apprendimenti per l'acquisizione di autonomie. Le conseguenti esigenze familiari comportavano la presenza del padre in Italia per contribuire, con una fonte lecita di sostentamento, alle cure delle figlie, in particolare della minore, anche perché il reddito della moglie, compresso dalle necessità di assistenza, era insufficiente per il nucleo familiare. A tale scopo l'istante aveva già reperito una disponibilità all'assunzione, ma non poteva esserlo per la mancanza di un titolo di soggiorno nel territorio nazionale. L'istante, peraltro, in data 21.10.2002 era stato raggiunto da un provvedimento di espulsione dal territorio nazionale, che era stato oggetto di istanza di revoca e chiedeva al tribunale per i minorenni dell'Umbria di essere autorizzato al soggiorno nel territorio dello Stato italiano.

Il tribunale per i minorenni, sentito l'istante e la consorte ed acquisita relazione dell'Azienda sanitaria locale sulle condizioni della minore [...] con decreto del 7.9.2005, comunicato il 22.9.2005, respingeva l'istanza.

Avverso il provvedimento ha proposto tempestivo (il 10° giorno, 2 ottobre, cadeva di domenica) reclamo, ai sensi dell'art. 739 c.p.c., applicabile nella fattispecie, il [...], con ricorso depositato il 3.10.2005, chiedendone l'integrate riforma. [...]

Diritto

Il T.U. sull'immigrazione e sulla condizione dello straniero (d.lgs. 286/98 mod. d.lgs. 189/02), al Titolo IV, disciplina il diritto all'unità familiare ed alla tutela del minore come aspetto peculiare delle norme sulla materia, enunciando il principio basilare (art. 28, comma 3) per cui in tutti i procedimenti amministrativi e giurisdizionali finalizzati a dare attuazione al diritto all'unità familiare e riguardanti i minori, deve essere preso in considerazione con carattere di priorità il superiore interesse del fanciullo, conformemente a quanto previsto dall'art. 3, comma 1, della Convenzione sui diritti del fanciullo del 20.9.1989.

La disposizione di legge in rassegna, quindi, contiene l'enunciazione esplicita di un doppio principio, che costituisce anche un duplice canone ermeneutico: il diritto al mantenimento od al riacquisto dell'unità delle famiglie straniere e la preminente considerazione, ove presente, dell'interesse del minore.

E' stato peraltro esattamente osservato che questi principi non devono configgere con le altre esigenze fondamentali dell'ordinamento e quindi vanno interpretati in modo da bilanciarsi con esse onde non costituire un grimaldello per lo scardinamento di queste. In tale ottica, peraltro, il primo comma dell'art. 28 riconosce il diritto all'unità familiare alle condizioni previste dal T.U. ed agli stranieri la cui presenza sia regolare.

In attuazione dei principi sopra considerati, il comma 3 dell'art. 31 - norma invocata dall'odierno reclamante - prevede che il tribunale per i minorenni possa autorizzare l'ingresso o la permanenza del familiare per un periodo di tempo determinato per gravi motivi connessi con lo sviluppo psicofisico e tenuto conto dell'età e delle condizioni di salute del minore che si trova nel territorio detto Stato italiano.

Questa autorizzazione è rilasciata anche in deroga alle altre disposizioni del Testo unico.

Nella fattispecie - nella quale non vi è alcun dubbio sulla regolarità della presenza in Italia della minore, della sorella e della madre e non si fa alcuna questione circa l'affidabile personalità dell'istante, valutazione che traspare anche dalle espressioni usate nella comunicazione 3.5.2005 n. 774/2003/Imm. dell'Ufficio territoriale del governo diretta al difensore del ricorrente, di diniego della revoca dell'espulsione - il giudice minorile ha respinto l'istanza sulle seguenti considerazioni: a) la presenza del padre non appare indispensabile, atteso che alle esigenze della minore provvede la madre con qualche aiuto da parte della sorella più grandicella; b) la patologia da cui è affetta [...] comporta una condizione cronica e quindi permanente, confliggente con il carattere transitorio della autorizzazione richiesta, da rilasciarsi solo in vista di circostanze contingenti ed eccezionali, cioè di emergenza.

Il provvedimento reclamato non si sottrae alle censure mosse dal ricorrente, apparendo eccessivamente riduttivo e condizionato dalle pur legittime preoccupazioni, cui si è prima fatto cenno, di evitare che l'autorizzazione si trasformi in uno strumento surrettizio per ottenere, da parte dell'adulto, ingiustificate deroghe alla disciplina sull'ingresso o permanenza dello straniero in Italia.

La necessità di interpretare in modo rigoroso la disposizione in esame discende altresì dalla sua natura di eccezione alla regola, eccezione che investe tanto il campo ordinamentale (competenza del giudice anziché dell'autorità amministrativa) quanto quello socio-familiare (attrazione della posizione dell'adulto da quella del minore), poiché il diritto all'unità familiare si realizza rovesciando la prospettiva secondo l'ottica preminente (se non esclusiva) del minorenne.

La giurisprudenza del Supremo Collegio sul punto, conscia di questa necessità di rigorosa interpretazione del concetto di "gravi motivi", al di là dei contrasti, anche recentissimi, sulla ricorribilità del provvedimento reso dalla sezione per i minorenni della Corte, è apparsa tuttavia coerente (v. Cass. 19.3.2002 n. 3991; Cass. 14.6.2002 n. 8510; Cass. 14.11.2003 n. 17194) nel precisare che, seppure la permanenza sul territorio nazionale dei familiari, anche colpiti da provvedimenti di espulsione, non può essere ricollegata a situazioni aventi carattere di normalità e stabilità, tuttavia le circostanze contingenti ed eccezionali, da valutarsi volta per volta dal giudice di merito in coerenza con il portato normativo che riguarda la gravità dei motivi, non possono sicuramente essere assimilate a ragioni di "emergenza" o di "pericolo attuale", concetti che travalicano anche le intenzioni del legislatore e che rischiano di porre nel nulla le premesse di diritto all'unità familiare garantito al minore in misura fortissima.

E' anche chiaro che il concetto stesso di "unità familiare" non riguarda esclusivamente il minore, le cui esigenze legittimano la deroga, ma si riversano anche ed in primo luogo proprio sui familiari.

In questo contesto argomentativo, dunque, deve ritenersi che la fattispecie sia stata risolta dal giudice di prime cure esulando dai criteri interpretativi forniti dal Giudice di legittimità, dovendosi invece riconoscere alla situazione concreta proprio quei contorni di gravità, nel senso di "eccezionalità" e "contingenza" che giustificano l'applicazione dell'art. 31 T.U., sottolineandosi ancora una volta che la gravità dei motivi va considerata tenendo presente lo stato di salute e l'età della minore.

Ora, in primo luogo, la patologia descritta in narrativa è molto grave in sé, sia per il profilo sintomatico intrinseco, sia per l'aspetto relazionale del paziente, soprattutto in età così tenera come quella di [...] (che ha poco più di 4 anni).

Come emerge dalle relazioni allegate dei Servizi di riabilitazione per l'età evolutiva della U.S.L. n. 2, la minore è affetta da "spina bifida associata a mielomelingocele e idrocefalo". Adeguando il linguaggio medico-scientifico, in concreto la piccola paziente presenta una esposizione degli elementi neuronali con una grave riduzione della motilità volontaria degli arti inferiori, problemi allo svuotamento della vescica con necessità costante di catetere; l'idrocefalo (raccolta di liquido in cavità intracranica con aumento della circonferenza cranica) ha comportato un intervento neurochirurgico con posizionamento di una valvola, che deve essere periodicamente controllata, per permettere il deflusso del liquor cerebrale.

Che la situazione della minore sia di rilievo eccezionale non sembra neppur necessario precisare, trattandosi di circostanza nemmeno valorizzata - in negativo- dal tribunale per i minorenni.

Reputa la Corte che non possa neanche negarsi una situazione di contingenza, nel senso di imprescindibile necessità attuale della presenza del padre della minore.

I Servizi socio-sanitari hanno posto in evidenza come la condizione della minore abbisogni di continue cure coinvolgenti diverse figure professionali (neuropsichiatria infantile, fisioterapista, logopedista, Centro spina bifida di Parma); gli interventi, pur non potendo purtroppo portare ad una normalizzazione, sono diretti a permetterle, anche attraverso la frequentazione della scuola, un accesso agli apprendimenti ed il raggiungimento di autonomie personali, ancorché attraverso l'ausilio di strumenti utili.

Non è possibile negare che il raggiungimento di questi risultati - ben modesti rispetto ad una vita "normale" - rappresenti una necessità vitale ed un diritto insopprimibile del bambino e che essi vadano perseguiti ed intrapresi con maggiore intensità proprio nell'attuale età della minore, in cui le capacità adattative sono migliori e gli stimoli più forti. Altrettanto innegabile è che tali capacità e stimoli possano estrinsecarsi con ben maggiori probabilità di successo in un ambiente familiare completo di tutti i suoi componenti e nel quale, anzi, la figura paterna può assumere un ruolo di supporto, soprattutto psicologico, indispensabile.

Non a caso, le relazioni allegate hanno posto l'accento sulla continuità della presenza, ineluttabile sotto il profilo medico e sulla imprescindibilità della collaborazione domestica. Non può peraltro ragionevolmente sostenersi che tali necessità possano prescindere, anche per la presenza di un'altra figlia di soli 11 anni - cui non può essere attribuito il ruolo di sostegno nel senso voluto dal tribunale - , per le necessità lavorative cui la madre non può con tutta evidenza adeguatamente assolvere da sola, dalla presenza del padre, almeno nel periodo attuale di intrapresa delle iniziative dirette ai risultati di cui si è detto. Il concetto di "contingenza", peraltro, seppure rapportato alla temporaneità dell'autorizzazione, non è certo legato a quello della "immediatezza", trattandosi di risultati il cui consolidamento richiede un certo tempo, che la Corte - la quale non teme di augurarsi una soluzione definitiva al problema dell'unità della famiglia della minore e del ricorrente - reputa di individuare nel periodo di 24 mesi, a decorrere dalla comunicazione della presente decisione.

L'autorizzazione che dunque si concede, essendo derogatoria di tutte le altre disposizioni del T.U., non esclude e meno che meno vieta che il [...] svolga attività lavorativa, essendo anzi connaturata tale esigenza proprio alle ragioni che hanno giustificato il provvedimento, senza contare che tale possibilità è esplicitamente prevista dall'art. 30, comma 2 T.U. immigrazione, applicabile anche in virtù di ordinaria interpretazione estensiva, per l'identità dei presupposti. Il decreto reclamato deve essere dunque riformato, come al dispositivo, mentre non vi è luogo ad alcuna pronuncia sulle spese.

P.Q.M.

la Corte d'appello, in riforma del decreto 7-14.9.2005 del tribunale dei minorenni di Perugia, in accoglimento dell'istanza di [...], letto l'art. 31 d.lgs. n. 286/98, come modificato, autorizza il predetto, quale familiare di [...], a permanere nel territorio dello Stato italiano, per le ragioni di cui in motivazione, per la durata di anni due dalla comunicazione del presente decreto, con possibilità di iscrizione nelle liste di collocamento e svolgimento di lavoro ai sensi del comma 2 art. 30 T.U.; nulla per le spese. [...].