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Associazione per gli Studi Giuridici sull'Immigrazione
 
 
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Tribunale di Brescia, ordinanza del 20 febbraio 2009 n. 198

 
est. Tropeano
 

Il tribunale riunito in Camera di consiglio [...] a scioglimento della riserva assunta all'udienza odierna, osserva.

Sulla questione di nullità del reclamo

La questione sollevata da parte reclamata si fonda sul rilievo che nell'atto di reclamo non risultano specificamente indicati i nomi dei reclamati: la censura, pur formalmente fondata, non può trovare accoglimento in quanto dalla lettura complessiva dell'atto di reclamo emerge chiaramente che il reclamo viene proposto nel confronti di tutti i ricorrenti le cui ragioni hanno trovato pieno accoglimento da parte del giudice della prima fase del giudizio con l'ordinanza oggetto di reclamo.

Sulla questione di giurisdizione

L'eccezione di carenza di giurisdizione sollevata da parte reclamante risulta infondata e deve essere respinta. Invero l'azione promossa dagli odierni reclamati è finalizzata all'accertamento della violazione del principio di parità di trattamento di cui al d.lgs. 215/03; orbene l'art. 4 di tale provvedimento normativo stabilisce espressamente che la tutela giurisdizionale avverso gli atti ed i comportamenti discriminatori si attua nelle forme previste dall'art. 44 del T.U. immigrazione che, al co. 1, fa riferimento anche ai comportamenti posti in essere dalla P.A. e che, al co. 2 precisa che "la domanda si propone con ricorso depositato, anche personalmente dalla parte, nella Cancelleria del pretore (ora tribunale) del luogo di domicilio dell'istante": ne deriva che non si può che ritenere la sussistenza della giurisdizione del giudice ordinario con riguardo alla domanda azionata dagli odierni reclamati anche alla luce del rilievo che, laddove il legislatore ha inteso riservare al giudice amministrativo la giurisdizione in ordine a situazioni discriminatorie lo ha espressamente sancito (cfr. art. 4 co. 7 d.lgs. 215/03).

Sulla questione dello straripamento dei poteri

Anche tale questione risulta infondata e non può trovare accoglimento. Invero l'art. 44 T.U. immigrazione stabilisce espressamente al co. 1 che "Quando il comportamento di un privato o di una P.A. produce una discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi, il giudice può, su istanza di parte, ordinare la cessazione del comportamento pregiudizievole e adottare ogni altro provvedimento idoneo, secondo le circostanze a rimuovere gli effetti della discriminazione"; l'art. 4 del d.lgs. 215/03, poi, prevede al co. 4 che "con il provvedimento che accoglie il ricorso il giudice, oltre a provvedere, se richiesto, al risarcimento del danno anche non patrimoniale, ordina la cessazione del comportamento, della condotta o dell'atto discriminatorio, ove ancora sussistente, nonché la rimozione degli effetti": la lettura integrata delle disposizioni sopra richiamate evidenzia che il giudice chiamato a verificare la natura discriminatoria di un atto o di un comportamento della P.A., in ipotesi di accertamento positivo, "può" e quindi deve disporre in modo che gli effetti discriminatori siano rimossi, con la conseguenza che deve incidere sul contenuto dell'atto amministrativo al fine di rimuoverne gli effetti discriminatori. Non risulta, dunque, ravvisabile alcuno straripamento di poteri essendo previsto normativamente il potere del giudice ordinario di incidere sull'atto amministrativo al fine di eliminare gli effetti della discriminazione. Nel caso di specie la misura adottata dal giudice della prima fase del giudizio (proroga del termine fino al 28.2.2009 per la presentazione delle domande) costituisce l'unico mezzo idoneo a rimuovere gli effetti della discriminazione dell'atto amministrativo istitutivo del bonus bebè.

Sulla questione della natura discriminatoria della delibera

Parte reclamante censura la valutazione operata dal giudice della prima fase del procedimento evidenziando che tale provvidenza non ha, e non potrebbe avere per questioni temporali, natura incentivante bensì natura premiale, con la conseguenza che non potrebbe trovare applicazione il principio di parità di trattamento richiamando, a tale proposito, la giurisprudenza della Corte di cassazione in ordine alla parità di trattamento tra prestatori di lavoro (specificamente Cass. 14465/06): la censura risulta, in realtà, del tutto ininfluente atteso che, indipendentemente dalla qualificazione della natura del "bonus bebè" quale misura incentivante ovvero premiale, risulta evidente che si tratta di una prestazione sociale finalizzata al sostegno delle famiglie nell'ambito delle quali si è verificate una nuova nascita nell'anno 2008. Ne deriva che ogni determinazione della P.A. in tal senso deve essere orientata al principio di parità di trattamento come espressamente previsto dall'art. 3 del d.lgs. 215/03. Ne deriva ulteriormente che l'attribuzione del bonus bebè alle sole famiglie composte da cittadini italiani o, quantomeno, da un cittadino italiano costituisce violazione del principio di parità di trattamento e comporta, conseguentemente, in capo al giudice chiamato a verificare della natura discriminatoria dell'atto il potere/dovere di disporre in modo che gli effetti della discriminazione siano rimossi.

Sull'erronea interpretazione degli artt. 3 e 4 d.lgs. 215/03

A tale proposito parte reclamante evidenzia che, secondo lo stesso d.lgs. 215/03, non possono ritenersi discriminatorie le differenze di trattamento che siano giustificate oggettivamente da finalità legittime: il principio posto dal d.lgs. sulla parità di trattamento, pienamente condivisibile in linea astratta, non risulta in alcun modo applicabile alla fattispecie oggetto del presente procedimento in quanto la finalità di favorire il sostentamento dei gruppi familiari composti da soli cittadini italiani o quantomeno da un cittadino italiano per la nascita avvenuta nell'anno 2008 non può essere ritenuta legittima in quanto discriminatoria in sé. Né può dirsi che, in ragione della natura premiale del bonus, questo potrebbe essere discrezionalmente attribuito dal Comune senza alcun vincolo di parità di trattamento: al di là del fatto che il premio ha natura ad personam e trova ragione nella specifica condizione del premiato, nel caso in esame il Comune ha individuato i destinatari del bonus non in singoli soggetti, bensì negli indistinti gruppi familiari nell'ambito dei quali si è verificata una nascita nell'anno 2008 con la conseguenza che ha attribuito alla provvidenza natura di prestazione sociale e con l'ulteriore conseguenza che, in forza del richiamato art. 3, trova applicazione il principio di parità di trattamento.

Sulla revoca della delibera istitutiva del bonus bebè

La revoca della delibera istitutiva del bonus bebè risulta del tutto irrilevante ai fini della decisione del presente giudizio in quanto non muta le questioni poste in discussione dagli odierni reclamati, ponendo, al più la questione della legittimità o meno della disposta revoca.

Sul carattere sanzionatorio del provvedimento impugnato

Sotto tale profilo parte reclamante censura l'impugnato provvedimento per aver disposto la pubblicazione su uno dei principali organi della stampa nazionale e per l'eccessiva condanna alle spese. Sotto il primo profilo la censura mossa da parte reclamante risulta infondata e deve essere respinta essendo stato espressamente previsto dal legislatore che "il giudice può ordinare la pubblicazione della sentenza di cui ai co. 4 e 5, a spese del convenuto, per una sola volta su un quotidiano di tiratura nazionale" (art. 4, co. 6, d.lgs. 215/03).

Risulta, invece, fondata la censura relativa alla liquidazione delle spese della prima fase del giudizio che, in assenza di nota spese, ed in considerazione della natura della controversia e delle attività processuali espletate devono essere liquidate in complessivi € 3.000,00 oltre rimborso spese generali, IVA, se dovuta, e CNPA, di cui € 100,00 per spese, € 1.400,00 per diritti ed € 1.500,00 per onorari.

Considerazioni finali

Dal complesso delle considerazioni suesposte discende che l'impugnata ordinanza deve essere confermata in tutte le sue parti ad eccezione di quella relativa al capo delle spese che deve essere riformato nei termini sopra esplicitati.

Residua la pronuncia in ordine alle spese della presente fase del giudizio che, in considerazione della natura della controversia e delle attività processua1i espletate sono liquidate in complessivi € 2.000,00 oltre rimborso spese generali, IVA, se dovuta, e CNPA, di cui € 50,00 per spese, e 950,00 per diritti ed € 1.000.00 per onorari.

P.Q.M.

in parziale riforma dell'impugnata ordinanza liquida le spese di lite della prima fase del giudizio in complessivi € 3.000,00 oltre rimborso spese generali, IVA, se dovuta, e CNPA, di cui € 100,00 per spese, € 1.400,00 per diritti ed € 1.500,00 per onorari; 2) conferma nel resto l'impugnata ordinanza; 3) condanna i reclamanti a rifondere ai reclamati le spese di lite anche della presente fase del giudizio liquidate in complessivi € 2000, oltre rimborso spese generali, IVA, se dovuta, e CNPA, di cui € 50,00 per spese, € 950,00 per diritti ed € 1000,00 per onorari.