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Corte d'Appello di Bologna, sentenza del 10 aprile 2006 n. 181

 
rel. Varriale
 

Nella causa d'appello - avverso la sentenza del tribunale di Reggio Emilia n. 514 del 29.9/18.10.2004 - iscritta al n. 1235/04 R. G. lavoro tra [...] (appellante) e [...] (appellata).

Svolgimento del processo

Con la sentenza indicata in epigrafe, il tribunale di Reggio Emilia ha respinto il ricorso con cui [...] aveva chiesto dichiararsi l'illegittimità - per carenza di giusta causa, anche sotto il profilo dell'eccessività della sanzione, con la conseguente tutela ripristinatoria e risarcitoria ex art. 18 l. 300/70 - del licenziamento disciplinare in tronco, che la [...] gli aveva intimato 1'8.1.2002 ritenendo ingiustificata l'assenza, superiore a tre giorni, determinata dal ritardo con cui era rientrato al lavoro dopo un periodo di ferie. In particolare, dopo aver precisato che l'individuazione da parte del ccnl - come nella specie, in relazione all'assenza ingiustificata per tre giorni consecutivi - di una giusta causa di licenziamento non impedisce la valutazione della proporzionalità tra addebito e sanzione con riferimento all'entità soggettiva ed oggettiva del fatto, il tribunale ha ritenuto sussistenti sia la "rilevante entità oggettiva" dell'assenza, perché di dieci giorni e quindi abbondantemente superiore ai tre giorni previsti dal ccnl, che la "non trascurabile gravità soggettiva della stessa", in quanto traente causa da una "colpa grave del lavoratore": in particolare, perché non era risultato provato quanto allegato da quest'ultimo circa l'aver ricevuto assicurazioni dal capo reparto sullo spostamento dell'intero periodo di ferie per effetto della posticipazione del relativo giorno iniziale. Muovendo dalla sussistenza di un'originaria richiesta scritta di assenza per ferie e permessi dal 20.9 al 7.12, con rientro al lavoro il 10.12, autorizzata dall'ufficio del personale e con successiva annotazione a mano "a casa dal 26.9", il tribunale ha infatti in primo luogo evidenziato come l'istruttoria testimoniale avesse confermato che le richieste di assentarsi per periodi superiori a quelli corrispondenti alle ferie maturate dovessero essere autorizzate dall'ufficio del personale e non avesse invece confermato quanto dedotto dal lavoratore circa la presentazione di una successiva richiesta scritta di spostamento del periodo già autorizzato. Sul punto ha precisato che la deposizione del teste [...], all'epoca dei fatti capo reparto del lavoratore ed ormai in pensione al momento del giudizio, era del tutto collimante con la dichiarazione scritta da lui in precedenza resa all'azienda e dalla quale restava escluso che il lavoratore avesse presentato a lui una richiesta scritta per lo spostamento dell'intero periodo di assenza, mentre l'annotazione - sull'originaria richiesta scritta - della protrazione dell'inizio delle ferie ben si accordava con un'autorizzazione susseguente ad una richiesta verbale. Ha poi sottolineato come dall'istruttoria fosse pure emerso che il lavoratore, in Italia da dieci anni, comprendesse in maniera discreta e sufficiente l'italiano, per cui era da ritenersi pienamente affidabile la deposizione del [...].

Avverso tale sentenza, con ricorso depositato il 4.12.2004, ha proposto appello [...] denunciandone l'ingiustizia e chiedendone la riforma, con l'accoglimento delle conclusioni trascritte in epigrafe. Radicatosi nuovamente il contraddittorio, si è costituita in giudizio la [...] e si è opposta all'accoglimento del gravame, eccependone la infondatezza. [...].

Motivi della decisione

1) A sostegno del gravame l'appellante deduce che il tribunale ha erroneamente valutato quanto emerso dall'istruttoria testimoniale esperita che, anche alla luce della documentazione prodotta, porta ad una ricostruzione dei fatti diversa da quella su cui si fonda la sentenza impugnata: in particolare, va esclusa la veridicità o comunque la piena attendibilità e precisione della deposizione del teste [...], capo reparto all'epoca dei fatti, tenendo anche presente che dalla dichiarazione da lui resa all'azienda - e da questa prodotta in giudizio - emerge che con tale dichiarazione il [...] replicò ad un addebito mosso nei suoi confronti e che pertanto, in giudizio, si è poi trovato a dovere escludere l'eventualità di una propria responsabilità risarcitoria. Aggiunge che, pur volendo ritenere vera la versione dei fatti fornita dal [...], è verosimile che egli non si sia spiegato bene nel rappresentare le sue esigenze di viaggio o abbia mal compreso le assicurazioni ricevute dal capo reparto e dall'azienda; a tale riguardo sottolinea che dall'istruttoria è anche emerso come non comprendesse bene l'italiano.

La parte appellata eccepisce che le circostanze su cui l'appellante fonda le sue pretese per la riforma della sentenza impugnata non possono tutte considerarsi note e certamente non configurano elementi idonei alla prova per presunzioni ai sensi dell'art. 2729 c.c. Al riguardo, rileva che dall'istruttoria testimoniale non è emerso che il lavoratore portò in azienda e mostrò a qualcuno il programma di viaggio, mentre è rimasto certamente confermato che il [...] non aveva il potere di autorizzare le ferie in questione, ma occorreva l'autorizzazione dell'ufficio del personale: è stato quindi autorizzato il solo spostamento della data iniziale del periodo feriale, come risulta dalla annotazione a mano sull'originaria richiesta scritta presentata dall'appellante, e la deposizione del [...] è da ritenersi pienamente attendibile e veritiera, con la conseguente sussistenza dell'addebito a suo tempo mosso all'appellante. Evidenzia inoltre come vi sia pure proporzione tra il fatto e la sanzione, perché il ccnl prevede il licenziamento per un'assenza ingiustificata di tre giorni consecutivi, mentre l'assenza dell'appellante è stata di dieci giorni e tale quindi da configurare la gravità oggettiva del fatto. Come pure ritenuto dal tribunale, sottolinea infine che la gravità inerente il profilo soggettivo dell'infrazione - e segnatamente la prova dell'intenzionalità di quest'ultima - emerge dal rilievo che il lavoratore era in Italia da 10 anni e sapeva che doveva chiedere l'autorizzazione scritta per ferie così lunghe, mentre il [...] ha escluso di aver ricevuto una richiesta scritta di spostamento delle ferie.

2) Prima di esaminare le contrapposte tesi delle parti è opportuno premettere che in materia di licenziamento disciplinare la Corte di cassazione ha più volte ribadito che "la valutazione della proporzionalità tra il fatto addebitato al lavoratore e il licenziamento disciplinare costituisce apprezzamento di fatto che deve essere condotto non in astratto ma con specifico riferimento a tutte le circostanze del caso concreto, inquadrando l'addebito nelle specifiche modalità del rapporto e tenendo conto non solo della natura del fatto contestato e del suo contenuto obiettivo ed intenzionale, ma anche di tutti gli altri elementi idonei a consentire l'adeguamento della disposizione normativa dell'art. 2119 c.c. alla fattispecie concreta" (Cass. 10.1.2004 n. 215; cfr. pure Cass. 20.8.2003 n. 12273, Cass. 15.2.2003 n. 2336, Cass. 26.5.2001 n. 7188, Cass. 14.5.1998 n. 4881).

In particolare, nell'applicazione del criterio dettato dall'art. 2106 c.c. delle proporzionalità della sanzione disciplinare alla sanzione contestata, occorre tener presente che "la previsione di ipotesi di giusta causa di licenziamento contenuta in un contratto collettivo non vincola il giudice, dato che questi deve sempre verificare, stante la inderogabilità della disciplina dei licenziamenti, se quella previsione sia conforme alla nozione di giusta causa, di cui all'art. 2119 c.c., e se, in ossequio al principio generale di ragionevolezza e di proporzionalità, il fatto addebitato sia di entità tale da legittimare il recesso, tenendo anche conto dell'elemento intenzionale che ha sorretto la condotta del lavoratore, salvo il caso in cui il trattamento contrattuale sia più favorevole al lavoratore" (Cass. 19.8.2004 n. 16260; cfr. pure Cass. 27.9.2002 n. 14041, Cass. 21.5.1998 n. 5103, Cass. 16.2.1998 n. 1604, Cass. 2.7.1992 n. 8098, Cass. 13.6.1984 n. 3522, Cass. 12.1.1983 n. 203, Cass. 3.11.1980 n. 5880).

Nella fattispecie in esame è certo che l'appellante, il quale al momento dei fatti oggetto di causa lavorava da circa dieci anni in Italia nello stesso stabilimento, aveva sempre cumulato le ferie unendovi anche permessi non retribuiti per poter rientrare in Ghana, proprio Paese d'origine e dove risiede la sua famiglia, e restarvi un periodo di tempo sufficientemente lungo, anche per ammortizzare le spese del viaggio. A tal fine egli era tenuto a formulare una richiesta scritta, con l'indicazione dell'intero periodo d'assenza, che doveva essere autorizzato non dal capo reparto ma dall'ufficio del personale. Tali circostanze, oltre ad essere pacifiche tra le parti, sono state anche confermate nel corso dell'istruttoria testimoniale esperita, dalla quale è pure emerso che il capo reparto, [...], quando seppe dall'appellante che questi avrebbe dovuto ritardare di quattro o cinque giorni le proprie ferie perché non: aveva trovato un volo disponibile per il giorno originariamente programmato, lo invitò a concordare lo spostamento con l'ufficio del personale dicendogli che per il lavoro non c'era alcun problema. Lo stesso capo reparto ha poi confermato la dichiarazione, prodotta dall'azienda, da lui rilasciata a quest'ultima prima del giudizio e dopo il suo pensionamento, intervenuto il 31.12.2001, come si desume dal riferimento a tale ultima circostanza ivi menzionata. Il contenuto di detto documento è particolarmente interessante per la controversia in esame, perché in esso il [...], puntualizzando - due volte - di replicare agli "addebiti" mossigli, precisa, in particolare, che il "periodo richiesto dal sig. [...] era originariamente dal 20.9.2001 al 9.10.2001 di ferie con esaurimento delle ore spettanti e dal 10.10.2001 al 7.12.2001 con permesso non retribuito e rientro previsto per il 10.12.2001 in quanto 1'8 e il 9.12.2001 non erano giorni lavorativi"; aggiunge poi che in "seguito il sig. [...]" gli "chiese verbalmente di poter spostare in avanti l'inizio del periodo di ferie al giorno 26.9.2001, richiesta che fu inoltrata sempre verbalmente alla direzione del personale ed il sig. [...] fu autorizzato solo a proseguire il lavoro fino al 25.9.2001 ... non è mai stato autorizzato da me a spostare in avanti anche la data del rientro dell'assenza".

Pur prescindendo dal rilievo che il [...] era stato chiamato a rendere conto del proprio comportamento in relazione ad addebiti connessi al tardivo rientro in azienda dell'odierno appellante, la suddetta dichiarazione - oltre ad evidenziare che la richiesta del lavoratore di spostare l'inizio del periodo feriale fu trasmessa verbalmente alla direzione e da questa accettata, pur in carenza di forma scritta, e che pertanto in azienda vi erano rapporti di correttezza che portavano talvolta a derogare alle rigide disposizioni concernenti la concessione delle ferie - consente di verificare che il periodo di assenza originariamente autorizzato dalla direzione all'odierno appellante, su sua richiesta, era molto più lungo di quello feriale spettante al [...] e denota, quindi, che questi aveva un forte interesse a rimanere nel Paese d'origine per un lungo periodo: era disposto, infatti, ad accollarsi l'onere di molti giorni di permesso non retribuito. Proprio per il normale interesse del lavoratore a prolungare il periodo feriale al fine di restare il più possibile nel Paese d'origine, come già era accaduto negli anni precedenti (cfr. quanto precisato dal [...] rispondendo al cap. 10 di parte ricorrente), era del tutto logico e normale però, a fronte di una richiesta di spostamento del periodo iniziale dell'assenza concordata, presumere o quanto meno non escludere una corrispondente traslazione pure di quello finale: appare, pertanto, almeno strano che nessuno - né il caporeparto, né l'ufficio del personale, nel ricevere la richiesta verbale di spostamento dell'inizio del periodo di assenza - abbia chiesto al lavoratore se ne restasse conseguentemente interessato pure il giorno previsto per la ripresa del lavoro.

A tale riguardo non occorre inoltre trascurare che il [...], nel corso della propria deposizione testimoniale, ha anche precisato che, per quanto è a sua conoscenza, l'odierno appellante "non è in grado di esprimersi e di comprendere perfettamente la lingua italiana" (cfr. la risposta al cap. 11 di parte ricorrente).

Pur dovendo quindi ritenere che il [...], avendolo questi espressamente escluso anche nel corso della propria deposizione testimoniale, non abbia "detto al [...] che spostata la data di inizio del periodo feriale doveva intendersi analogamente spostata, la data di rientro", è però del tutto probabile che l'odierno appellante, in buona fede, abbia ragionevolmente ritenuto che pure la data del rientro venisse a protrarsi, anche perché lo stesso [...] non ha mai precisato - né con la dichiarazione resa all'azienda e da questa prodotta in giudizio, né nel corso della deposizione testimoniale - di aver puntualizzato al lavoratore che il termine finale del periodo di assenza restava fermo, come precedentemente programmato.

A questo si aggiunga che, quando chiese di spostare il periodo feriale precedentemente accordatogli, l'odierno appellante aveva con sé, in azienda, il programma di viaggio con le nuove date sia del volo di partenza dall'Italia, che di quello per il rientro (cfr. quanto emerso dall'istruttoria e segnatamente quanto riferito dal teste [...] in merito ad un biglietto dattiloscritto, nonché la relativa copia da lui prodotta dal [...]).

Se è pur vero quindi che il [...] ha escluso di aver visto tale programma di viaggio, non può però essere trascurato, per una corretta valutazione dell'elemento soggettivo del lavoratore, che questi era indubbiamente a conoscenza anche della necessità di dover spostare pure la data originariamente fissata per il rientro ed appare poco credibile che volutamente non abbia chiesto anche tale ultimo spostamento.

Quel che però più rileva ai fini di causa è che è del tutto verosimile, anche tenendo conto della non buona conoscenza dell'italiano da parte dell'odierno appellante, che quest'ultimo abbia inteso - o frainteso - che lo spostamento concordato del periodo feriale riguardasse pure la data del rientro, in relazione al nuovo volo che aveva a tal fine reperito, e non può quindi ritenersi che fosse in malafede quando rientrò in azienda dopo il termine originariamente comunicatogli. In altri termini, a fronte di quanto sin qui evidenziato, resta escluso l'elemento soggettivo della gravità dell'infrazione da lui commessa e, conseguentemente, la proporzione tra il fatto e la sanzione irrogatagli.

A tale riguardo resta solo da precisare che la mancanza di proporzionalità tra il fatto ed il licenziamento disciplinare emerge anche sotto altro profilo. Tenendo presente, infatti, quanto sopra evidenziato circa l'assenza di rigidità dell'azienda in ordine al rispetto della forma scritta per le richieste di variazioni dei periodi feriali autorizzati e considerando che per anni l'odierno appellante aveva sempre osservato tale procedura di richiesta scritta e non aveva mai dato adito a contestazioni circa il suo rientro in azienda dopo le ferie, quest'ultima, nel rispetto dei principi di correttezza e buona fede, avrebbe dovuto adottare una maggior cautela nel ritenere negligente e grave il mancato tempestivo rientro del lavoratore: soprattutto sapendo - o potendo facilmente conoscere, anche tramite gli altri dipendenti - che l'odierno appellante era andato nel suo Paese d'origine e che non aveva una buona conoscenza della lingua italiana, per cui non poteva escludersi qualche fraintendimento nel concordare lo spostamento del periodo di assenza autorizzato.

3) A fronte di quanto sin qui evidenziato, il licenziamento è pertanto carente di giusta causa e - tenendo conto dell'assenza della volontà dell'odierno appellante di non rispettare la disciplina aziendale concernente l'autorizzazione dei periodi di ferie - anche di giustificato motivo.

L'appello è pertanto fondato e va integralmente accolto, con la conseguente riforma della sentenza impugnata. Risultando incontroversa tra le parti la sussistenza dei presupposti per l'applicabilità dell'art. 18 l. 300/70, la società appellata va condannata a reintegrare l'appellante nel posto di lavoro ed a risarcirgli il danno in misura pari alle retribuzioni dalla data del licenziamento a quella dell'effettiva reintegrazione, con rivalutazione monetaria - secondo l'indice ISTAT di cui all'art. 150 disp. att. c.p.c. (cfr. pure l'art. 54, co. 12, l. 449/97) - ed interessi legali dalle singole scadenze retributive al saldo, nonché a versare in suo favore i contributi assistenziali e previdenziali per lo stesso periodo. In ragione della soccombenza, la società appellata va condannata a pagare alla parte appellante le spese di entrambi i gradi del giudizio, liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

la Corte, ogni contraria istanza disattesa e respinta, definitivamente decidendo, accoglie l'appello proposto da [...] avverso la sentenza del tribunale di Reggio Emilia n. 514 del 29.9/18.10.2004 e, in riforma della stessa, dichiara l'illegittimità del licenziamento intimato dalla parte appellata alla parte appellante con lettera datata 8.1.2002; ordina alla parte appellata di reintegrare la parte appellante nel posto di lavoro; condanna la parte appellata a pagare alla parte appellante, a titolo di risarcimento del danno per l'illegittimo licenziamento un'indennità pari alle retribuizioni dalla data del licenziamento a quella dell'effettiva reintegrazione, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali, nonchè a versare i contributi assistenziali e previdenziali per lo stesso periodo; condanna la parte appellata a rifondere alla parte appellante le spese di entrambi i gradi del giudizio [...].