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Associazione per gli Studi Giuridici sull'Immigrazione
 
 
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Tribunale di Biella, ordinanza del 2 gennaio 2007

 
est. Brovarone
 

Rg. 785106 C.C. Il giudice, a scioglimento della riserva assunta all'udienza del 30.9.2006, nella procedura sopra emarginata, avente ad oggetto l'azione civile contro la discriminazione, promossa da [...] contro la Presidenza del Consiglio dei Ministri, contro il Ministero dell'interno e contro il Ministero dell'economia e delle finanze.

Letto il ricorso e gli atti di costituzione delle amministrazioni dello Stato, a mezzo della difesa erariale, nonché gli allegati; sentite le parti nell'udienza camerale del 30.9.2006, ove ciascuna di esse concludeva in conformità ai rispettivi scritti, ovvero il ricorrente chiedeva l'accoglimento del ricorso, previa remissione degli atti alla Corte costituzionale per ottenere pronunciamento sull'illegittimità dell'articolo 1 comma 333 della legge 23.12.2005, n. 266. L'avvocatura dello Stato, dall'altra parte, chiedeva dichiararsi la carenza di legittimazione passiva del Ministero dell'interno e il rigetto della domanda in relazione alle altre parti.

Osserva

1. La genesi del ricorso, oggetto di valutazione, risiede nella comunicazione della Presidenza del Consiglio dei Ministri, con la quale la neonata [...], figlia di [...] veniva informata che la legge finanziaria per il 2006, le aveva riservato un bonus di euro 1.000, da riscuotere a cura dei genitori presso l'ufficio postale di Biella 6, via Ivrea, 13.

1.2. La comunicazione, a firma dell'allora Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, si fondava sul disposto normativo introdotto con la legge 23.12.2005, n. 266 - Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2006) - all'articolo 1, commi da 330 a 334.

1.3. Il ricorrente lamenta, nel proprio scritto difensivo, con toni a tratti acrimoniosi verso la Presidenza del Consiglio, che non ebbe a ricevere il c.d. bonus bebè, come prospettato dall'on.le Silvio Berlusconi nella sua qualità di Presidente del Consiglio dei Ministri, posto che, prima gli uffici postali deputati alla materiale corresponsione della citata somma e, poi, il Ministero dell'economia e delle finanze ebbero a ritenere illegittima la richiesta avanzata, assumendo che la cittadinanza della minore costituisse impedimento all'erogazione della provvidenza.

1.3.1. In effetti, dall'esame degli allegati presentati dal ricorrente emerge che il Ministero dell'economia e delle finanze, formalmente intimato a provvedere all'erogazione della somma di euro 1.000, di cui alla comunicazione della Presidenza del Consiglio, con propria missiva del 7.4.2006, a firma del capo dipartimento Giancarlo Del Bufalo, respingeva la richiesta, adducendo quale giustificazione l'assenza dei requisiti di legge in capo alla minore. In particolare elemento discriminante, nel caso di specie, per ricevere il beneficio economico era il possesso della cittadinanza italiana.

La minore, in quanto cittadina egiziana, non poteva ottenere la provvidenza prevista dalla legge finanziaria per il 2006, giusto il disposto della stessa norma.

1.3.2. II ricorrente, pertanto, in qualità di genitore legale rappresentante [...] ricorre facendo leva sulle norme che tutelano i cittadini stranieri contro le discriminazioni per motivi razziali, etnici o religiosi. Nello specifico, con articolate allegazioni, il ricorrente evidenziava la ingiustificata e, pertanto, discriminatoria disparità di trattamento riservata dalla legge ai neonati a seconda della cittadinanza. A dire dell'istante la norma che attribuisce la provvidenza economica sopra menzionata ai soli cittadini italiani sarebbe passibile di contrasto con i principi costituzionali che presidiano i valori dell'inviolabilità dei diritti umani, dell'uguaglianza e della famiglia. Conseguentemente proponeva questione di costituzionalità della norma ravvisandone la non manifesta infondatezza e sollecitando, pertanto, questo giudice a rimettere gli atti alla Corte costituzionale per le determinazioni del caso.

1.3.3. Erano, quindi, evocati in giudizio, su istanza del ricorrente medesimo, la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Ministero dell'economia e delle finanze e il Ministero degli interni, in persona del Presidente del Consiglio e dei rispettivi titolari dei due dicasteri sopra citati.

1.3.4 All'udienza del 30.9.2006, fissata da questo giudice per la discussione del ricorso, si costituiva l'avvocatura dello Stato, per tutte e tre le amministrazioni statali, chiedendo il rigetto del ricorso, previa estromissione del Ministero degli interni, per carenza di legittimazione passiva dello stesso. L'avvocatura sosteneva, poi, che nessun comportamento discriminatorio sarebbe imputabile all'amministrazione la quale si sarebbe limitata a dare attuazione alla previsione legislativa, accertando che la richiedente non aveva i requisiti per accedere al beneficio. In ultimo, la difesa erariale evidenziava l'assenza di contrasto tra la norma in discorso ed i principi costituzionali sull'assunto della legittimità della scelta legislativa sotto il profilo del bilanciamento tra l'esigenza di estendere il più possibile il beneficio in discorso e le necessità di contenimento della spesa pubblica. Tale criterio di scelta, secondo l'avvocatura dello Stato sarebbe privo di elementi irrazionali e, quindi, pienamente giustificabile.

2. In via preliminare va affrontata la questione relativa alla richiesta di estromissione del Ministero dell'interno per carenza di legittimazione passiva dello stesso, ricordando che la "legitimatio ad causam", attiva e passiva, consiste nella titolarità del potere e del dovere di promuovere o subire un giudizio in ordine al rapporto sostanziale dedotto in causa, mediante la allegazione di fatti in astratto idonei a fondare il diritto azionato, secondo la prospettazione dell'attore, prescindendo dall'effettiva titolarità del rapporto dedotto in causa, con conseguente dovere del giudice di verificarne l'esistenza in ogni stato e grado del procedimento.

2.1. L'eccezione sollevata dalla difesa erariale deve essere accolta posto che, già dalla semplice prospettazione di parte, non si comprende quale siano i fatti che darebbero luogo ad agire nei confronti del Ministero degli interni, quale titolare di una qualsivoglia posizione nei confronti del diritto azionato. Nessuna condotta del Ministero degli interni è stata portata a rilievo come discriminatoria, anzi il ricorso non evidenzia alcunché in ordine ad eventuali azioni poste in essere dal citato dicastero.

2.2. Il grossolano errore nella vocatio, commesso da parte ricorrente giustifica la condanna dell'[...] al pagamento delle spese di giudizio in favore del Ministero dell'interno per l'importo che verrà indicato nel dispositivo.

3. Passando, ora, ad esaminare la centralità della domanda posta dal ricorrente, questo giudice ritiene che il ricorso debba dirsi fondato, ma per ragioni diverse da quelle evidenziate dall'istante.

Non vi è alcuna questione di legittimità costituzionale da sollevare essendo sufficiente interpretare la norma non come avulsa dal contesto ordinamentale, bensì come tassello di una struttura razionale e coerente con la quale è necessario raffrontarsi, perché qualunque disposto legislativo necessita sempre di una lettura sistematica.

La detta lettura porrà in evidenza la legittimità del comportamento della Presidenza del Consiglio che, attraverso la missiva sopra citata, informava la figlia del ricorrente del diritto all'accesso al "c.d. bonus bebè", mentre evidenzierà la illegittimità, per presumibile imperizia nell'interpretazione normativa, del comportamento tenuto dal Ministero dell'economia e delle finanze nel rifiutare il pagamento della provvidenza; comportamento che ha, pertanto, ingiustamente discriminato lo straniero ricorrente sulla scorta della cittadinanza.

3.1. I commi da 330 a 334 dell'articolo 1 della legge 266/05, intitolati "Sostegno alle famiglie" hanno il dichiarato scopo di «assicurare la realizzazione di interventi volti al sostegno delle famiglie e della solidarietà per lo sviluppo socio-economico ... ». Tale norma trova il suo radicamento costituzionale di livello generale nel dovere che grava sulla Repubblica di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione, politica, economica e sociale dei paese. Nello specifico, poi, la norma è declinata nella sua proposizione programmatica con l'articolo 31 della Carta costituzionale, nella parte in cui prevede che «la Repubblica agevola con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l'adempimento dei compiti relativi ... » al fine di sostenere i genitori nel diritto-dovere di mantenere, istruire ed educare i figli.

3.1.2. La legislazione ordinaria che nasce dai principi programmatici di natura costituzionale sopra evidenziati è dogmaticamente definita come legislazione di assistenza sociale. La comunità repubblicana si incarica, così, di supportare i soggetti economicamente e socialmente svantaggiati al fine di sviluppare al meglio ogni persona che è un valore in quanto tale.

3.2. Ciò premesso, inquadrata la "misura economica" di cui sopra tra le norme di assistenza sociale rivolte in questo caso alla famiglia quale società naturale fondata sul matrimonio, è opportuno, ora, verificare se gli stranieri regolarmente soggiornanti in Italia possano accedere all'assistenza sociale, tenuto conto che la Carta costituzionale è stata dettata in via diretta per i cittadini italiani e a questi fa riferimento in modo espresso.

3.2.1. Ne consegue che è nostro compito interrogarci sulla condizione giuridica dello straniero all'interno dell'ordinamento nazionale.

A mente dell'articolo 10 della Carta costituzionale la condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali. Tale, quindi, è il principio che ci deve orientare nella nostra analisi sistematica al fine di rispondere al quesito sopra evidenziato.

La norma di rango costituzionale è affiancata dall'articolo 16 delle disposizioni sulla legge in generale che ammette lo straniero a godere dei diritti civili attribuiti al cittadino, a condizione di reciprocità e salve le disposizioni contenute in leggi speciali.

3.2.2. Alla luce di quanto sopra è, pertanto, necessario verificare se esistono, all'interno dell'ordinamento, leggi ordinarie che si occupino di regolamentare la condizione giuridica dello straniero ed il suo eventuale accesso al godimento dei diritti civili attribuiti al cittadino, all'infuori di improbabili ipotesi di reciprocità nell'ambito della questione che ci interessa.

3.3. La normativa base in materia di stranieri è, oggi, il d.lgs. 25.7.1998, n. 286, denominato "Testo Unico delle disposizioni concernenti la disciplina della immigrazione e norme sulla condizione dello straniero" che all'articolo 1, richiamato espressamente l'articolo 10 della Costituzione, precisa che le norme del T.U., si applicano, salvo diversa disposizione, ai cittadini di Stati non appartenenti all'Unione europea.

Ne consegue che il nostro caso dovrà trovare soddisfazione all'interno della disciplina sopra indicata che costituisce attuazione diretta del dettato costituzionale in materia di condizione giuridica dello straniero.

3.3.1. Nell'ambito delle norme del citato Testo unico si rileva che allo straniero in quanto uomo sono riconosciuti i diritti fondamentali della persona umana, previsti dalle norme di diritto interno, dalle convenzioni internazionali in vigore e dai principi di diritto internazionale generalmente riconosciuti. Mentre lo straniero regolarmente soggiornante nel territorio dello Stato gode anche dei diritti in materia civile attribuiti al cittadino italiano, salva diversa disposizione delle convenzioni internazionali e dello stesso Testo unico.

3.3.2. La previsione di cui al comma 2 del citato articolo 2, alquanto ampia nella sua formulazione, è chiaramente volta a eliminare ogni disparità di trattamento tra il cittadino e lo straniero regolarmente soggiornante, ovvero titolare di un qualsivoglia permesso di soggiorno o, carta di soggiorno. I commi 3 e 5 ne sono una chiara conferma. Nessuna disparità di trattamento ci deve essere nel campo dei rapporti di lavoro, nell'accesso ai pubblici servizi, nei rapporti con la pubblica amministrazione e nella tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi.

Il riconoscimento del diritto - dovere dello straniero alla partecipazione alla vita pubblica locale è un ulteriore punto fermo dell'intenzione del legislatore di addivenire ad una forte integrazione tra cittadini e stranieri regolari, riducendo al minimo gli elementi di discrimine fondati sulla cittadinanza, quasi che tale concetto abbia, in qualche maniera, perso il suo ruolo centrale nella vita associata, a causa della forte presenza sul territorio nazionale di comunità straniere, sempre più numerose, che si presentano fortemente vitali e intenzionate a partecipare alla vita comune.

3.3.3. Alla luce di quanto sopra e per la soluzione del caso in esame è, ora, necessario riflettere sulla possibilità di ricomprendere la misura economica dell'assegno di 1.000 euro, dettata a tutela della famiglia, nell'ambito dei diritti in materia civile di cui gode il cittadino italiano. Se così fosse, alla luce del principio generale imposto dal comma 2 del citato articolo 2, anche allo straniero regolarmente soggiornante dovrebbe riconoscersi l'accesso ai benefici derivanti dalla legislazione di assistenza sociale, data l'equiparazione esplicita tra le due figure che porta a leggere il termine cittadino in maniera più ampia.

3.3.3. La questione pertanto verte sull'interpretazione e sulla portata del sintagma "diritti in materia civile". Non esiste nel nostro ordinamento un'elencazione chiusa, avente carattere di esaustività, dei c.d. diritti civili che, peraltro, si possono individuare dalla lettura sistematica della Carta costituzionale nella parte dedicata ai principi fondamentali e ai diritti e doveri dei cittadini.

3.3.4. L'esame delle norme costituzionali citate, secondo concordi letture dottrinarie e giurisprudenziali, ci porta a ritenere che tra i diritti civili di cui gode il cittadino italiano vi sia sicuramente quello di accedere all'assistenza sociale, posto che la stessa è informata alla diretta rimozione degli ostacoli di ordine economico e sociale che impediscono il pieno sviluppo della persona umana.

3.3.5. Ne consegue che, la lettura sino a qui fatta del complesso sistematico normativo in materia di condizione giuridica dello straniero ci conduce ad affermare il principio secondo cui lo straniero regolarmente soggiornante ha diritto di godere dell'assistenza sociale riservata al cittadino, salvo diversa disposizione del Testo unico. Si noti che il legislatore pare aver posto un limite alla sua possibilità di prevedere eccezioni al detto principio, statuendo che le eventuali limitazioni debbano risultare dal medesimo Testo unico e non da altra fonte. Ciò a dire che, data l'importanza della questione, le modifiche al sopra menzionato principio devono derivare da una scelta esplicita del parlamento, volta ad intervenire sulla normativa speciale dettata in materia di condizione giuridica dello straniero.

3.5.6. L'equiparazione in materia di diritti civili dello straniero regolarmente soggiornante al cittadino trova chiara conferma nell'ambito delle norme dello stesso Testo unico, dove al titolo V, capo III, articolo 41 (assistenza sociale) viene declinato il principio generale sopra indicato con l'apporto di una limitazione di carattere restrittivo, volta a garantire l'accesso all'assistenza sociale non a tutti gli stranieri regolarmente soggiornanti (ad esempio anche a quelli titolari di permesso di soggiorno turistico o di transito), ma ad una determinata categoria di stranieri: i titolari di carta di soggiorno o di permesso di soggiorno di durata non inferiore ad un anno, nonché ai minori iscritti nella carta di soggiorno o nel permesso di soggiorno. Ciò al fine di permettere la fruizione dell'assistenza sociale a quegli stranieri che danno garanzia di una presenza sul territorio nazionale di durata apprezzabile e, conseguentemente, contribuiscono al complessivo sviluppo del paese.

4. La norma sopra citata, pertanto, diventa centrale nella soluzione della questione portata all'attenzione di questo tribunale: in particolare è l'interpretazione della detta disposizione anche alla luce di quanto specificato dal legislatore del 2000, con la legge 388, all'articolo 80 comma 19 (finanziaria 2001) che dovrà orientare l'interprete per giustificare la sussistenza dell'accesso all'assistenza sociale dello straniero titolare di carta di soggiorno o permesso di soggiorno di durata almeno annuale, nel caso che ci riguarda, dati i principi generali che garantiscono allo straniero regolarmente soggiornante il godimento dei diritti civili del cittadino.

4.1. Il disposto dell'articolo 41 cit. ha portata generale ed equipara lo straniero, in possesso dei requisiti anzidetti, e i minori iscritti nel titolo di soggiorno al cittadino italiano ai fini della fruizione delle provvidenze e delle prestazioni anche economiche di assistenza sociale.

4.1.1. Con la legge 388 del 2000 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2001), presumibilmente per ragioni di bilancio, all'articolo 80 comma 19 è stata introdotta una disposizione volta a discriminare l'accesso a determinate provvidenze tra stranieri in possesso della carta di soggiorno e stranieri in possesso del solo permesso di soggiorno di durata annuale. Nel caso che, qui ci riguarda, lo straniero ricorrente è in possesso del solo permesso di soggiorno di durata annuale.

La norma, come rilevato dalla giurisprudenza della Suprema Corte, non è volta ad interpretare autenticamente l'articolo 41 cit., ma determina una modifica nell'ambito di applicazione del beneficio dell'assegno sociale e parrebbe, anche, di altre provvidenze non meglio specificate in materia di servizi sociali.

4.1.2. La questione che si pone a questo punto è data dal metodo interpretativo da seguire nella lettura delle due norme posto che non è possibile ritenere che l'articolo 80 comma 19 legge 388/00, abbia abrogato l'articolo 41 cit., tenuto conto di quanto previsto dall'articolo 2 comma 2 del d.lgs. 286/98, nella parte in cui riservava le limitazioni al principio generale là esposto alle sole norme indicate nel Testo unico.

4.1.3. Il combinato disposto delle due norme mette in rilievo che vi sarebbe equiparazione tra cittadino e straniero in possesso di carta di soggiorno o permesso di soggiorno almeno annuale e ai minori ivi iscritti, ai fini della fruizione delle provvidenze e delle prestazioni, anche economiche, di assistenza sociale, incluse quelle previste per coloro che sono affetti da morbo di Hansen o da tubercolosi, per i sordomuti, per i ciechi civili, per gli invalidi civili e per gli indigenti, mentre per la fruizione dell'assegno sociale e delle provvidenze anche economiche previste dalle leggi in materia di servizi sociali si deve discriminare fra possessori della carta di soggiorno e possessori del solo permesso di soggiorno.

4.1.4. E' agevole notare che il testo delle due norme differenzia tra provvidenze, anche economiche, di assistenza sociale e provvidenze derivanti da leggi in materia di servizi sociali.

La distinzione non è solo lessicale, ma ha valenza anche sostanziale posto che nelle leggi sui servizi sociali non si esaurisce il concetto di assistenza sociale. Attraverso i servizi sociali la Repubblica può raggiungere lo scopo derivante dal dovere di assistenza sociale. Lo Stato fornendo attività, anche economiche, con spiccate caratteristiche di socialità (mense scolastiche, asili nido, biblioteche ecc.) attua il proprio compito volto alla rimozione degli ostacoli economici e sociali che impediscono il pieno sviluppo della persona umana.

4.1.5. Questa, però, è una delle forme di assistenza sociale che lo Stato può porre in essere; altro tipo è quella derivante dalla concessione di "misure economiche" con la erogazione di somme di denaro per soggetti svantaggiati i quali non hanno obbligo di rendiconto, ma usufruiscono della dazione di denaro per il solo fatto di versare in determinate condizioni economiche che vengono giudicate dal legislatore come precarie e meritevoli di attenzione. (L'assegno sociale ne è un esempio).

4.1.6. Ciò posto, la distinzione sopra evidenziata tra norme di assistenza sociale e la legislazione in materia di servizi sociali dalla quale originano diritti soggettivi a provvidenze di varia natura è così fondata che lo stesso legislatore, nel testo in commento, ha distinto tra provvidenze derivanti da leggi in materia di servizi sociali e assegno sociale. Quest'ultimo, come si può ben notare, non rientra nella nozione provvidenza derivante da leggi in materia di servizio sociale, ma viene individuato a parte come misura economica di natura assistenziale.

4.1.7. Tutto quanto sopra è funzionale a dimostrare che nell'ambito dell'interpretazione delle due norme sopra richiamate l'una non esclude l'altra, ma l'una integra l'altra specificandone il contenuto e la portata, permettendo, così di addivenire ad una lettura coerente con il sistema voluto dal legislatore del 1998 e conforme ai principi costituzionali di uguaglianza e ragionevolezza.

Ogni altra lettura delle citate norme rischierebbe di porsi in contrasto con i principi sopra menzionati.

4.2. Ciò posto, come abbiamo avuto modo di giustificare all'inizio del nostro discorso, il c.d. bonus bebè, rientrando a pieno titolo tra le misure di assistenza sociale di natura economica a favore della famiglia, deve essere riconosciuto anche ai minori, di nazionalità straniera, iscritti sulla carta di soggiorno o, come nel caso di specie, sul permesso di soggiorno di durata almeno annuale del genitore, purché sussistano anche gli ulteriori requisiti previsti dal comma 333 della legge 266 del 2005, operando nel caso in questione l'equiparazione tra straniero e cittadino di cui all'articolo 41 del d.lgs. 286/98, a nulla rilevando la discriminazione in materia di fruizione dell'assegno sociale e delle provvidenze derivanti da leggi in materia di servizi sociali, tra stranieri regolarmente soggiornanti, introdotta con l'articolo 80 comma 19 della legge 388 del 2000.

4.3. Ne consegue che la lettura restrittiva del termine "cittadino" fatta dal Ministero dell'economia e delle finanze relativamente a quanto previsto dal comma 333 della legge 266/05, volta ad escludere gli stranieri con le caratteristiche di cui all'articolo 41 citato, dal beneficio di cui al comma 332 è errata perché non tiene conto dell'equiparazione legislativa esistente tra cittadini italiani e stranieri.

L'errore nell'interpretazione costituisce comportamento discriminante, ai sensi dell'articolo 43 d.lgs. 286/98, come già sopra evidenziato.

4.4. A parere dello scrivente, poi, non sussistono elementi di sorta per ritenere che la disposizione della legge 266 del 2005 abbia voluto, in qualche modo, derogare al principio generale previsto dall'articolo 2 comma 2 e specificamente declinato nell'articolo 41 del d.lgs. 286/98, in punto equiparazione dello straniero, con le caratteristiche sopra indicate, al cittadino italiano in materia di godimento dei diritti civili e in particolare del diritto ad alla misura derivante dalla disposizione socio-assistenziale dettata nella legge 266 del 2005.

Nessun dato testuale permette di addivenire ad una interpretazione di tal fatta. Si ritiene che solo una norma esplicita, introdotta nel Testo unico sugli immigrati, volta ad escludere in maniera palese o, perlomeno, inequivoca l'applicabilità dei citato articolo 41 al caso di specie avrebbe potuto sterilizzarne gli effetti, abrogando di fatto l'equiparazione voluta dal legislatore del 1998.

4.5. Neppure l'introduzione dell'articolo 1 commi 1287 e 1288 della legge 27.12.2006, n. 296 (Finanziaria 2007), consente di giustificare la lettura restrittiva dell'articolo 333 della legge 266/05, data dal Ministero dell'economia e delle finanze, posto che le dette disposizioni si limitano a dichiarare irripetibili le somme elargite a soggetti non rientranti tra quelli legittimati alla percezione del beneficio che, come abbiamo evidenziato, non possono certo essere gli stranieri equiparati ai cittadini italiani ex articolo 41 cit.

A contrario, a tutto voler concedere, l'intervento legislativo citato, nato sulla spinta di una scia di proteste elevate da parte di numerose associazioni di immigrati a causa dell'interpretazione restrittiva fornita dal Ministero dell'economia e delle finanze alla citata disposizione, pare indirettamente favorevole ad un'interpretazione non discriminatoria della legge 265 del 2005, anche nei confronti di soggetti stranieri estranei alla previsione dell'articolo 41 cit., ovvero non equiparabili ai cittadini italiani.

5. In conclusione, alla luce di quanto sopra riportato, questo giudice ribadisce che il comportamento omissivo del Ministro dell'economia e delle finanze, volto a negare la corresponsione della somma di euro 1.000, in favore della figlia del ricorrente, basato su di una lettura miope della norma in discorso, costituisce discriminazione per ragioni di nazionalità tra soggetti parimenti titolari del diritto a ricevere la provvidenza prevista dalla legge, posto che, è provato in atti, che sussistono in capo al [...] tutti gli ulteriori requisisti richiesti dalla legge per l'accesso alla provvidenza.

5.1. Ne deriva che allo stesso Ministero dovrà essere ordinata la cessazione della condotta omissiva sino ad ora tenuta, con conseguente condanna del medesimo alla corresponsione della somma di cui sopra a favore della minore, da versarsi a mani del ricorrente, maggiorata degli interessi legali a partire dal momento della messa in mora sino al saldo.

5.2. Al riconoscimento di responsabilità del Ministero consegue la condanna alla refusione delle spese di lite in favore del ricorrente che si liquidano come da dispositivo.

6. Nessun comportamento discriminatorio, invece, si ravvisa nell'attività posta in essere dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri che, al contrario di quanto operato dal Ministro dell'economia e delle finanze ha correttamente interpretato il complesso normativo in vigore ed ha agito in conformità allo stesso. La richiesta di condanna di tale amministrazione dovrà essere disattesa e il ricorso respinto, con compensazione delle spese di lite sussistendone giusti motivi

P.Q.M.

visti gli articoli 100 c.p.c., 43 e 44 d.lgs. 286/98 e successive modifiche, dichiara la carenza di legittimazione passiva del Ministero degli interni nella presente procedura e, per l'effetto ordina l'estromissione dalla presente causa del Ministero dell'interno con condanna del ricorrente alla refusione delle spese di lite che si liquidano in euro 300 per onorari, oltre Iva, c.a. e 12.50%; respinge il ricorso presentato avverso la Presidenza del Consiglio dei Ministri per insussistenza di comportamento discriminatorio, compensando tra le parti le spese di lite; accoglie il ricorso presentato avverso il Ministero dell'economia e delle finanze, in persona del ministro pro tempore e, per l'effetto ordina al Ministero dell'economia e delle finanze, in persona del ministro pro tempore di cessare il comportamento omissivo, con carattere discriminatorio, volto a non dare esecuzione al dettato dell'articolo 1 commi da 330 a 334 della legge 23.12.2005, n. 266, negando l'erogazione, in favore della figlia del ricorrente, della provvidenza economica ivi dettata e, per l'effetto condanna il Ministero dell'economia e delle finanze a corrispondere alla minore [...], a mani del padre ricorrente, la somma di euro 1.000, oltre interessi dal giorno della messa in mora, sino al saldo; condanna il Ministero dell'economia e delle finanze alla refusione delle spese di lite in favore di parte ricorrente [...].