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Associazione per gli Studi Giuridici sull'Immigrazione
 
 
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Tribunale per i minorenni di Trieste, decreto del 21 febbraio 2007

 
est. Moreschini
 

Il presente procedimento n. 608/2004 è stato introdotto con ricorso proposto in data 9.8.2004 ai sensi dell'art. 31 co. 3 del d.lgs. n. 286/98 dai signori [...] e [...], con cui i ricorrenti hanno chiesto di essere autorizzati alla permanenza in Italia, asserendo di essere genitori di [...] e [...] e di essere giunti a Trieste nel settembre 2002 unitamente ai figli per scappare dalla guerra allora in corso nel paese d'origine, il Kossovo. In data 7.12.2002 i ricorrenti hanno fatto istanza di asilo politico, il cui procedimento è ancora in corso.

All'udienza del 18.7.2005 i genitori riferivano che i minori si sono inseriti bene a Trieste, parlano benissimo l'italiano e rifiutano l'idea di ritornare nel paese d'origine. [...] è seguito dai Servizi specialistici per "disturbi settoriali dello sviluppo, in situazione di trapianto sociale".

Con relazione del 25.8.2005 i Servizi sociali confermavano l'avvenuto inserimento dei minori nella realtà sociale, mentre riferivano che i genitori sono ridotti alla quasi totale inattività lavorativa per mancanza di permesso di soggiorno.

Con relazione di aggiornamento del 24.1.2007 i Servizi sociali riferivano che la situazione di incertezza circa la loro permanenza futura in Italia rende impossibile per i ricorrenti la predisposizione di un progetto per l'avvenire, con ripercussioni negative per l'intero nucleo familiare.

Orbene, nel valutare la domanda odierna, occorre in primo luogo svolgere alcune considerazioni in ordine alla ratio e all'ambito applicativo della normativa in questione. Come è noto la norma è inserita al Titolo IV del d.lgs. n. 286/98, la cui rubrica indica in maniera distinta e autonoma il diritto all'unità familiare e la tutela dei minori.

Si tratta di due valori distinti, entrambi protetti dalle disposizioni contenute nel Titolo e non tra loro coincidenti: l'unità familiare è assicurata attraverso l'istituto del ricongiungimento familiare (art. 29), per la protezione del minore viene invece prevista l'autorizzazione di cui al comma 3 dell'art. 31.

Il tratto unificante dei diversi istituti è rintracciabile nella disposizione del comma terzo dell'art. 28, che espressamente prevede che in tutti i procedimenti riguardanti i minori "deve essere preso in considerazione con carattere di priorità il superiore interesse del fanciullo, conformemente a quanto previsto dall'art. 3 co. 1 della Convenzione dei diritti del fanciullo del 20.11.1989, ratificata e resa esecutiva ai sensi della legge 27.5.1991 n. 176".

Il superiore interesse del minore costituisce quindi il criterio ermeneutico privilegiato da utilizzare nell'applicazione dell'intera normativa contenuta al Titolo IV.

La Convenzione peraltro declina questo principio generale in disposizione specifiche, segnatamente all'art. 9 co. 1 laddove è scritto che "Gli Stati parti vigilano affinché il fanciullo non sia separato dai suoi genitori contro la sua volontà a meno che le autorità competenti non decidano, sotto riserva di revisione giudiziaria e conformemente con le leggi di procedura applicabili, che questa separazione è necessaria nell'interesse preminente del fanciullo" e all'art. 10 co. 1 che, nel richiamare l'obbligo degli Stati di evitare la separazione del minore dai genitori, impone che "ogni domanda presentata da un fanciullo o dai suoi genitori in vista di entrare in uno Stato parte o di lasciarlo ai fini di un ricongiungimento familiare (sia) considerata con uno spirito positivo, con umanità e diligenza".

Questi i criteri interpretativi indicati dalla Convenzione da adottare anche nell'esegesi dell'art. 31 co. 3, il cui tenore letterale chiarisce che l'autorizzazione può essere pronunciata dal tribunale "per gravi motivi connessi allo sviluppo psicofisico e tenuto conto dell'età e delle condizioni di salute del minore che si trova in territorio italiano".

La norma è finalizzata, nel carattere eccezionale che la connota, ad evitare che lo sviluppo psicofisico del minore abbia a soffrire un grave pregiudizio in conseguenza dell'allontanamento dal territorio nazionale del genitore; a tal fine il legislatore si è espressamente riferito all'età e alle condizioni di salute del minore, al fine di individuare alcuni dei criteri che debbono essere seguiti nell'operare la valutazione del pregiudizio potenziale, senza che tuttavia questi elementi siano necessariamente esaustivi dell'esame della complessiva condizione del minore, poiché la ratio della disposizione è in primo luogo la tutela dello sviluppo psicofisico del minore nella sua interezza e complessità, proteggendolo dal potenziale pregiudizio che potrebbe subire o seguendo nell'allontanamento dei genitori privi di titolo di soggiorno, oppure distaccandosi da questi e rimanendo in Italia.

Questa risulta, ad avviso del Collegio, l'interpretazione maggiormente conforme al criterio informato a "spirito positivo, umanità e diligenza" indicato dalla Convenzione, perché consente di apprezzare la condizione del minore come soggetto in evoluzione, nell'interezza dei bisogni e delle aspettative che la sua educazione e crescita evidenzia, bilanciando la sua tutela come soggetto in evoluzione con l'interesse pubblico ad un'ordinata programmazione dell'ingresso e della permanenza in Italia di cittadini stranieri provenienti da Paesi non comunitari, come in questo caso entrambi i genitori del minore.

Per queste ragioni l'integrità dello sviluppo psicofisico non coincide necessariamente con la sola sua salute fisica o psichica, che ne costituisce certo un presupposto essenziale ma non esaustivo, e per la quale altra e autonoma tutela è assicurata dal precetto costituzionale espresso dall'art. 32 a prescindere dall'età della persona; neppure coincide con quello dell'unità familiare, per il quale, come già precisato, è invece dal legislatore predisposto altro rimedio, con l'istituto del rilascio del permesso di soggiorno per coesione e ricongiungimento familiare, disciplinato dalle norme contenute all'art. 29.

Questi sono dunque i criteri a cui deve informarsi anche l'esame dell'odierna domanda. Tutti gli elementi confermano che nel caso in questione sussistono i presupposti indicati dalla norma. Infatti la necessità di garantire ai minori la permanenza in Italia, in considerazione del loro positivo inserimento nella realtà locale motivano sotto il profilo del legame familiare l'autorizzazione alla permanenza in Italia dei genitori, posto che un loro allontanamento da Trieste comporterebbe inevitabilmente anche l'allontanamento dei minori, con grave ed irreparabile trauma per gli stessi, alla luce degli elementi emersi nel corso dell'istruttoria svolta e sopra riportati.

Appare congrua la durata di mesi 24 dell'autorizzazione ai genitori. All'autorizzazione alla permanenza in Italia segue la comunicazione alla questura, essendo i ricorrenti già presenti in Italia, "per gli adempimenti di rispettiva competenza".

Il presente decreto viene trasmesso anche al Servizio sociale competente perché assicuri, nell'ordinario espletamento dei compiti istituzionali, la continuità dell'intervento di sostegno ed integrazione a tutela dei minori.

Letto il parere del P.M.M.

P.Q.M.

visto l'art. 31 co. 3 del d.lgs. n. 286/98, decidendo in via definitiva, autorizza [...] e [...], genitori di [...] e [...], alla permanenza in Italia per la durata di mesi 24 dal momento della comunicazione del decreto; [...].