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Associazione per gli Studi Giuridici sull'Immigrazione
 
 
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Corte d'Appello di Trento, decreto del 10 novembre 2006

 

rel. De Falco

 

Nella causa civile in grado di appello iscritta a ruolo in data 2.8.2006 al n. 173/2006 R.G.C. promossa con ricorso per reclamo ex art. 739 c.p.c. d.d. 1.8.2006 dal Ministero dell'interno [...].

Ritenuto in fatto e in diritto

Il tribunale di Trento con l'ordinanza oggetto del reclamo[1], aveva accolto la richiesta di [...] diretta a conseguire la sospensione degli effetti e l'annullamento del provvedimento del questore di Trento di diniego del rilascio del permesso di soggiorno per ricongiungimento familiare con la moglie, titolare di permesso di soggiorno rilasciato per attesa di cittadinanza, e dell'ordine di lasciare il territorio nazionale entro 15 giorni dalla notifica. Il primo giudice aveva rilevato che la richiesta del ricorrente doveva trovare accoglimento in quanto un'interpretazione meramente letterale dell'art. 28, co. 1, T.U. n. 286/1998, nella cui elencazione non è compreso il permesso di soggiorno per motivi di attesa cittadinanza tra quelli che permettono di beneficiare del diritto all'unità familiare, sarebbe costituzionalmente ingiustificata, comportando una disparità di trattamento tra due situazioni coincidenti "quoad effectum", quale quella del titolare del permesso di soggiorno rilasciato per lavoro subordinato o per lavoro autonomo (ovvero asilo, studio o per motivi religiosi) e quella del titolare del permesso di soggiorno rilasciato per attesa cittadinanza, e ciò in analogia con il principio di diritto espresso dalla Corte di cassazione nella sentenza n. 1714 del 7.2.2001[2] con riguardo al titolare di permesso di soggiorno per motivi familiari.

Aggiungeva il giudicante che il diritto del ricorrente al ricongiungimento doveva essere riconosciuto nonostante la durata inferiore ad un anno del permesso accordato alla moglie, atteso che il permesso per acquisto della cittadinanza va rilasciato per una durata pari al procedimento di concessione o di riconoscimento, che nella specie non si è ancora concluso pur essendo trascorso più di un anno, a nulla rilevando che la questura lo abbia rilasciato per un periodo inferiore all'anno.

Con il presente reclamo il Ministero ricorrente si opponeva all'estensione in via analogica al caso in esame dei principi espressi dalla Suprema Corte nella sentenza n. 1714/2001, atteso che il permesso di soggiorno concesso alla moglie del [...] ha carattere precario, in quanto unicamente finalizzato alla permanenza in Italia in attesa che si concluda il procedimento amministrativo per il riconoscimento della cittadinanza, e non permette lo svolgimento di attività lavorativa.

Si costituiva in questa sede il [...], il quale chiedeva il rigetto del reclamo e la conferma delle statuizioni adottate con l'ordinanza di accoglimento, ribadendo le argomentazioni svolte in primo grado.

Tanto premesso la Corte ritiene che il reclamo è infondato e deve essere respinto, con conseguente conferma dell'ordinanza emessa dal tribunale.

Condivide, infatti, la Corte le argomentazioni svolte nel provvedimento impugnato con riguardo all'applicazione anche al caso di specie del principio espresso dalla Corte di cassazione nella sentenza 7.2.2001 n. 1714. Ed invero, l'art. 28 d.lgs. 286/98, al co. 1, riconosce il diritto al ricongiungimento familiare " ... agli stranieri titolari di carta di soggiorno o di permesso di soggiorno di durata non inferiore ad un anno, rilasciato per lavoro subordinato o per lavoro autonomo ovvero per asilo, per studio o per motivi religiosi". Orbene, la Corte di cassazione, con sentenza 7.2.2001 n. 1714, non ha ritenuto tassativa l'elencazione contenuta nell'anzidetto art. 28, facendovi rientrare anche l'ipotesi del permesso di soggiorno rilasciato per motivi familiari, e ciò sulla base delle seguenti considerazioni:

1) il permesso di soggiorno per motivi familiari così come quello per motivi di lavoro, permette al suo titolare l'iscrizione nelle liste di collocamento e/o lo svolgimento di lavoro subordinato o autonomo (art. 30, co. 2, del d.lgs. 286/98);

2) il permesso di soggiorno per motivi familiari ha la stessa durata del permesso di soggiorno del familiare straniero in possesso dei requisiti per il ricongiungimento, ai sensi dell'art. 29, ed è rinnovabile insieme a quest'ultimo (art. 30, co. 3 d.lgs. cit.);

3) il permesso per motivi familiari può essere utilizzato anche per le altre attività consentite al titolare del permesso per motivi di lavoro (art. 6 d.lgs. cit.);

ne consegue che le due tipologie di permesso attribuiscono facoltà analoghe onde un trattamento giuridico differenziato non sarebbe costituzionalmente legittimo.

Ciò posto, analoghe considerazioni valgono per il permesso di soggiorno per attesa cittadinanza che, occorre sottolineare, è disciplinato dal regolamento di attuazione del T.U. n. 286/1998, e segnatamente dal d.p.r. 31.8.1999 n. 394, e quindi da norma successiva al T.U. sopra citato, il che spiega la sua mancata menzione nell'art. 28 del T.U.

L'art. 11 dell'anzidetto d.p.r. prevede, infatti, che il permesso di soggiorno possa essere rilasciato, oltre che per i motivi indicati nel predetto T.U., anche per l'acquisto della cittadinanza a favore dello straniero già in possesso del permesso di soggiorno per altri motivi, con durata pari a quella del procedimento di concessione o di riconoscimento della cittadinanza.

Ne discende che, contrariamente a quanto sostenuto dal Ministero reclamante, il permesso per attesa di cittadinanza, invece di essere un "minus" rispetto al permesso per motivi di lavoro, permette allo straniero già in Italia con regolare permesso concesso per altri motivi (e quindi anche per motivi di lavoro), di poter legittimamente permanere sul territorio nazionale per tutta la durata del procedimento amministrativo - che spesso si protrae anche per due anni - senza la necessità di dover rinnovare periodicamente il proprio precedente permesso, con tutte le difficoltà che ne potrebbero conseguire.

E' ovvio, pertanto, che detto permesso non può precludere affatto la possibilità da parte del suo titolare di svolgere attività lavorativa, seppure alle condizioni previste dall'attuale legislazione, o le altre attività consentite e previste dall'art. 6 del T.U., giacché non si capirebbe altrimenti perché il legislatore abbia sentito la necessità di introdurre questo nuovo tipo di permesso in favore di chi è già presente in Italia in forza di altro permesso che gli permette di lavorare e di chiedere il ricongiungimento familiare.

A ciò si aggiunga che il diritto al ricongiungimento familiare è riconosciuto anche a chi non esercita attività lavorativa, bensì si trova in Italia per motivi di asilo, studio o per motivi religiosi, circostanza che dimostra che la ratio legis è quella di assicurare l'unità familiare a prescindere dallo svolgimento o meno di attività lavorativa da parte dello straniero richiedente.

Alla luce delle considerazioni che precedono, ritiene questa Corte che anche al permesso di soggiorno per acquisto della cittadinanza vada esteso, per analogia, il ragionamento espresso dalla Suprema Corte nella sentenza sopra citata, atteso che anche detto permesso permette lo svolgimento di attività lavorativa nonché le altre attività previste dall'art. 6 del T.U., e non ha affatto durata precaria, attesa la lunga durata del procedimento amministrativo. A quest'ultimo proposito ritiene la Corte che nessuna importanza può rivestire l'eventuale esito negativo della richiesta di concessione della cittadinanza, poiché il ricongiungimento familiare è concesso anche a chi sia titolare di permesso di soggiorno per motivi di lavoro a tempo determinato.

Riprendendo, pertanto, il ragionamento contenuto nella sentenza sopra citata, deve ritenersi che poiché il permesso di soggiorno per acquisto della cittadinanza attribuisce al suo titolare facoltà analoghe a quelle attribuite al titolare del permesso per motivi di lavoro (e di famiglia), un trattamento giuridico differenziato non sarebbe costituzionalmente legittimo ai sensi dell'art. 3 della Costituzione, e ciò anche in considerazione della ratio legis di favorire l'unità familiare, sebbene nei limiti soggettivi di cui all'art. 29 T.U. (rispettati nella specie).

Va, pertanto, riconosciuto al titolare del permesso di soggiorno per acquisto della cittadinanza la possibilità di esercitare il diritto all'unità familiare.

Ricorrono giusti motivi per disporre la compensazione delle spese del presente grado, in considerazione della novità delle questioni affrontate nel presente procedimento e delle difficoltà di interpretazione delle norme in esame.

P.Q.M.

visto l'art. 739 c.p.c., rigetta il reclamo proposto dal Ministero dell'interno con compensazione delle spese del presente grado. [...].