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Associazione per gli Studi Giuridici sull'Immigrazione
 
 
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Tribunale di Bologna, ordinanza del 23 dicembre 2006

 
est. Betti
 

Nel procedimento camerale iscritto al n. 2968/06 reg. V.G. promosso con ricorso depositato il 20.7.2006 da [...] nei confronti di Università commerciale L. Bocconi [...].

Pronunciando a scioglimento della riserva assunta a verbale d'udienza del giorno 9.11.2006 e vista la documentazione reddituale successivamente depositata nei termini, si osserva quanto segue.

Con ricorso depositato il 20.7.2006 [...], cittadina cinese regolarmente soggiornante da anni sul territorio nazionale e diplomata con ottimi voti in un istituto secondario pubblico bolognese, descriveva di avere superato le prove di ammissione alla Università privata Bocconi nel settembre 2005 e di avere registrato la sua domanda di immatricolazione pagando € 1.500 come acconto sulla retta annuale, ma di non avere potuto frequentare il corso a cui si era immatricolata perché la retta annuale per i cittadini extracomunitari come lei sarebbe stata di € 8.683,58 (4° fascia, corrispondente al reddito familiare massimo) e non di € 3.863,58 (1° fascia, corrispondente a redditi inferiori a € 43.000 annui), come aveva ritenuto al momento dell'iscrizione poiché il suo reddito familiare era di circa € 20.000. Allegava quindi una condotta discriminatoria della Università in violazione dell'art. 43 d.lgs. 286/98, come successivamente modificato, poiché solo in base alla diversa origine nazionale venivano applicate tariffe più svantaggiose ai cittadini non comunitari, a cui indipendentemente dal reddito venivano applicate le tariffe di iscrizione più alte, che le avevano impedito di accedere al corso a cui era stata ammessa. Esponeva di essersi poi iscritta al primo anno di altra Università pubblica, a costi per lei accessibili, presso cui aveva sostenuto con successo alcuni esami corrispondenti al corso di laurea per il quale era stata ammessa alla Università Bocconi. Chiedeva quindi che venissero rimossi gli effetti della condotta discriminatoria della Università, ordinandole di ammettere la ricorrente al secondo anno di corso previo pagamento delle somme corrispondenti alla fascia di reddito della ricorrente, e che l'università venisse condannata al risarcimento del danno non patrimoniale patito ai sensi dell'art. 44 d.lgs. 286/98.

A seguito di un difetto di notifica, la prima udienza veniva rinviata ed alla seconda udienza fissata si costituiva la Università resistente, negando di avere posto in essere alcuna discriminazione sia perché la contribuzione massima prevista per i non cittadini dell'Unione europea era chiaramente descritta sul sito e quindi conoscibile dalla ricorrente fin dalla domanda, sia perché l'inserimento automatico degli stranieri in fascia massima di contribuzione non inciderebbe sul diritto di accesso all'istruzione universitaria - come provato dal fatto che la ricorrente era stata ammessa al corso dopo essere stata valutata nel merito in condizioni di piena parità con tutti gli altri studenti - ma su un diverso diritto di natura patrimoniale, come tale rinunciabile.

Esaminati gli atti, il giudice invitava le parti a chiarire le rispettive posizioni in relazione all'allegazione della ricorrente sul suo livello di reddito.

All'udienza 9.11.2006 i procuratori delle parti producevano entrambi documentazione integrativa sul punto. La ricorrente depositava copia CUD relativo ai redditi degli anni 2004 (depositato nel 2005) e 2005 (depositato nel 2006), attestanti un reddito imponibile del padre convivente della ricorrente di € 16.242 e € 7.484 rispettivamente. La convenuta depositava rinuncia agli studi presso la Bocconi sottoscritta da [...] e depositata all'Università il 22.9.2005, oltre che modulistica di iscrizione dell'Università in cui si esplicitava che in caso di mancata o incompleta consegna della documentazione richiesta nei termini stabiliti l'iscritto sarebbe stato assegnato d'ufficio alla fascia di contribuzione di ammontare più elevato. Dalla documentazione depositata dalle parti è così emerso che la ricorrente, ammessa a frequentare la Bocconi per l'anno scolastico 2005/2006, aveva pagato la prima rata dell'iscrizione - prevista per tutti in € 1.500 - ed ha successivamente rinunciato alla iscrizione il 22.9.2005 prima di pagare la seconda rata, differenziata per fascia di reddito.

Alla stessa udienza, la resistente ha proposto eccezioni fondate su clausole del contratto di iscrizione: la [...] non avrebbe depositato nei termini contrattualmente previsti la documentazione reddituale richiesta dalla Bocconi per gli studenti europei per l'inserimento nelle fasce di contribuzione inferiore; ella ben sapeva fin dalla iscrizione delle previsioni tariffarie a lei sfavorevoli; infine avrebbe potuto richiedere una delle borse di studio per studenti bisognosi e meritevoli. Inoltre la resistente ha osservato che la sua rinuncia all'iscrizione la renderebbe attualmente priva di interesse ad agire in giudizio. Le eccezioni non sono tardive, come sostenuto dal ricorrente, poiché non si rinvengono nel rito previsto dall'art. 44 d.lgs. 286/98 le preclusioni invocate dal resistente. Nel merito le eccezioni non sono però fondate. Relativamente alla rinuncia all'iscrizione della ricorrente, era per lei inevitabile - come previsto dai moduli di iscrizione Bocconi prodotti dalla resistente - sia per evitare che scattasse a suo carico l'obbligo di versamento della seconda rata nella misura massima prevista per i non europei, versamento che la [...] non si poteva permettere, sia perché ella potesse ritirare l'originale del diploma di maturità necessario per la sua iscrizione in altra università. Quanto alle altre eccezioni, va rilevato che: 1) il deposito di documentazione reddituale alla Bocconi era contrattualmente inutile per la [...] che, secondo quanto previsto dalla Università stessa, avrebbe comunque pagato la contribuzione massima anche in presenza di documentati redditi bassi: in base al contratto la Bocconi non poteva quindi esigere il deposito di documentazione da essa stessa definita irrilevante; 2) la consapevolezza della illegittimità di una clausola contrattuale non la sana per il solo fatto della stipula del contratto; 3) la possibilità di accesso a borse di studio interne è estranea al tema del presente giudizio.

In diritto, la questione qui proposta è fondata sull'art. 43 d.lgs. 286/98 che definisce "discriminazione ogni comportamento che, direttamente o indirettamente, comporti una distinzione, esclusione, restrizione o preferenza basata sulla razza, il colore, la ascendenza o l'origine nazionale o etnica, le convinzioni e le pratiche religiose, e che abbia lo scopo o l'effetto di distruggere o compromettere il riconoscimento, il godimento o l'esercizio in condizioni di parità dei diritti umani e delle libertà fondamentali in campo politico economico, sociale e culturale e in ogni altro settore della vita pubblica".

Il successivo d.lgs. n. 215/03, emanato in attuazione della direttiva 2000/43/CE, all'art. 2 chiarisce che vi è "discriminazione diretta quando, per la razza o l'origine etnica, una persona è trattata meno favorevolmente di quanto sia stata o sarebbe trattata un'altra in situazione analoga". L'ambito di applicazione della tutela dalla discriminazione è esplicitato al successivo art. 3 con riferimento sia al settore pubblico che privato e specificamente alla lett. c) nell'area dell'"accesso a tutti i tipi e livelli di orientamento e formazione professionale, perfezionamento e riqualificazione professionale, inclusi i tirocini professionali".

L'art. 44 d.lgs. 286/98, qui utilizzato dalla ricorrente, chiarisce poi le forme della tutela giurisdizionale contro comportamenti di privati o della P.A. produttivi di discriminazione. La giurisprudenza ha già offerto diverse pronunce di merito su fattispecie differenziate. Accanto al tema più frequentato dell'accesso degli stranieri ai concorsi pubblici, eccentrico rispetto alla questione oggi proposta, le decisioni più numerose appaiono quelle relative a comportamenti discriminatori contro cittadini extracomunitari in ambito di locazioni abitative ed alloggi pubblici (vedi trib. Bo, decreto 22.2.2001 est. Arceri e Tar Lombardia, sez. Brescia, ord. n. 264 del 25.2.2005) e di tesseramento sportivo (vedi trib. Reggio Emilia, ordinanza 2.11.2000 e trib. Teramo-Giulianova ordinanza 14.12.2000). Le pronunce citate danno attuazione alla legislazione antidiscriminazione sopra citata sia nei rapporti fra privati che con la P.A.

Di particolare rilievo per i riflessi che può avere sul caso qui in esame è la sentenza della Corte costituzionale n. 432/05, dichiarativa dell'illegittimità costituzionale dell'art. 8 co. 2 della legge regione Lombardia n. 1 del 12.1.2002 che prevedeva la gratuità trasporto su mezzi pubblici per invalidi civili limitatamente ai cittadini italiani. Nel giudizio di legittimità di tale norma, sollevato dal Tar Lombardia, la Regione Lombardia si è difesa sostenendo che le tariffe agevolate per invalidi non erano previsioni inerenti al diritto alla salute e destinate a soddisfare diritti fondamentali, bensì si inquadravano nel novero di disposizioni "facoltative" rispondenti a finalità sociali, con conseguente legittimità di scelte che bilanciassero l'ampia fruibilità del beneficio con la limitatezza delle risorse finanziarie regionali. La Corte costituzionale, confermando la correttezza di tale assunto, ha però chiarito che ciò "non esclude affatto che le scelte connesse alla individuazione delle categorie dei beneficiari - necessariamente da circoscrivere in ragione della limitatezza delle risorse finanziarie - debbano essere operate, sempre e comunque, in ossequio al principio di ragionevolezza; al legislatore (statale o regionale che sia) è consentito, infatti, introdurre regimi differenziati, circa il trattamento da riservare ai singoli consociati, soltanto in presenza di una "causa" normativa non palesemente irrazionale o, peggio, arbitraria. [...]. Distinguere, ai fini dell'applicabilità della misura in questione, cittadini italiani da cittadini di paesi stranieri finisce dunque per introdurre nel tessuto normativo elementi di distinzione del tutto arbitrari, non essendovi alcuna ragionevole correlabilità tra quella condizione positiva di ammissibilità al beneficio [la cittadinanza italiana appunto] e gli altri peculiari requisiti che ne condizionano il riconoscimento. [...]. Non essendo quindi enucleabile nella norma impugnata altra ratio che non sia quella di introdurre una preclusione destinata a scriminare dal novero dei fruitori della provvidenza sociale gli stranieri in quanto tali, ne deriva la illegittimità costituzionale in parte qua della norma stessa per violazione dell'art. 3 Costituzione". Il giudizio sulle norme nulla ha a che vedere col giudizio sui fatti, ma non può essere trascurato in questa sede il principio di diritto così chiaramente e di recente esplicitato dalla Corte costituzionale, secondo cui il trattamento differenziato nei confronti di stranieri può trovare ingresso nel nostro ordinamento solo se sussiste una specifica, trasparente e razionale causa giustificatrice idonea a spiegare le ragioni poste alla base della difformità.

In base alla lettura del quadro normativo e della giurisprudenza sopra citate, nel caso qui in esame il comportamento dell'Università Bocconi appare in violazione delle norme antidiscriminatorie richiamate. L'Università Bocconi, nel prevedere in ogni caso la fascia di contribuzione massima per gli studenti non appartenenti alla Unione europea, può compromettere per alcuni di loro il godimento e l'esercizio delle libertà fondamentali in campo culturale in condizioni di parità coi cittadini dell'Unione Europea. L'origine nazionale degli studenti - cittadini o meno dell'Unione europea - costituisce infatti l'unica ragione per cui all'Università Bocconi gli europei sono preferiti, ottenendo tariffe di iscrizione più vantaggiose. Di fronte alla discriminazione etnica o razziale l'autonomia negoziale incontra il limite legislativo posto dagli artt. 43 e 44 d.lgs. n. 286/88 e l'Università non può fissare tariffe differenziate solo in relazione all'origine nazionale o etnica degli studenti. Le clausole dell'iscrizione che prevedono per gli studenti a basso reddito tariffe inferiori se essi sono di nazionalità europea e tariffe più alte se sono di nazionalità extraeuropea appaiono discriminatorie ai sensi dell'art. 43 d.lgs. n. 286/88 e 2 d.lgs. n. 215/03, perché il comportamento contrattuale della Università Bocconi comporta una preferenza per gli studenti di origine europea, che hanno accesso ai corsi a costi inferiori, con speculare restrizione all'accesso degli studenti di origine extraeuropea per cui il costo è maggiore, il che produce l'effetto di compromettere il loro godimento dell'esercizio di libertà fondamentali in campo culturale in condizioni di parità. La discriminazione è diretta, perché gli studenti di nazionalità non europea sono trattati meno favorevolmente di quelli europei. Non si tratta di un diritto di tipo patrimoniale, come tale rinunciabile secondo la resistente, bensì nel caso di studenti non europei in condizioni di basso reddito si tratta del loro fondamentale diritto alla istruzione, alla formazione ed al perfezionamento professionale in una Università privata di loro scelta a parità di condizioni con gli studenti europei.

Previsioni contrattuali differenziate per persone di diversa provenienza etnica o nazionale sarebbero legittime solo se fondate su motivi ragionevoli, che giustificassero razionalmente e fondatamente il trattamento differenziato. In questo caso, la resistente non ha giustificato in alcun modo la diversa previsione tariffaria per studenti di diversa provenienza nazionale, affermando soltanto che ciò trova fondamento nell'autonomia finanziaria dell'istituto e nella sua libertà di insegnamento: se le previsioni di bilancio fondate sulle tariffe differenziate non venissero attuate ne sarebbe compromessa la possibilità per l'Università di attuare i propri insegnamenti nelle forme autonomamente previste. Va però ricordato che l'art. 33 della Costituzione, al suo ultimo comma, prevede che "Le istituzioni di alta cultura, università ed accademie, hanno il diritto di darsi ordinamenti autonomi nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato". Vale quindi come limite insuperabile all'autonomia ordinamentale delle Università private la legislazione statuale introdotta con i d.lgs. n. 286/98 e 215/03. Il mero richiamo all'autonomia ordinamentale dell'Università non è quindi sufficiente a giustificare la oggettiva discriminazione praticata dalla Bocconi, in quanto la normativa sopra citata ed invocata dalla ricorrente integra quel limite costituzionalmente previsto all'autonomia organizzativa e finanziaria della Università.

E' quindi fondata la prospettazione della ricorrente, che lamenta l'esistenza di clausole di iscrizione all'Università Bocconi discriminatorie ai sensi degli artt. 43 e 2 citati lesive dei diritti di [...].

Ritenuto discriminatorio il comportamento della Università Bocconi nei confronti della ricorrente, va ordinata la cessazione del comportamento pregiudizievole posto in essere dalla prima, ordinandole di consentire a [...] di frequentare il corso universitario a cui era stata ammessa a parità di condizioni di contribuzione rispetto agli studenti europei, e quindi nel suo caso col pagamento della contribuzione minima prevista alla prima fascia per studenti dal reddito familiare inferiore ad € 43.000.

Ai sensi del co. 1 dell'art. 44, al giudice spettano elastici poteri atti a far sì che, a seconda delle multiformi circostanze del caso, vengano nel concreto rimossi gli effetti della discriminazione patita. In questo caso si è accertato che la ricorrente era stata ammessa avendo superato il test di ingresso che, per quanto apparente dagli atti e concordemente descritto dai procuratori delle parti in udienza, è unico per tutti gli studenti che chiedono l'ammissione a prescindere dall'anno di corso. In base alla prova d'ingresso da lei già superata, alla ricorrente deve quindi essere garantita la possibilità di frequentare il corso di studi da lei prescelto. Poiché nelle more ella ha frequentato per un anno una diversa Università pubblica, l'Università Bocconi dovrà provvedere al riconoscimento degli esami superati presso l'Università di provenienza secondo le modalità ordinariamente previste per gli studenti provenienti da altra Università, inserendola nel secondo anno di corso con accredito degli esami da lei superati altrove e riconosciuti dalla Bocconi.

La somma di € 1.500 euro da lei già versata andrà trattenuta dalla Bocconi quale acconto della contribuzione dovuta per l'iscrizione al secondo anno di corso. Solo in questo modo potranno infatti essere rimossi gli effetti della accertata discriminazione. In assenza di clausole contrattuali discriminatorie, le somme già pagate avrebbero costituito il primo acconto per la iscrizione al primo anno di corso a cui avrebbe dovuto seguire la seconda rata di contribuzione in prima fascia. La ricorrente non ha potuto frequentare il primo anno perché non poteva permettersi il saldo illegittimamente preteso nella misura massima in quanto non europea: conseguentemente il primo acconto già versato deve valere per l'iscrizione al secondo anno, a cui dovrà seguire il pagamento del saldo con la contribuzione prevista per la prima fascia.

Non va accolta invece la domanda di risarcimento in quanto genericamente proposta, in assenza di allegazioni sufficienti a consentire un apprezzamento quantitativo del danno anche non patrimoniale patito.

Il riconoscimento della fondatezza delle ragioni di diritto dedotte in ricorso, e la conseguente soccombenza del resistente, comporta la sua condanna al pagamento delle spese di lite liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

il giudice unico, decidendo sul ricorso depositato da [...] in data 20.7.2006, così provvede: ordina alla Università commerciale Bocconi di Milano di cessare il comportamento pregiudizievole tenuto nei confronti di [...] e conseguentemente di applicare alla sua iscrizione la prima fascia di contribuzione prevista per cittadini europei di reddito analogo al suo, di ammetterla alla frequentazione del secondo anno del suo corso di studi riconoscendo da lei già versato il primo acconto di € 1.500 ed altresì riconoscendo secondo le ordinarie procedure gli esami da lei già superati in altra Università; condanna l'Università commerciale Bocconi di Milano al pagamento delle spese di lite della ricorrente, [...].