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Associazione per gli Studi Giuridici sull'Immigrazione
 
 
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Tribunale di Palermo, sentenza del 22 febbraio 2006, n. 819

 
est. Piraino
 

Nei procedimenti riuniti recanti nn. 8535/2003 e 9617/2003 del Ruolo generale degli affari civili contenziosi vertenti tra [...] contro il Ministero dell'interno [...]. Oggetto: opposizione a provvedimento di rigetto del riconoscimento dello status di rifugiato politico. [...].

Motivi della decisione

Va, preliminarmente, affermata la sussistenza della competenza territoriale di questo tribunale in merito alla domanda proposta. Ed infatti, sebbene, nel caso di specie, possano ritenersi sussistere i presupposti per l'affermazione della competenza del tribunale di Roma in merito alla domanda proposta dal ricorrente, va evidenziato che il difetto di competenza territoriale inderogabile concernente il c.d. foro erariale di cui all'art. 25 c.p.c. non è rilevabile d'ufficio in ogni stato e grado del processo, ma per effetto della novella operata con la l. n. 353 del 1990 che ha modificato l'art. 38 c.p.c., è soggetto, al pari di ogni altra ipotesi di inderogabilità, compresa quella per materia, alla preclusione della prima udienza di trattazione.

In assenza del rilievo di tale questione, nemmeno d'ufficio, entro il termine di decadenza di cui sopra, l'eccezione in esame deve ritenersi non più sollevabile nell'ambito del presente procedimento.

Ciò posto, venendo all'esame del merito del presente giudizio, va rilevato che esso ha ad oggetto l'opposizione avverso il provvedimento emesso dalla Commissione centrale per il riconoscimento dello status di rifugiato, con sede in Roma, del 13.2.2003, notificato in data 14.4.2003, con il quale è stato disposto il rigetto della domanda di riconoscimento dello status di rifugiato a suo tempo avanzata dall'odierno ricorrente.

A tal fine va precisato che la fattispecie oggetto del presente giudizio è regolamentata dalla disciplina previgente all'entrata in vigore della legge n. 189 del 2002, che ha istituito la procedura semplificata e le commissioni territoriali ed il riconoscimento dello status di rifugiato. Con l'art. 32 della l. 189/02 sono stati, infatti, inseriti dopo l'art. 1 del D.L. 416/89 conv. in l. 39/90, gli articoli da 1 bis a 1 septies, recanti significative innovazioni. Ma tale disciplina non trova applicazione (neanche in termini di jus superveniens, rilevante ai sensi dell'art. 5 c.p.c.) nel caso che ci occupa, posto che ai sensi dell'art. 34 co. 3 della predetta legge 189/02 (entrata in vigore il 10.9.2002), le disposizioni testè rammentate avrebbero dovuto trovare applicazione a decorrere dalla entrata in vigore del nuovo regolamento (di cui all'art. 1 bis co. 3 D.L. 416/89 come modificato), la cui emanazione (con sostituzione di quello di cui al d.p.r. n. 136/90) avrebbe dovuto aver corso entro sei mesi dalla entrata in vigore della legge 189/02 (e quindi entro il 10.3.2003).

Il regolamento in questione risulta essere stato, tuttavia, approvato unicamente con d.p.r. n. 303 del 16.9.2004, ed è entrato in vigore solamente in data 21.4.2005, ai sensi dell'art. 21, co. 2, del medesimo decreto che ha previsto l'entrata in vigore a decorrere dal centoventesimo giorno successivo alla data di pubblicazione nella G.U., avvenuta in data 22.9.2004. Dovendosi, dunque, far riferimento alla data di proposizione del presente giudizio, avviato con ricorso depositato in data 4.7.2003, ne discende che l'intera vicenda che occupa si è svolta sotto il vigore della disciplina dettata dall'art. 47 del d.lgs. 286/98 (il c.d. Testo unico sull'immigrazione, sottoposto a modifiche dalla successiva legge 189/02) che ha abrogato alla lettera e) gli artt. 2 e segg. del D.L. 416/89 conv. in l. 39/90 ma ha lasciato in vigore la disciplina di cui all'art. 1 dello stesso testo, con la conseguenza che è alla procedura delineata da tale disposizione (ed alle disposizioni del regolamento attuativo di cui al d.p.r. 15.5.1990 n. 136) che occorre far capo per il conseguimento dello status di rifugiato, per l'attribuzione del permesso di soggiorno in pendenza di procedura, per la stessa contestazione innanzi al giudice ordinario del diniego, una volta abrogata la riserva al giudice amministrativo della relativa attribuzione, già contenuta nell'art. 5.

Ciò posto va rilevato che, secondo quanto chiarito dalla Suprema Corte di cassazione, con la sentenza a Sezioni Unite n. 907 del 1999, la controversia ha ad oggetto lo status del richiedente, e da ciò discende, al contempo, la giurisdizione del giudice ordinario e la competenza ratione materiae del tribunale ex art. 9 c.p.c.

Peraltro va evidenziato che l'unico soggetto legittimato a contraddire, rispetto alla domanda proposta, va individuato nel Ministero dell'interno, giacché risulta difettare in capo alla Commissione centrale, organo istituito e regolato dall'art. 2 del d.p.r. 136/90 in attuazione del disposto dell'art. 1 co. 2 del D.L. 416/89, una autonoma soggettività giuridica, dal momento che la medesima inerisce, come organo, l'amministrazione centrale dello Stato.

Venendo, quindi, all'esame del merito della presente controversia va rilevato che il requisito fondamentale per il riconoscimento dello status di rifugiato previsto dalla Convenzione di Ginevra del 28.7.1951 consiste nella sussistenza di un fondato timore per il cittadino straniero di essere soggetto a persecuzioni nel proprio paese di origine per motivi razziali, religiosi, di nazionalità, di appartenenza ad un determinato gruppo sociale, o di opinioni politiche. Tale status deve essere, dunque, accordato qualora consti che l'interessato abbia subito la violazione di diritti umani fondamentali sanciti da documenti internazionali, che indichino inconfutabilmente l'assenza di protezione da parte del paese di origine.

A ciò deve aggiungersi che lo status di rifugiato va rapportato ad una vasta tipologia di situazioni, mutevoli nel tempo e riferite alle più varie realtà locali, e che il carattere della persecuzione, in atto o temuta, deve risultare personale e diretta. Tali circostanze, per come già puntualizzato dalla giurisprudenza amministrativa, sono tali da far si che tanto più grave risulta la persecuzione, tanto minore è la possibilità per l'interessato di fornirne la prova, di tal che la Commissione per il riconoscimento dello status di rifugiato è tenuta ad un esame particolarmente attento delle relative domande e ad una motivazione delle sue decisioni particolarmente incisiva, specie in caso di diniego (cf. Tar Veneto, sez. III, 31.7.2001, n. 2354). L'accertamento della sussistenza di un fondato timore per il cittadino straniero di essere perseguitato rende, peraltro, indispensabile il ricorso a valutazioni di carattere meramente prognostico, basate su materiale probatorio di natura sovente esclusivamente indiziaria.

Ciò posto va rilevato che, nel caso di specie, l'odierno ricorrente risulta aver richiesto il riconoscimento dello status di rifugiato, assumendo di essere stato costretto a fuggire dal proprio paese, lo Sri Lanka, per essere stato fatto oggetto di persecuzione da parte dell'etnia cingalese dominante, per ragione della sua appartenenza all'etnia di minoranza Tamil.

Dall'esame del provvedimento impugnato si ricava che tale richiesta è stata rigettata poiché "alla luce del mutato contesto politico realizzatosi nel suo paese, le argomentazioni addotte devono essere considerate, oltre che superate e non più attuali, non riconducibili alle previsioni di cui alla Convenzione di Ginevra 28.7.1951" (cf. provvedimento di rigetto oggetto di opposizione del 13.2.2003).

Appare, pertanto, incontestato che l'odierno ricorrente appartenga all'etnia Tamil, e che il medesimo si sia dovuto allontanare dal proprio paese per via del timore di persecuzioni conseguenti all'appartenenza alla predetta etnia. Ciò si evince dalla circostanza che la richiesta di riconoscimento dello status di rifugiato è stata rigettata sull'esclusivo presupposto della insussistenza di uno stato attuale di violazione diffusa di diritti umani fondamentali nello Sri Lanka, con correlata assenza di efficaci strumenti di protezione da parte del paese di origine. In proposito, dalla dichiarazione scritta prodotta in giudizio ad opera della difesa del ricorrente, redatta in data 2.12.2001 dal sac. Parish Priest, parroco della chiesa parrocchiale di S. Giuseppe di Puthukudiyiruppu, Mullativu, dello Sri Lanka, si evince che l'odierno ricorrente, proveniente da Thirunelvelli, Jaffna, sin dal 1995 sarebbe stato costretto ad abbandonare il proprio luogo di origine per rifugiarsi presso la parrocchia di Puthukudiyiruppu, Mullativu con la propria famiglia per le persecuzioni subite da parte dell'esercito dello Sri Lanka. In particolare, secondo l'attestazione in questione, il padre dell'odierno ricorrente avrebbe perso la vista a causa di un bombardamento aereo che avrebbe danneggiato la casa natale, e la guerra etnica in corso avrebbe costretto il medesimo [...] ad abbandonare il paese per salvare la propria vita.

Tali circostanze hanno trovato conferma nell'audizione, in qualità di testimone della teste [...], la quale ha attestato che il ricorrente si è presentato allo Sportello di Palermo del Consiglio italiano per i rifugiati, per chiedere assistenza nella procedura per il riconoscimento dello status di rifugiato, e che il predetto Consiglio ha effettuato accertamenti specifici, ritenendo meritevole di supporto la richiesta avanzata dal [...].

Dall'audizione della predetta testimone è, altresì, emerso che attualmente in Sri Lanka sussistono gravi disordini per motivi etnici e politici connessi alla guerra civile tra l'etnia Tamil e quella cingalese, tuttora in corso di svolgimento, tali da comportare una situazione di persecuzione a carico degli appartenenti alla prima etnia.

In merito alla permanenza di una situazione di assenza di protezione da parte del paese di origine dei diritti fondamentali dei ricorrente, secondo informazioni ricavabili direttamente dallo stesso Ministero degli affari esteri (informazioni di pubblico dominio reperibili presso il sito http://www.viaggiaresicuri.mae.aci.it/aciWeb/it/ asia/sri_lanka/sicurezza.scheda) nello Sri Lanka dal febbraio 2002 è stato avviato un processo di pacificazione con la guerriglia Tamil che ha portato nel paese un clima di moderato ottimismo. Dal periodo natalizio del 2001 è in vigore un "cessate il fuoco" proclamato prima unilateralmente e, dal 23.2.2002, concordato in un apposito Memorandum d'intesa fra Governo e LTTE (movimento ribelle Tigri del Tamil Eelam). Sono quindi diminuiti i posti di blocco sia nella capitale che nel resto del paese e sono state riaperte varie strade di collegamento con le zone del nord-est. Tuttavia appare tuttora incerto se le trattative dirette, iniziate a settembre del 2002 con l'ausilio della mediazione del Governo norvegese, siano idonee a condurre ad una effettiva pacificazione, anche alla luce dell'insuccesso di simili iniziative nel recente passato.

Secondo la valutazione fornita dallo stesso Ministero degli affari esteri, poi, in Sri Lanka le recenti elezioni del 2.4.2005 non risultano aver risolto lo stato di incertezza politica del paese, di tal che il medesimo Ministero risulta consigliare tutt'ora, a titolo precauzionale, di evitare luoghi di eventuali manifestazioni od assembramenti e di contattare l'Ambasciata d'Italia a Colombo prima di intraprendere un viaggio nel paese, nonché di segnalare la propria presenza all'arrivo nel paese.

Risultano, peraltro, indicate tra le zone espressamente qualificate come a rischio, e, dunque, da evitare, tutta la zona a nord di Anuradhapura ed in primo luogo la penisola di Jaffna, dalla quale risulta provenire l'odierno ricorrente. La situazione risulta essere, peraltro, ulteriormente degenerata sin dall'agosto del corrente anno a seguito dell'assassinio del Ministro degli esteri Kardirgamar, tanto da dar luogo alla proclamazione, da parte del Parlamento locale, dello stato di emergenza.

La descrizione del contesto del paese di origine sin qui tratteggiata trova piena conferma nelle informazioni fornite nel rapporto annuale dell'associazione umanitaria Amnesty International, prodotto dalla parte ricorrente, secondo il quale vi e stato un sostanziale miglioramento nella situazione di più mani in seguito al "cessate il fuoco" e ai colloqui di pace tra il governo e Tigri Tamil (Liberation Tigers of Tamil Eelam - LTTE). Tuttavia, le denunce di tortura di persone detenute dalla polizia rimangono frequenti e continua a destare preoccupazione il fatto che i responsabili di violazioni dei diritti umani, comprese sparizioni e torture, non siano assicurati alla giustizia. Membri delle LTTE risulterebbero essersi resi responsabili di rapimenti di ostaggi e di reclutamento su larga scala di bambini-soldato. Secondo l'ultimo rapporto annuale della medesima associazione umanitaria, costituente un documento di pubblico dominio (http://www.amnesty.it/pressroom/ra2005/srilanka.html?page=ra_2005), il "cessate il fuoco" tra il governo e le Tigri Tamil è rimasto in vigore, nonostante numerose violazioni e la mancata ripresa dei colloqui di pace.

La situazione dei diritti umani nel nord-est del Paese risulterebbe essersi, tuttavia, deteriorata in seguito alla divisione interna delle LTTE, avvenuta nel recente aprile, e a un drammatico aumento delle uccisioni a sfondo politico. Benché durante la lotta interna siano stati liberati moltissimi bambini-soldato, le LTTE avrebbero continuato a reclutarne altri mediante rapimento, e si registrerebbero ulteriori segnalazioni di torture inflitte durante la custodia di polizia e le vittime che chiedevano giustizia hanno subito minacce e violenze. Le misure finalizzate a chiamare in giudizio le forze di sicurezza per le passate violazioni dei diritti umani non avrebbero sortito progressi significativi, e le minoranze religiose, come quella cristiana e musulmana, sarebbero state oggetto di attacchi, oltre che di limitazioni alla libertà di conversione a causa di un disegno di legge.

Tutte le informazioni sin qui brevemente prese in considerazione, unitamente alle ulteriori notizie fornite dalla parte ricorrente mediante la produzione documentale effettuata, induce a ritenere che sussista un quadro indiziario sufficiente ad attestare l'esistenza di un fondato timore che il ricorrente [...], per via della sua appartenenza alla etnia Tamil, possa essere soggetto a persecuzioni nel proprio paese di origine per motivi etnici e religiosi. Ricorrono, pertanto, nel caso di specie i presupposti per il riconoscimento, in favore dell'odierno ricorrente, dello status di rifugiato, secondo la normativa vigente all'epoca della formulazione della relativa richiesta.

In base al principio della soccombenza, espresso dall'art. 91 cod. proc. civ., le spese del giudizio vanno poste a carico del Ministero convenuto, [...].

P.Q.M.

il tribunale [...] definitivamente pronunciando; dichiara il possesso, da parte del ricorrente [...], nato in Sri Lanka il [...] dei presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato, ai sensi della Convenzione di Ginevra del 28.7.1951, ratificata dalla legge n. 722 del 1954, come attuata dall'art. 1 del D.L. n. 416/89 conv. nella legge n. 39/90; dichiara, conseguentemente, la illegittimità del provvedimento emesso dalla Commissione centrale per il riconoscimento dello status di rifugiato, con sede in Roma, del 13.2.2003, notificato in data 14.4.2003, con il quale è stato disposto il rigetto della richiesta di riconoscimento dello status di rifugiato avanzata dal predetto ricorrente; condanna l'amministrazione convenuta alla refusione delle spese processuali. [...].