ASGI

ASGI

Associazione per gli Studi Giuridici sull'Immigrazione
 
 
Indietro
 
 

Tribunale di Vicenza, sentenza del 9 agosto 2007 n. 2766

 
est. Picardi
 

[...]. Letti gli atti del procedimento n. 652/2007 R. R., promosso con ricorso ai sensi dell'art. 737 c.p.c. e dell'art. 30, co. 6, del d.lgs. 25.7.1998 n. 286, depositato in data 19.4.2007 dal sig. [...], [...] avverso il provvedimento emesso in data 4.10.2006 e notificato in data 2.4.2007, con cui il questore della provincia di Vicenza rigettava l'istanza, presentata in data 19.9.2005, di rinnovo del permesso di soggiorno, con conversione del permesso di soggiorno [...] in titolarità del ricorrente da "motivi di lavoro" a "motivi di famiglia". [...].

Osserva

Il ricorrente [...], cittadino extracomunitario della Costa d'Avorio, ha chiesto l'annullamento dell'impugnato provvedimento del questore di Vicenza con ordine della autorità amministrativa, accertato e dichiarato che egli "è titolare di tutti i requisiti per la conversione del suo titolo di soggiorno ex art. 30 co. 1 lett. c), di rilascio del relativo permesso di soggiorno per motivi familiari.

Il ricorrente ha premesso: di essere stato convivente more uxorio fin dal 1999, ed attualmente suo coniuge, con la cittadina ivoriana [...], titolare di regolare permesso di soggiorno per "motivi di lavoro", dalla cui unione sono nati i figli [...]; che nel giugno 2006 la questura di Vicenza gli comunicava che la mancanza di legittimo matrimonio avrebbe costituito causa ostativa alla conversione, invitandolo ad attivarsi per la tempestiva celebrazione delle nozze, cosa che egli faceva, presentando in Comune per la richiesta di pubblicazione i nullaosta dei nubendi rilasciati dalla Ambasciata ivoriana in Italia, ma il matrimonio non poteva essere momentaneamente celebrato avendo la convivente ottenuto il divorzio solo in data 3.2.2006 e rifiutando quindi il competente ufficiale di stato civile di procedere alle pubblicazioni stante il divieto temporaneo di nuove nozze di cui all'art. 89 c.c.; che vanamente erano state presentate memorie difensive volte a conseguire la sospensione del procedimento amministrativo per il tempo strettamente necessario alla celebrazione del matrimonio, decorso il periodo di impedimento legale, nonché a sottolineare la situazione socio-familiare di esso ricorrente, da tempo regolarmente soggiornante in Italia, convivente con una connazionale munita di regolare permesso di soggiorno, con la quale aveva costituito un vero e proprio nucleo familiare con un bambino nato nel 2001 ed altra figlia in arrivo (ed invero poi nata il 3.11.2006); che le nozze con la propria compagna venivano celebrate appena decorso il divieto temporaneo legale in data 6.12.2006, circostanza che, unitamente all'avvenuta nascita della secondogenita, veniva tempestivamente comunicata alla questura, che peraltro non aveva sospeso il procedimento ed in data 2.4.2007 appunto notificava il provvedimento qui avversato, adottato il 4.10.2006.

Impugnando il provvedimento, il ricorrente ne contesta la legittimità ed i presupposti, deducendo:

- la violazione degli artt. 10 e 30 Cost., nonché degli artt. 5, co. 9, 29, 30 co. 1 lett. c) d.lgs. n. 286/1998: in sintesi al riguardo assume che egli avrebbe avuto titolo alla conversione del permesso di soggiorno quale genitore naturale di minore regolarmente soggiornante in Italia, ai sensi del coordinato disposto degli artt. 30, co. 1 lett. c), e 29, co. 6 (ora, co. 5), del d.lgs. n. 286/1998, in base ad una lettura delle disposizioni coerente con i principi affermati dalla Corte costituzionale allorquando, con sentenza n. 203/1997, aveva dichiarato l'illegittimità dell'allora vigente art. 4, co. 1, legge n. 943/1986, e che, omettendo di considerare, pur rilevando l'insussistenza di un rapporto legale di coniugio, l'esistenza di un rapporto con il figlio minore, la questura avrebbe disatteso il pur citato art. 5, co. 9, che impone, prima di emettere un provvedimento reiettivo, di valutare l'eventuale sussistenza di condizioni per il rilascio del permesso di soggiorno ad altro titolo; la violazione degli artt. 28, co. 3, d.lgs. n. 286/1998 e dell'art. 3 Convenzione di New York sui diritti del fanciullo, per avere l'autorità amministrativa pretermesso la priorità del diritto all'unità familiare e dei diritti dei minori, senza che sussistessero in senso contrario esigenze superiori di sicurezza ed ordine pubblico per giustificare un tale sacrificio; la violazione dell'art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, dell'art. 17 direttiva CE 2003/86, degli artt. 3 e 10 bis legge n. 241/1990, al riguardo in sintesi assumendo come le norme e Convenzioni internazionali, così come anche interpretate dalla Corte europea, pongano l'assoluta rilevanza, e l'esigenza di integrale tutela, altresì dei legami e della famiglia di fatto, ossia delle convivenze al di fuori del matrimonio, dovendo secondo la citata direttiva (il cui termine di recepimento era scaduto il 3.10.2005 ed avrebbe dovuto trovare diretta applicazione all'atto dell'adozione dell'impugnato provvedimento) essere presi in considerazione nei confronti del soggiornante e dei suoi familiari, in ipotesi di provvedimenti negativi in materia di soggiorno, alcuni fondamentali elementi quali la natura e solidità dei vincoli della persona, la durata del -soggiorno nello Stato membro, l'esistenza di legami familiari culturali o sociali con il paese d'origine, principi tutti che si attagliavano al caso concreto o che avrebbero giustificato l'accoglimento dell'istanza di conversione, essendo comunque la amministrazione tenuta a valutarli ed a motivare le ragioni per le quali eventualmente avesse inteso ritenere irrilevanti dette circostanze; l'ingiustizia e contraddittorietà del comportamento della amministrazione, che non avevo inteso sospendere il procedimento amministrativo per il tempo strettamente necessario alla celebrazione del matrimonio con la convivente, atteso che sussisteva una temporanea impossibilità giuridica per ragioni di forza maggiore ex art. 89 c.c.

La difesa erariale contrasta l'accoglimento delle domande del ricorrente, in sintesi deducendo: che la norma di cui all'art. 29 co. 6 (ora, co. 5) del d.lgs. n. 286/1998 non sarebbe applicabile nel caso di specie, essendo il ricorrente già presente sul territorio nazionale da più di dieci anni, avendo svolto attività lavorativa solo saltuaria con contratti di lavoro a tempo determinato, privo di occupazione dal dicembre 2002, mantenuto grazie al sussidio di disoccupazione ed al lavoro della convivente (dal 6.12.2006 suo coniuge), essendo pertanto già decorso il periodo di "tolleranza" concesso dalla legge al genitore naturale richiedente il ricongiungimento; che ad ogni modo il ricorrente aveva richiesto il permesso di soggiorno in base al rapporto con la convivente e non in riferimento al rapporto con il figlio minore, per cui l'autorità amministrativa aveva motivato essenzialmente e diffusamente proprio in ordine alla insussistenza del rapporto di coniugio; che oltretutto a carico del ricorrente, condannato il 29.1.2002 con applicazione della pena su richiesta a quattro mesi di reclusione e 1.032 € di multa per cessione illecita di stupefacenti, esisteva ex lege una causa ostativa al rilascio del permesso di soggiorno che avrebbe anche legittimato la revoca del titolo di soggiorno ove già concesso; che il livello di inserimento sociale dei ricorrente in Italia era assolutamente carente, in considerazione dell'incapacità dello stesso di svolgere e/o mantenere stabile e continuativa attività di lavoro; che la legge italiana prevede, quale requisito per il ricongiungimento familiare, un rapporto di coniugio, mentre allorquando il ricorrente chiedeva le conversione del suo titolo la convivente era ancora sposata, circostanza che il richiedente non poteva certo ignorare, ed avevo ottenuto il divorzio dal precedente marito solo il 3.2.2006; che il permesso di soggiorno del ricorrente era scaduto da oltre un anno.

Con memoria autorizzata di replica la difesa del ricorrente ha diffusamente contestato le prospettazioni ed interpretazioni della difesa erariale. [...].

Tanto premesso, rileva il giudicante che il ricorso, ammissibile, può essere accolto.

Per quanto attiene al profilo (peraltro non contestato dalla convenuta) della ammissibilità si rileva che il ricorso, avente ad oggetto la materia del diritto all'unità familiare, è stato tempestivamente e ritualmente proposto al sensi dell'art. 30, co. 6, del d.lgs. n. 286/1998 innanzi al tribunale ordinario munito in materia di giurisdizione e territorialmente competente.

Nel merito, ed ancorché la fattispecie all'esame del tribunale presenti evidenti tratti di controvertibilità, l'istanza per il rilascio di titolo di soggiorno per motivi familiari può essere accolta. Non ricorre, ad avviso del giudicante, alcuna causa preclusiva sussumibile nel riformulato disposto dell'art. 4, co. 3, ultimo periodo, del d.lgs. n. 286/1998, come introdotto dall'art. 4 della legge n. 189/02. In tal senso, convergono le seguenti considerazioni:

a) nell'ambito del procedimento amministrativo originato dalla istanza di rilascio/conversione del titolo di soggiorno da parte del ricorrente, e definito con il provvedimento di rigetto qui impugnato, l'amministrazione (come emerge dalla ricognizione degli atti) mai aveva prospettato la sussistenza della causa di preclusione ora allegata dalla difesa erariale, né l'aveva in alcun modo posta a fondamento della sua pronuncia di rigetto, o in qualche modo richiamata nella premessa motiva (sia pur come motivo concorrente) del diniego;

b) la stessa questura, pur dopo l'emissione della pronuncia dì condanna ex art. 444 c.p.p. a carico dal ricorrente, aveva proceduto ad ulteriori rinnovi del permesso di soggiorno nella titolarità di quello, per cui, non sarebbe conforme ad un criterio di ragionevolezza deviare dai precedenti amministrativi in difetto oltretutto di una qualsiasi contestazione sul punto nell'ambito dell'intero arco del non breve procedimento ora in esame;

c) appare decisamente preferibile l'interpretazione elaborata dalla giurisprudenza amministrativa richiamata dalla difesa del ricorrente, secondo cui non sarebbe legittimo fondare, in modo vincolato ed automatico, la reiezione della domanda di rinnovo del permesso di soggiorno su pronunce di condanna, pur per reati attualmente ostativi, intervenute prima dell'entrata in vigore della legge n. 189/02, in quanto diversamente verrebbe vulnerata una delle tipiche manifestazioni del principio di certezza del diritto costituito dall'esigenza di certezza delle conseguenze dei comportamenti individuali. Va pure aggiunto che la recente difforme pronuncia invocata dall'amministrazione convenuta (sentenza n. 1201/2000 del 30.3.2006 del tribunale amministrativo regionale per il Veneto) attiene a diverse ipotesi di sentenze di condanna intervenute in epoca successiva all'entrata in vigore delle nuova, più restrittiva, norma, sia pur per fatti-reati (inerenti gli stupefacenti) commessi prima della riforma del 2002.

Ciò posto, la vicenda portata alla cognizione del tribunale avrebbe potuto conoscere un esito diverso, in grado di contemperare gli interessi pubblicistici, di cui l'autorità amministrativa è sempre portatore e garante, e l'esigenza di tutela degli interessi familiari del ricorrente.

All'epoca della proposizione dell'istanza di rinnovo/conversione del permesso di soggiorno, la situazione familiare del ricorrente presentava i seguenti caratteri: egli era da molti anni regolarmente soggiornante in Italia, con permessi per lavoro sempre rinnovati; aveva un consolidato rapporto di convivenza con una connazionale munita di regolare permesso di soggiorno per motivi di lavoro, con la quale aveva costituito un vero e proprio nucleo familiare con un figlio naturale nato nell'anno 2001, riconosciuto e convivente con i genitori; pur essendo da tempo il ricorrente privo di stabile occupazione lavorativa, la compagna regolarmente occupata era percettrice di redditi (cfr. dichiarazioni fiscali in atti, reddito complessivo di euro 18.864 per l'anno 2006) di entità tale da assicurare i mezzi di sostentamento per un'esistenza libera e dignitosa (pur nella disoccupazione del ricorrente) all'intero nucleo familiare.

Sussistevano pertanto tutte le condizioni che imponevano un rigoroso vaglio, prima di adottare un eventuale provvedimento negativo capace di incidere su un diritto soggettivo a valenza costituzionale, pur da equilibrare con esigenze di natura pubblicistica, quale quello all'unità familiare, richiamato dall'istante e valorizzato in numerose pronunce anche del Giudice delle leggi e delle Corti internazionali, di cui vi è vasta eco in ricorso, con speciale riguardo alla connessa esigenza del figlio minore ad essere allevato in un nucleo familiare composto, tutte le volte che ciò sia possibile, dai genitori (da entrambi i genitori: nel caso di specie genitori naturali conviventi).

In ossequio a detti principi, corrispondenti a valori posti al vertice dell'ordinamento costituzionale e validi naturalmente anche per i non "cittadini" (italiani e comunitari), l'amministrazione avrebbe potuto legittimamente adottare un provvedimento capace di incidere in modo negativo sull'unità familiare solo laddove, alla luce delle norme e dei principi normativi (di legge, costituzionali, delle norme internazionali recepite nell'ordinamento interno), nessuna altra soluzione alternativa, capace di preservare l'unita familiare dell'instante nei confronti dalla convivente more uxorio e soprattutto del figlio minore convivente (all'epoca uno solo, di tenera età essendo nato nel 2001), poteva risultare possibile.

In tale valutazione, l'amministrazione avrebbe potuto, e dovuto orientare la interpretazione e l'applicazione delle norme di legge secondi i surrichiamati principi generali, tenendo tra l'altro conto della disposizione, programmatica ma al tempo stesso imperativa, di cui al co. 3 dell'art. 28 del d.lgs. n. 286/1998 ("in tutti i procedimenti amministrativi e giurisdizionali finalizzati a dare attuazione al diritto all'unita familiare e riguardanti i minori, deve essere preso in considerazione con carattere dì priorità il superiore interesse del fanciullo, conformemente a quanto previsto dall'art. 3, co. 1, della Convenzione sui diritti del fanciullo del 20.11.1989, ratificata e resa esecutiva ai sensi dalla legge 27.5.1971, n, 176"), nonché della direttiva di cui al pure richiamato art. 5, co. 9, che impone, prima di emettere un provvedimento reiettivo, di valutare l'eventuale sussistenza di condizioni per il rilascio del permesso di soggiorno ad altro titolo (sia pur, per quanto qui rileva, all'interno della medesima tipologia generale dei motivi di famiglia, cui aveva riguardo la pur scarna istanza di conversione proposta dal ricorrente).

Per assecondare questo obiettivo, la P.A. avrebbe avuto in realtà a disposizione alcune utili vie alternative. Avrebbe potuto valorizzare il rapporto con il figlio naturale riconosciuto inserito nella famiglia di fatto costituita dai due genitori (il ricorrente e la sua compagna convivente more uxorio, pur all'epoca non - ancora - uniti con un formale rapporto di coniugio), per es. con un'interpretazione del coordinato disposto degli artt. 30 co. 1 lett. c) e 29 co. 6 (ora, co. 5) del d.lgs. n. 286/1998 (pur non espressamente richiamati nell'istanza di conversione), di cui è plausibile la lettura prospettata dalla difesa del ricorrente ed avversata dall'avvocatura erariale.

L'interpretazione prospettata in ricorso infatti risulta maggiormente coerente con i principi sistematici di tutela del diritto all'unita familiare che, nel possibile dubbio interpretativo, devono informare l'applicazione delle norme. Per tale versante, rileva il tribunale (pur nell'oggettiva controvertibilità della questione) che al citato art. 30 co. 1 lett. c) deve essere riservata la lettura interpretativa più ampia possibile, anche attraverso un'esegesi estensiva in bonam partem recuperando le maggiori potenzialità di tutela della famiglia coerenti con la lettera e lo spirito della legge e non ostandovi la circostanza che, nell'ipotesi classica del ricongiungimento, il genitore naturale si trovi in una situazione di non ancora avvenuto ingresso nel territorio nazionale, che giustificherebbe il periodo di "tolleranza" di un anno per l'acquisizione dei requisiti di reddito e di alloggio.

Nel caso di specie, il fatto che il richiedente si trovasse da tempo in Italia e che negli ultimi anni, in costanza del permesso di soggiorno, per motivo di lavoro, fosse stato in una condizione di ricerca occupazionale, non poteva per ciò stesso escludere la conversione del titolo di soggiorno al fine di consentirgli l'accudimento del figlio minore convivente. Tanto più che, non controversa la sussistenza del requisito di alloggio, i mezzi di sostentamento venivano assicurati all'intero nucleo familiare dall'altro genitore e la possibilità dell'accesso alle opzioni lavorative consentite dal permesso di soggiorno per motivi familiari avrebbe consentito al ricorrente in modo legale - art. 29 co. 2 d.lgs. n. 286/1998 - un ulteriore periodo di tempo per una ricerca occupazionale.

Ancora, acclarato che i due conviventi, conseguito il divorzio dalla donna, avevano attivato le procedure per "regolarizzare" con formale matrimonio la loro unione, con la sola esigenza di osservare il periodo legale di divieto a contrarre nuovo matrimonio, la sospensione temporanea del procedimento amministrativo, richiesta con memoria difensiva del legale del ricorrente, non avrebbe leso alcun superiore interesse pubblico ovvero il principio di buon andamento della pubblica amministrazione, posto che:

- il procedimento amministrativo, conseguito alla richiesta di conversione non era stato sollecitamente definito e già pendeva da alcuni mesi;

- non ricorrevano in senso contrario prevalenti esigenze di sicurezza e di ordine pubblico (come detto, la condanna "patteggiata" del 2002 non poteva fungere da discrimine selettivo negativo e nemmeno era stata sino ad allora presa in considerazione dalla questura come fatto impeditivo);

- la sopravvivenza economico materiale del ricorrente poteva essere assicurata, ed era volontariamente assicurata dalla sua compagna nonché prossima sposa.

In definitiva il procedimento amministrativo avrebbe potuto, e dovuto, sortire un diverso esito capace di preservare il diritto all'unità familiare del ricorrente, cui attualmente si aggiunge, quale fatto sopravvenuto legittimante il suo soggiorno in Italia, la contrazione dei matrimonio. Sarebbe invero frutto di eccessivo formalismo conseguire l'immediato allontanamento dell'istante dal territorio nazionale - con ciò per l'intanto disgregandone l'unità familiare ed interrompendo i rapporti parentali - per poi eventualmente secondarne in un momento successivo un possibile ricongiungimento ex art. 29, co. 1 lett. a) d.lgs. n. 286/1998.

In definitiva il ricorso va accolto nei termini e per le ragioni che precedono (assorbito il rilievo di ogni altra questione, anche di possibile contrasto con i principi costituzionali di alcune norme del vigente diritto positivo), provvedendosi come da dispositivo.

La controvertibilità e non comune difficoltà interpretativa delle questioni trattate integrano infine giustificato motivo per disporre la compensazione delle spese processuali.

P.Q.M.

visti gli artt. 737 c.p.c.; 28 e segg. del d.lgs. 25.7.1998 n. 286 annulla il decreto, emesso in data 4.10.2006 e notificato in data 2.4.2007 (Cat. A.12/Immigrazione n. 400/2006), con cui il questore della provincia di Vicenza ha disposto il rigetto dell'istanza di rinnovo del permesso di soggiorno per motivi di famiglia nei confronti del ricorrente [...]. Dichiara che il ricorrente medesimo è titolare dei requisiti per la conversione del suo titolo di soggiorno ex art. 30, co. 1 lett. c), d.lgs. n. 286/1998 ed ordina il rilascio del relativo permesso di soggiorno per motivi di famiglia, previa verifica di ogni altra diversa condizione di legge. Compensa le spese processuali tra le parti.