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Associazione per gli Studi Giuridici sull'Immigrazione
 
 
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Corte d'Appello di Firenze, decreto del 2 febbraio 2007

 
est. Rados
 

Nel procedimento per reclamo n. 909/06 Ruolo V.G. proposto ex art. 739 c.p.c. dal Ministero degli esteri contro il decreto del 9-13.11.2006 con cui il tribunale di Firenze, affermata la giurisdizione dell'A.G.O., in accoglimento del ricorso proposto da [...] ha ordinato al Ministero reclamante ed al Consolato generale d'Italia a Casablanca il rilascio del visto d'ingresso per ricongiungimento familiare in favore della minore [...], affidata a detta [...], ha pronunziato il seguente decreto.

Con ricorso ex art. 30 co. 6 d.lgs 286/98 presentato il 21.10.2006 [...] impugnava davanti al tribunale di Firenze il provvedimento di rifiuto del rilascio del visto d'ingresso per ricongiungimento familiare da parte del Consolato generale d'Italia a Casablanca, chiedendo il rilascio del visto in favore della minore [...], sua nipote "ex fratre" a lei affidata con atto di kafala del 7.9.2005.

Esponeva la ricorrente che il 9.1.2006 aveva presentato alla prefettura di Firenze l'istanza volta ad ottenere il rilascio del nulla osta al ricongiungimento familiare con la predetta minore [...]. La prefettura di Firenze, accertata la sussistenza di tutti i requisiti di legge, aveva in data 20.3.2006 rilasciato il nulla osta all'ingresso in Italia, immediatamente trasmesso in Marocco per consentire alla minore di ottenere il visto d'ingresso per ricongiungimento familiare. Ma in data 1.9.2006 la P.A. aveva notificato il rifiuto del rilascio del visto d'ingresso assumendo che "secondo la legge italiana, non ha diritto al ricongiungimento familiare previsto per i genitori" in quanto "la sua situazione non corrisponde ai termini previsti dalla legge in materia di adozione o affidamento".

In accoglimento del ricorso, col decreto indicato in epigrafe il tribunale di Firenze, ritenendo che il provvedimento impugnato si poneva in violazione dell'art. 20 Convenzione New York, disponeva il rilascio del visto d'ingresso in favore della minore previa semplice esibizione al Consolato del passaporto e della documentazione di viaggio, condannando l'amministrazione convenuta al rimborso delle spese del procedimento. Contro tale decreto il Ministero degli affari esteri propone rituale reclamo lamentando che l'atto di affidamento della minore (con atto di kafala) non è direttamente applicabile nel nostro ordinamento in quanto difetterebbero nella specie i seguenti presupposti: a) l'adozione da parte di autorità competente; b) la conformità con i principi di ordine pubblico italiano.

Assume il Ministero reclamante che, sebbene in linea generale i provvedimenti a protezione del minore hanno piena efficacia nell'ordinamento italiano senza la necessità di alcuna verifica da parte del giudice italiano, l'atto di kafala emesso dal tribunale di prima istanza di Casablanca in data 7.9.2005 non avrebbe efficacia in Italia, in quanto non risponderebbe ai necessari presupposti per la sua diretta applicabilità nel nostro sistema giuridico, trattandosi di un "istituto ibrido" non riconducibile ad un corrispondente istituto di diritto interno.

E mentre il primo profilo (presupposto costituito dall'adozione da parte di autorità competente) rimane uno sterile richiamo non concretantesi in una specifica contestazione che possa essere oggetto d'esame, in ordine al secondo dei presupposti enunciati si rileva che ai sensi dell'art. 23 legge n. 189/02 e dell'art. 6 secondo e terzo comma del regolamento del 31.8.1999 n. 394 la questura, " ... verificata la sussistenza degli altri requisiti e condizioni, ... rilascia, entro 90 giorni dalla ricezione, il nulla osta condizionato alla effettiva acquisizione, da parte dell'autorità consolare italiana, della documentazione comprovante i presupposti di parentela, coniugio, minore età o inabilità al lavoro e di convivenza. Le autorità consolari, ricevuto il nulla osta di cui al comma 2, ovvero, se sono trascorsi novanta giorni dalla presentazione della domanda di nulla osta, ricevuta copia della stessa domanda e degli atti contrassegnati a norma del medesimo comma 1, ed acquisita la documentazione comprovante i presupposti di cui al comma 2, rilasciano il visto di ingresso, previa esibizione del passaporto e della documentazione di viaggio ... ".

Ne consegue che all'autorità consolare è demandato solo la verifica del presupposto (della parentela, coniugio, minore età, convivenza, ecc.) cui è subordinata l'efficacia del nulla osta, mentre spetta solo alla questura la verifica degli altri requisiti e condizioni. La questione che ne occupa nel caso di specie è se l'istituto marocchino della kafala sia idoneo ai fini del ricongiungimento familiare del minore "affidato" con l'"affidatario" (c.d. kafil).

Si osserva che, anche dopo la riforma del diritto di famiglia apportata nel 2004 nello Stato del Marocco, la kafalah rappresenta ad oggi l'unico strumento giuridico volto a fornire adeguata protezione sostitutiva al minore e nella specie, a differenza di quanto sostiene - nella rilevata maniera generica e non argomentata - l'amministrazione reclamante, il provvedimento è stato omologato dalla compente autorità, cioè il tribunale di prima istanza di Casablanca - Divisione affari familiari sezione notarile, come risulta dal provvedimento allegato in atti, tradotto e legalizzato dal Consolato generale d'Italia a Casablanca. Da tale atto (v. doc. 4) risulta chiaramente che la minore [...] viene affidata alla odierna resistente [...], zia paterna indicata nel corpo dell'atto quale affidataria della minore, affinché "vegli su di lei, sopperisca a tutte le sue necessità, viaggi con lei all'estero, e viva con lei". Il tribunale di Casablanca di prima istanza rappresenta invero l'organo funzionalmente competente, ai sensi della legge marocchina, all'omologazione dell'affidamento in kafalah.

Quanto alla contestata compatibilità del predetto istituto con i principi di ordine pubblico italiano, si rileva che l'art. 20 comma 3 della Convenzione sui diritti del fanciullo di New York, ratificata dallo Stato italiano con la legge 27.5.1991 n. 176, prevede espressamente: "1. Ogni fanciullo il quale è temporaneamente o definitivamente privato del suo ambiente familiare oppure che non può essere lasciato in tale ambiente nel suo proprio interesse, ha diritto ad una protezione e ad aiuti speciali dello Stato.

2. Gli Stati parti prevedono per questo fanciullo una protezione sostitutiva, in conformità con la loro legislazione nazionale.

3. Tale protezione sostitutiva può in particolare concretizzarsi per mezzo di sistemazione in una famiglia, della kafalah di diritto islamico, dell'adozione o in caso di necessità, del collocamento in un adeguato istituto per l'infanzia. Nell'effettuare una selezione tra queste soluzioni, si terrà debitamente conto della necessità di una certa continuità nell'educazione del fanciullo, nonché della sua origine etnica, religiosa, culturale e linguistica".

Orbene, il tenore letterale di tale articolo non lascia spazio ad interpretazioni difformi. Ciascuno Stato invero provvede secondo la propria legislazione a garantire una protezione sostitutiva del minore. Il Marocco, per le peculiarità del proprio ordinamento, provvede in tal senso attraverso l'istituto della kafalah, la quale, è espressamente citata tra le forme di tutela (protezione) del minore proprio nel testo di legge vigente nel nostro ordinamento.

È dunque chiaro che l'Italia, ratificando la Convenzione di New York con la citata legge n. 176 del 1991 ed essendo quindi uno Stato parte della Convenzione al pari del Marocco, ha chiaramente inteso escludere, in astratto ed in radice, l'eventualità che la kafalah possa essere un istituto in contrasto con l'ordine pubblico interno: ciò proprio in quanto il riconoscimento e l'efficacia della kafalah nel nostro ordinamento sono avvalorati da una legge dello Stato che ha recepito una Convenzione internazionale a tutela dei diritti del fanciullo. Del resto appare alquanto arduo ipotizzare che l'atto di kafalah, in quanto istituto produttivo di effetti a protezione del minore, possa porre problematiche di ordine pubblico, alla luce del riconoscimento dei fondamentali diritti all'unità familiare e alla tutela dei minori sanciti dalla nostra Carta costituzionale, dalla normativa internazionale, nonché dagli artt. 28 e segg. d.lgs. 286/98. E' invero significativo che, al di là di assiomatiche affermazioni di natura generica, il Ministero reclamante non fornisce alcuna argomentazione in ordine ai motivi in base ai quali l'istituto in esame possa manifestare un contrasto con l'ordine pubblico italiano.

Deve pertanto ritenersi che la misura di protezione del minore prevista dallo Stato del Marocco con la kafalah ha pieno riconoscimento nel nostro ordinamento quale provvedimento relativo allo stato e alla capacità delle persona e all'esistenza dei rapporti di famiglia, anche - e direttamente, senza che sia necessario il ricorso ad alcun procedimento - ai sensi degli artt. 65 e 66 legge n. 218/95.

Non giova infatti all'amministrazione la lunga digressione sull'affidamento familiare e sull'adozione, che si conclude con l'affermazione - che rimane una indimostrata petizione di principio - secondo cui "non trovano spazio nel nostro ordinamento istituti ibridi come la kafala o altri assimilabili, in quanto non sono riconducibili ad un corrispondente istituto di diritto interno". Correttamente infatti il primo giudice ha assimilato l'affidamento in kafalah alla situazione conseguente ad un'adozione o ad un affidamento previsti dalla legge interna ai fini del ricongiungimento familiare.

Invero, il fatto che l'art. 29 d.lgs. 286/98 non citi espressamente la kafalah nel testo della norma non significa che detto istituto sia escluso dalla procedura del ricongiungimento familiare. A ben vedere, la norma non menziona neanche espressamente l'adozione e l'affidamento quali istituti per accedere alla procedura di ricongiungimento, limitandosi a richiamare non già i singoli istituti a protezione del minore, bensì gli effetti prodotti dalla misura sostitutiva.

La norma dell'articolo in questione dispone infatti che si considerano minori i figli di età inferiore a 18 anni e che i minori adottati o affidati o sottoposti a tutela sono equiparati ai figli. Nel caso di specie la minore è a tutti gli effetti affidata alla zia.

Del resto anche la Corte di cassazione, nella sentenza n. 21395/05 richiamata dall'amministrazione ed avente peraltro ad oggetto un caso di adozione in cui si affronta solo incidentalmente il tema della kafalah, afferma che quest'ultima, anche se " ... non attribuisce tutela e rappresentanza legale ... , attribuisce peraltro agli affidatari un potere-dovere di custodia con i contenuti educativi di un vero e proprio affidamento preadottivo [...] nel senso che dal punto di vista sostanziale vuole realizzare una vera e propria presa in carico educativa da parte degli affidatari ben paragonabile al contenuto del nostro affido familiare ...".

Se poi si considera che l'art. 32 d.lgs 286/98 prevede espressamente il diritto al rinnovo conversione del permesso di soggiorno in favore dei minori comunque affidati e che la sentenza della Corte costituzionale n. 198/2003, la quale ha parificato il minore sottoposto a tutela a quello sottoposto ad affidamento (in particolare al fine del diritto al rinnovo conversione del permesso di soggiorno del minore divenuto maggiorenne), avvalora l'interpretazione in base alla quale il superiore interesse del fanciullo non può essere limitato o compromesso in ragione del "nomen" attribuito alla misura di protezione sostitutiva, dovendosi invece attribuire rilevanza all'effetto connesso alla misura stessa, rimane sopito ogni possibile dubbio al riguardo.

Alle luce delle considerazioni esposte la minore [...], sottoposta a kafalah secondo l'ordinamento marocchino, deve ritenersi a tutti gli effetti di legge una minore affidata all'odierna resistente in quanto destinataria di una misura di protezione sostitutiva prevista dalla legge che riconosce diretta efficacia e validità all'affidamento con atto di kafalah disposto dall'autorità giurisdizionale dello stato di cittadinanza della minore stessa.

Si impone pertanto il rigetto del reclamo in quanto infondato. Le spese del procedimento seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

la Corte respinge il reclamo proposto dal Ministero degli esteri contro il decreto del 9-13.11.2006 del tribunale di Firenze e condanna il Ministero reclamante a rimborsare a [...] le spese ulteriori del procedimento, [...].