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Associazione per gli Studi Giuridici sull'Immigrazione
 
 
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Tribunale di Modena, sentenza del 6 novembre 2007 n. 3136

 
est. Pasquariello
 

Nei confronti di [...], nato in [...] il [...] residente in [...] libero - presente imputato del delitto p. e p. dall'art. 22 co. 12 d.lgs. 25.7.1998 n. 286, poiché in qualità di legale rappresentante della [...] s.r.l. con sede a [...], Via [...], occupava alle proprie dipendenze lavoratore straniero identificato in [...] nato a [...] (Liberia) il [...], munito di permesso di soggiorno per richiesta di asilo politico. Commesso in [...] in data 1.5.2003.

Motivazione

La tesi accusatoria esplicitata nella imputazione sopra riportata si fonda su alcune circostanze di fatto non in contestazione.

Il 4.9.2004 il cittadino liberiano [...], domiciliato a [...], presentava all'Ufficio stranieri della questura di Modena domanda di rinnovo del permesso di soggiorno [...], rilasciatogli il 10.3.2003 quale richiedente asilo politico.

Detta categoria di permessi di soggiorno non consente lo svolgimento di attività lavorativa; peraltro nella circostanza suddetta [...] presentava documentazione attestante la disponibilità di una abitazione ed attestante lo svolgimento di attività lavorativa subordinata, a far data dall'1.5.2003, quale operaio alle dipendenze della [...], amministrata e rappresentata da [...]. Per tale motivo a quest'ultimo, quale datore di lavoro, è stata contestata la violazione del disposto dell'art. 22, co. 12, d.lgs. 286/98, come sopra riportato.

In diritto la tesi accusatoria non è condivisibile. La norma incriminatrice in esame - la cui ratio è di punire colui che agevola la permanenza irregolare di stranieri nel territorio attraverso la rimunerazione di attività di lavoro (svolta necessariamente in nero, peraltro) - espressamente sanziona la parte datoriale che "dia lavoro a stranieri privi del permesso di soggiorno previsto dal presente articolo, ovvero il cui permesso sia scaduto e del quale non sia stato chiesto nei termini rinnovo". È vero che il permesso di soggiorno di [...] non era stato rilasciato per motivi di lavoro (quindi non ricompreso fra quelli dell'art. 22 citato), ma è anche indubbio che lo straniero soggiornava regolarmente nel territorio italiano al momento dell'assunzione e dello svolgimento dell'attività lavorativa. Avuto riguardo alla inequivoca ratio della norma incriminatrice (controllo delle frontiere e repressione delle presenze clandestine) la fattispecie in esame si presenta totalmente estranea alla suddetta ratio, sì da imporre una interpretazione dell'art. 22 volta a limitarne la rilevanza penale alle assunzioni di lavoratori privi di permesso di soggiorno tout court. Detta interpretazione si presenta altresì necessaria e costituzionalmente orientata, in relazione al disposto dell'art. 10, co. 3, Costituzione, che riconosce il diritto d'asilo agli stranieri; è d'immediata evidenza che il riconoscimento al diritto a dimorare nel territorio dello Stato italiano, in favore di coloro che siano privi delle libertà fondamentali nel paese di provenienza, sarebbe svuotato di ogni contenuto concreto qualora ai medesimi soggetti venga impedita la possibilità di sostenersi lecitamente, né si può pensare di limitare l'effettività del diritto d'asilo ai soli redditieri stranieri.

Diversa interpretazione della norma incriminatrice ne imporrebbe pertanto la censura di incostituzionalità.

L'assunzione lavorativa incriminata quindi, giacché avvenuta in presenza del rilascio di valido permesso di soggiorno, per i motivi sopra esplicati deve ritenersi non integrare condotta punita dall'art. 22 d.lgs. 286/98, con conseguente piena pronuncia assolutoria.

P.Q.M.

il giudice, visto l'art. 530 c.p.p., assolve l'imputato dal reato a lui ascritto perché il fatto non sussiste. [...].