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Associazione per gli Studi Giuridici sull'Immigrazione
 
 
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Tribunale per i minorenni di Milano, decreto del 13 dicembre 2007

 
rel. Domanico
 

Nel procedimento indicato in epigrafe promosso ai sensi dell'art. 31 d.lgs. 286/98 dalla madre della minore, [...], nell'interesse della figlia minore [...].

- Letto il ricorso, depositato in data 1.9.2006, dalla madre della minore, con cui la stessa chiedeva di essere autorizzata a permanere in Italia ai sensi dell'art. 31 d.lgs. 286/98, evidenziando che al sig. [...], dopo essere stato colpito da un decreto di espulsione senza rimpatrio, era stato rilasciato, in seguito alla sanatoria 2002, il permesso di soggiorno scaduto in data 18.6.2004; che lo stesso ne aveva chiesto il rinnovo; che la ricorrente aveva chiesto la regolarizzazione nel 2002 ma ad oggi non le era stato ancora notificato alcun provvedimento; che le era stato notificato provvedimento di espulsione per il fatto di essere stata coinvolta in una rissa, pur non risultando responsabile.

- Esaminata la documentazione prodotta dalla ricorrente (copia del passaporto della madre, certificato di nascita della minore, permesso di soggiorno scaduto del padre, CUD 2006, copia della ricevuta del deposito della richiesta del rinnovo del permesso di soggiorno del padre, atto di diffida contro il questore di Milano, busta paga del padre). - Sentiti in data 3.10.2006 i genitori della minore, i quali confermavano quanto esposto nel ricorso e rendevano noto di aver sempre lavorato; la madre della minore, riferiva inoltre di essere stata anch'essa colpita da un provvedimento di espulsione con rimpatrio e di esser ritornata in Italia trascorsi tre mesi; il padre della minore precisava che il suo permesso dì soggiorno era stato rinnovato con scadenza 19.7.2007, come emerge dalla copia prodotta dalla quale si evince che trattasi di permesso di soggiorno per lavoro.

- Acquisiti i certificati penale e dei carichi pendenti della ricorrente che risultano nulli.

- Rilevato che il nucleo familiare è stabilmente inserito nel contesto sociale in cui vive già da diversi anni e che la minore è nata in Italia; ritenuto che l'eventuale espulsione della madre dal territorio dello Stato costituirebbe un grave pregiudizio per il sano e regolare sviluppo psicofisico della minore, avuto riguardo alla sua tenera età, che necessita delle cure materne, e riconosciuto il diritto fondamentale della minore all'unità familiare, essendo il padre titolare di permesso di soggiorno; rilevato, d'altra parte, che un eventuale rimpatrio della minore con la madre la priverebbe della figura paterna.

- Ritenuto pertanto che, nel caso in esame, ricorrano le condizioni di cui all'art. 31 co. 3 d.lgs. 286/98, sussistendo gravi motivi connessi con lo sviluppo psico-fisico della minore tali da rendere opportuno, nell'esclusivo interesse della stessa, la permanenza in Italia della madre; ritenuto che la situazione di potenziale pregiudizio per la minore causato dalla rottura dell'unità familiare potrà essere in un prossimo futuro evitato attivandosi da parte dei genitori la procedura per la coesione familiare, ponendo rimedio l'autorizzazione di cui all'art. 31 esclusivamente alla attuale temporanea situazione di grave danno psicofisico derivante alla minore da un immediato, e non programmato dalla famiglia, allontanamento della madre dal territorio dello Stato.

- Richiamata la sentenza n. 22216 del 28.9.2006/16.10.2006 emessa dalla Corte di cassazione, sezioni unite, dalla cui motivazione si evince che la presenza di gravi motivi di pregiudizio psico-fisico per il minore deve necessariamente e puntualmente essere dedotta dal ricorrente e accertata dal tribunale per i minorenni come emergenza attuale solo nell'ipotesi di richiesta di autorizzazione all'ingresso del familiare nel territorio nazionale, in deroga alla disciplina generale della immigrazione; e che, al contrario, la deduzione di quanto sopra non si ravvisa come necessaria da parte del ricorrente nell'ipotesi in cui sia chiesta, come nel caso di specie, l'autorizzazione alla permanenza in territorio nazionale del familiare, il quale diversamente sarebbe espulso, ritenendosi in tal caso sufficiente, ai fini dell'accoglimento del ricorso, che la situazione eccezionale nella quale vengano ravvisati i gravi motivi possa essere dedotta quale conseguenza dell'allontanamento improvviso del familiare sino ad allora presente nonché del minore, e cioè di una situazione futura ed eventuale che va apprezzata e valutata dal giudice.

- Ritenuto che, nel caso concreto, deve ritenersi accertato che la presenza della madre nella famiglia sia fondamentale per l'equilibrio psico-fisico della minore in ragione della sua tenera età e che, nel caso di espulsione della stessa, la lesione del diritto fondamentale della minore di crescere con entrambi i genitori comporterebbe un grave danno psico-fisico per la stessa; ritenuto d'altra parte, sufficiente, una autorizzazione alla ricorrente a permanere in Italia ex art. 31 per un anno in modo che possa essere attivata da parte dei genitori della minore la procedura per la coesione familiare ex art. 29 T.U.

- Preso atto del recente orientamento interpretativo restrittivo adottato dalla Corte di appello di Milano, sezione minori e famiglia, secondo cui l'autorizzazione di cui all'art. 31 può essere rilasciata solo "per gravi motivi che pongano in serio pericolo lo sviluppo normale della personalità del minore sia dal punto di vista fisico che psichico. Motivi che sono correlati esclusivamente alla sussistenza di situazioni contingenti ed eccezionali [...] e che non possono identificarsi in situazioni [...] che presentano invece il carattere di normalità e di tendenziale stabilità". La Corte ritiene quindi che, ponendo l'accento sui gravi motivi, il dettato normativo ne limiti l'applicazione "alle sole situazioni contingenti e di emergenza, in presenza cioè di un pericolo grave e attuale per il minore (come ad esempio nel caso di cure mediche urgenti non erogate o non erogabili nello Stato di appartenenza). Non può invece essere applicata per consentire al familiare del minore di permanere sul suolo italiano in violazione della disciplina della immigrazione in base a circostanze, che presentano il carattere di normalità e di tendenziale stabilità, quali ad esempio quelle ricollegabili alle migliori opportunità e condizioni di vita offerte dal nostro paese all'esigenza di salvaguardare l'integrazione della prole nel tessuto sociale italiano, o completare gli studi ivi intrapresi, o di evitare il trauma derivante dalla separazione del genitore espulso [...]".

- Ritenuto che tale orientamento, che sembra anche contrastare con quanto indicato da, sezioni unite della Suprema Corte, non possa essere condiviso, in quanto non appare coerente con la lettera e la ratio dell'art. 31 d.lgs. in esame.

- Ritenuto infatti, che nella lettera e nella ratio della norma non sia ravvisabile un carattere di eccezionalità e i gravi motivi non possano essere interpretati esclusivamente con riferimento a gravissime e contingenti situazioni di pericolo psicofisico per il minore giacché tale interpretazione, ingiustificatamente restrittiva, porterebbe ad una sostanziale disapplicazione della norma.

- Ritenuto, viceversa, che l'art. 31, costituisca sì norma di eccezione, ma se letta esclusivamente dal punto di vista dello straniero adulto richiedente che, in ogni caso, data la temporaneità e non convertibilità del tipo di permesso di soggiorno concesso ex art. 31, ha tutto l'interesse ad ottenere permessi di soggiorno più stabili e che offrano maggiori garanzie; ritenuto che tale interpretazione sia però riduttiva giacché la norma, che si intitola disposizioni a favore dei minori, fa riferimento prevalente alla situazione in cui si trovi il minore straniero in Italia e, dunque, per apprezzare la gravità dei motivi, connessi con lo sviluppo sia psicologico che fisico del minore e tenuto conto dell'età, oltre che delle sue condizioni di salute, il giudice ha il dovere di far riferimento a tutte le norme, nazionali e sovranazionali, a protezione dell'infanzia; accertato, quindi, il danno che deriverebbe al minore dall'allontanamento del genitore dal territorio dello Stato, ovvero dal suo stesso allontanamento con il genitore, il tribunale per i minorenni può autorizzare il genitore medesimo a permanere in Italia in deroga alle altre disposizioni del testo unico; rilevato, del resto, che ai sensi dell'art. 2 co. 6 del decreto legislativo 8.1.2007 n. 5 (attuazione della direttiva 2003/86/CE relativa al diritto di ricongiungimento familiare), in vigore dal 15.2.2007, "al familiare autorizzato all'ingresso ovvero alla permanenza sul territorio nazionale ai sensi dell'art. 31, co. 3, è rilasciato, in deroga a quanto previsto dall'art. 5, co. 3 bis, un permesso per assistenza minore, rinnovabile, di durata corrispondente a quella stabilita dal tribunale per i minorenni. Il permesso di soggiorno consente di svolgere attività lavorativa ma non può essere convertito in permesso per motivi di lavoro"; che la non convertibilità di tale tipo di permesso indurrà quindi i richiedenti a progettare con maggiore ponderazione la loro vita in Italia con i figli e pertanto non si devono temere eccessive strumentalizzazioni dell'art. 31, giacché sostanzialmente tale norma non può di fatto essere utilizzata per superare il sistema delle quote e, dunque, non si giustificano le interpretazioni restrittive sopra richiamate, essendo d'altra parte diversa la ratio della norma in esame, poiché al centro della interpretazione deve essere posto l'interesse del minore.

- Ritenuto pertanto di condividere l'interpretazione meno restrittiva espressa da gran parte della giurisprudenza di merito; rilevato, in particolare, che la Corte di appello di Napoli ha già avuto modo di rilevare come l'art. 31, con riferimento alla valutazione dei gravi motivi, vada interpretato alla luce della normativa nazionale ed internazionale con particolare riferimento alla protezione della famiglia e dei diritti fondamentali della infanzia; che i gravi motivi devono dunque corrispondere alla necessità di non deprivare traumaticamente il fanciullo della fruizione di diritti fondamentali riconosciuti dalla legge, a prescindere dalla sua condizione di straniero; che pertanto nell'ambito di tali diritti fondamentali del minore straniero debbano farsi rientrare quelli sanciti anche dalla Convenzione sui diritti del fanciullo stipulata a New York il 20.11.1989 e, quindi, non solo quello alla salute psico-fisica, ma anche il diritto alla unità familiare e a completare il ciclo di studi; che, del pari, la Corte di appello di Torino ha ritenuto che l'interesse del minore debba essere posto al centro delle indagini da parte del giudice; pertanto "il tribunale per i minorenni deve valutare in concreto, caso per caso, come inciderebbe, sullo sviluppo psicofisico del minore medesimo, la separazione dal familiare che non possa rimanere sul territorio nazionale, ovvero la necessita di seguire detto familiare all'estero. Svolte queste indagini, potrà pervenire alla autorizzazione di cui all'art. 31 solo se, per specificità e l'indispensabilità del legame, per l'impossibilità di un trasferimento del minore all'estero, per l'impossibilità di porre rimedio all'assenza del familiare con strumenti di aiuto o sostitutivi, in sostanza per una serie di circostanze, nel loro complesso definibili come eccezionali e contingenti, la situazione che si verrebbe a creare con l'allontanamento del familiare dal territorio nazionale avrebbe effetti gravi e sicuramente pregiudizievoli per lo sviluppo psico-fisico del minore". La Corte di appello di Lecce, richiamando anche analoga pronunzia della Corte di appello di Bari, ha poi ritenuto la sussistenza di gravi motivi psico-fisici di una minore, autorizzando entrambi i genitori a permanere sul territorio dello Stato, riconoscendo la sussistenza di un danno psicologico che sarebbe derivato alla minore stessa da un eventuale rientro nel paese di origine, essendo la bambina ben inserita nel contesto scolastico, sociale ed ambientale italiano e configurandosi un allontanamento con i genitori verso il proprio paese come un vero e proprio sradicamento.

- Ritenuto, pertanto, che dal tenore della norma e da quanto evidenziato dalla Suprema Corte con sentenza 28.9/16.10.2006 n. 22216, si evince che la gravità dei motivi non possa essere connessa, come sostanzialmente sembra ritenere la Corte di appello di Milano nei decreti richiamati, esclusivamente alla presenza di gravissime problematiche relative alla salute, giacché la stessa dizione letterale della norma fa riferimento alla presenza di gravi motivi anche solo di ordine psichico, considerando anche la fase di sviluppo psico-fisico del minore e la sua età; che non può ragionevolmente dubitarsi che per un minore, specie se in tenera età, subire l'allontanamento di un genitore, con conseguente impossibilità, di. fatto, di poter avere continuità di rapporti con lui e di poterlo anche solo vedere, costituisca un danno che può porre in serio pericolo lo sviluppo normale ed equilibrato della sua personalità, sia dal punto di vista psichico che fisico; che tale danno, pure in astratto ravvisabile, deve tuttavia essere accertato in concreto, come indicato dalle sezioni unite della Suprema Corte, proprio perché, indubbiamente, l'art. 31 è norma che va applicata con cautela, non potendo rappresentare una elusione del sistema della complessiva disciplina della immigrazione, dovendosi anche scongiurare il pericolo di una strumentalizzazione dell'infanzia.

- Ritenuto che, nel caso di genitori di cui uno abbia permesso di soggiorno e l'altro ne sia privo, non sempre appare congruo il richiamo alla necessità di utilizzare unicamente la norma relativa al ricongiungimento familiare (art. 29) con conseguente carenza di presupposti per una applicazione dell'art. 31, come recentemente ritenuto dalla Corte di appello di Milano (v. decreto 20.9.2007), giacché da un lato i presupposti per invocare l'art. 29 appaiono restrittivi (e con disparità di trattamento sul territorio nazionale, richiamandosi le diverse legislazioni regionali in materia) e, dall'altro, diversa è la fattispecie concreta che viene all'esame del giudice, giacché viene richiesta l'applicazione dell'art. 31 da parte della famiglia che di fatto già vive unita in Italia e dunque l'eventuale diniego determinerebbe la divisione familiare con danno psico-fisico per il minore per lesione del suo diritto alla unità familiare, danno che tuttavia, pur essendo ravvisabile in astratto, il giudice ha l'obbligo di accertare anche in concreto, dato il carattere contingente che deve avere la applicazione della norma in esame, come più volte evidenziato dalla Corte di cassazione.

- Ritenuto pertanto che, nel caso in esame, ricorrano le condizioni, di cui all'art. 31 co. 3 d.lgs. 286/98, sussistendo gravi motivi connessi con lo sviluppo psico-fisico della minore tali da rendere opportuno, nell'esclusivo interesse della stessa, tenuto conto della sua tenera età, come sopra motivato, la permanenza in Italia della madre.

- Preso atto del parere negativo, peraltro espresso dal P.M. senza motivazione.

P.Q.M.

visti gli artt. 31 d.lgs. 286/98 e 737 c.p.c., pronunziando in via definitiva autorizza la sig.ra [...] a permanere in Italia a norma dell'art. 31 co. 3 d.lgs. 286/98 per la durata di anni uno. [...].