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Associazione per gli Studi Giuridici sull'Immigrazione
 
 
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Tribunale di Firenze, decreto del 4 luglio 2008

 
est. Cosentino
 

Il giudice, sciogliendo la riserva presa all'udienza del 2.7.2008,

osserva

In via preliminare va disattesa l'eccezione di contumacia dell'amministrazione, sollevata dalla difesa del ricorrente per il fatto che la prefettura non è rappresentata in giudizio dall'avvocatura dello Stato ma da un funzionario delegato dal prefetto.

Si osserva al riguardo che l'assunto del ricorrente secondo cui il presente procedimento, ancorché regolato dalle disposizioni di cui all'art. 737 e segg. c.p.c., rientra nell'ambito della giurisdizione contenziosa e non della giurisdizione volontaria va condiviso; non possono tuttavia condividersi le conseguenze giuridiche che da tale assunto la difesa del ricorrente pretende di trarre.

Il co. 3 dell'art. 82 c.p.c. fa infatti salvi "i casi in cui la legge dispone altrimenti" e, tra tali casi, rientra il procedimento ex art. 22 d.lgs. 30/2007, come sostituito dal d.lgs. 32/2008; l'ultimo periodo del co. 2 del menzionato art. 22 stabilisce infatti che "La parte può stare in giudizio personalmente".

Il fatto che la legge si riferisca generalmente a "la parte", senza specificare "parte ricorrente", rende palese che la possibilità di difesa personale è attribuita dall'art. 22 d.lgs. 30/2007 (in deroga all'art. 82 c.p.c.) ad entrambe le parti, vale a dire tanto allo straniero ricorrente, quanto all'amministrazione resistente.

Una diversa opzione ermeneutica, che enfatizzi l'uso della declinazione al singolare ("la parte") anziché al plurale ("le parti"), non spiegherebbe infatti perché il riferimento debba intendersi alla parte ricorrente e non alla parte resistente e, sotto altro aspetto, si porrebbe in contrasto con il principio di parità delle parti scolpito nel co. 2 dell'art. 111 Cost.

Deve pertanto ritenersi che il riferimento normativo alla possibilità della parte di stare in giudizio personalmente valga paritariamente per entrambe le parti, giacché - come è noto, quando di una norma possano offrirsi due diverse interpretazioni, di cui una contrastante ed una coerente con la Costituzione, il giudice deve preferire la seconda. Considerato, infine, che la prefettura è una struttura amministrativa complessa, il silenzio della norma sulle modalità attraverso le quali la stessa possa stare in giudizio personalmente determina una lacuna normativa che può e deve colmarsi ricorrendo all'analogia con la disposizione dettata dal co. 2 dell'art. 13 bis d.lgs. 286/98.

Nel merito si osserva che l'art. 20 d.lgs. 30/2007, come sostituito dal d.lgs. 32/2008, consente di limitare il diritto di ingresso e soggiorno in Italia dei cittadini della Unione europea, con apposito provvedimento, nelle seguenti quattro ipotesi:

1) motivi di sicurezza dello Stato;

2) motivi imperativi di pubblica sicurezza;

3) altri motivi di ordine pubblico;

4) altri motivi - evidentemente diversiva quelli "imperativi" di cui al punto 2) - di pubblica sicurezza.

A mente del co. 9 dell'art. 20 in commento, la competenza del Ministro è limitata ai provvedimenti di allontanamento emessi:

a) per i motivi di cui ai punti 1 e 3 (quale che sia l'età e la durata del soggiorno in Italia del destinatario del provvedimento);

b) per i motivi di cui al punto 2) per gli stranieri di cui al co. 7 dello stesso art. 20 (nei cui confronti non è consentito l'allontanamento per i motivi di cui al punto 4), vale a dire soggiornanti in Italia da oltre 10 anni o minorenni.

Per gli altri provvedimenti di allontanamento - vale dire quelli emessi nei confronti di stranieri che non siano soggiornanti in Italia da oltre 10 anni, né minorenni, e siano fondati su motivi di pubblica sicurezza o su motivi imperativi di pubblica sicurezza - è competente il prefetto.

Poiché il provvedimento impugnato è stato emesso per motivi di pubblica sicurezza nei confronti di cittadino comunitario maggiorenne e soggiornante in Italia da meno di 10 anni, deve escludersi la ricorrenza del lamentato vizio di incompetenza del prefetto.

Nel merito si osserva che - mentre i motivi imperativi di pubblica sicurezza (i quali giustificano l'adozione di un ordine di allontanamento immediatamente esecutivo, vedi il co. 11 dell'art. 20 e l'ultima parte del co. 4 dell'art. 22 del d.lgs. 30/07, novellato dal d.lgs. 32/2008) risultano descritti nel co. 3 dell'art. 20 - la legge non offre alcuna descrizione dei motivi di pubblica sicurezza diversi da quelli imperativi.

L'interprete deve dunque riferirsi - per dare alla previsione normativa in esame un contorno sufficientemente definito ai fini del necessario controllo di legalità sulla limitazione del diritto al soggiorno - da un lato alla nozione di "pubblica sicurezza" e, d'altro lato, ai criteri fissati dal co. 4 e 5 dell'art. 20 in commento.

Svolta tale premessa, si osserva che il provvedimento impugnato si fonda sui seguenti motivi:

a) tre precedenti di polizia (segnalazioni dal Casellario centrale identità), per furto, ricettazione ed estorsione, con quanto ne consegue in termini di inclinazione a delinquere del ricorrente;

b) la mancata richiesta di iscrizione anagrafica ex art. 9 d.lgs. 30/2007;

c) il mancato svolgimento di attività di lavoro o di studio;

d) la non disponibilità di risorse economiche;

e) il tenore di vita improntato all'inosservanza delle regole del vivere civile e la sua propensione a vivere ai margini della società.

Osserva il giudicante che gli argomenti di cui ai punti c) e d) non hanno diretta connessione con ragioni pubblica sicurezza, potendo semmai rilevare ai fini di un provvedimento di allontanamento ex art. 22 (non ex art. 20) del d.lgs. 30/2007; il co. 4 dell'art. 20 esclude anzi espressamente dall'ambito di operatività di tale articolo i motivi di ordine economico.

L'argomento di cui al punto b) non è di per sé rilevante, potendo semmai svolgere una funzione integrativa di altre più incisive ragioni.

L'argomento di cui al punto e) si risolve in una valutazione che prende evidentemente le mosse da un solo dato di fatto intrinsecamente rilevante (seppure nel contesto di cui agli altri punti sopra enumerati), vale dire dalla esistenza dei precedenti di polizia di cui al punto a). Ma, per tale ragione, è necessario procedere ad una valutazione concreta di tali precedenti di polizia, che consenta di sostanziare i "comportamenti individuali dell'interessato che rappresentino una minaccia concreta e attuale" alla pubblica sicurezza (vedi co. 4 dell'art. 20 in commento). È infatti evidente che sotto il medesimo nomen juris (peraltro nella specie risultante da atti non provenienti dall'autorità giudiziaria) possono rubricarsi condotte con caratteristiche di consistenza e allarme sociale completamente diverse.

Devono dunque esercitarsi i poteri istruttori assegnati al tribunale dall'art. 738. u.c. c.p.c. e, per l'effetto, ordinare all'amministrazione resistente di produrre copia degli atti di polizia giudiziaria (verbali di denuncia, verbali di arresto, rapporti di p.g.) o degli atti dell'autorità giudiziaria relativi ai precedenti di polizia segnalati nel Casellario centrale identità e, in particolare, relativi agli episodi rubricati come furto (15.1.2008), ricettazione (24.11.2007) e tentata estorsione (5.7.2006). Si assegna termine per tale produzione fino al 30.7.2007.

Considerato che, allo stato, non è acquisita al processo la prova della ricorrenza dei presupposti per l'allontanamento per motivi di pubblica sicurezza, in accoglimento dell'istanza spiegata in ricorso;

P.Q.M.

visto l'art. 22, co. 4, del d.lgs. 30/2007 sospende l'esecutorietà del provvedimento di allontanamento. [...].