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Associazione per gli Studi Giuridici sull'Immigrazione
 
 
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Tribunale di Vicenza, decreto del 10 gennaio 2008

 
est. Picardi
 

Il tribunale, sez. II civile, in composizione monocratica, [...]; letti gli atti del procedimento n. 93/2007 R.R., promosso con ricorso ai sensi dell'art. 737 c.p.c. e dell'art. 30, co. 6, del d.lgs. 25.7.1998 n. 286, depositato in data 7.6.2007 dalla sig.ra [...], nata il [...] (Nigeria), [...] avverso il provvedimento n. 139, emesso in data 4.4.2007 dal questore di Vicenza e notificato in data 4.5.2007, di rigetto dell'istanza della ricorrente di rinnovo/conversione del permesso di soggiorno rilasciato per motivi di salute in permesso di soggiorno per motivi di famiglia, ai sensi dell'art. 30 co. 1 lett. c) del d.lgs. 25.7.1998 n. 286; [...].

Osserva

La ricorrente, impugnando il provvedimento di rigetto del questore di cui in epigrafe, ha chiesto che - accertata la sussistenza dei requisiti per ottenere la conversione del permesso di soggiorno di cui è titolare, rilasciato per motivi di salute (gravidanza), in permesso di soggiorno per motivi familiari - venga ordinato alla amministrazione convenuta il rilascio di detto permesso di soggiorno.

La situazione di fatto pregressa relativamente all'ingresso e al soggiorno della ricorrente nel territorio nazionale, per quanto risulta dagli atti (cfr. relazione questura e relativi allegati), può essere come di seguito riepilogata:

- la ricorrente faceva irregolarmente ingresso in Italia ed in data 23.5.1994 era destinataria di un provvedimento di espulsione emesso dal prefetto di Napoli, mai ottemperato;

- in data 8.8.1998 otteneva dalla questura di Caserta permesso di soggiorno con validità 19.2.1998-23.2.2000 con motivazione "attesa occupazione";

- la domanda in data 18.4.2000 di rinnovo di detto permesso veniva rigettata dalla questura di Vicenza con provvedimento in data 16.7.2001, non impugnato;

- in data 28.6.2001, atteso il comprovato stato di gravidanza, otteneva peraltro dalla questura di Vicenza permesso di soggiorno per motivi di salute, ai sensi dell'art. 19, lett. d), del d.lgs. 25.7.1998 n. 286, con validità 26.6.2001-15.9.2001, rinnovato sempre per la medesima tipologia a seguito della nascita, avvenuta in data 28.8.2001, di una bambina;

- la domanda in data 23.7.2002 di rinnovo del permesso di cui sopra veniva rigettata dalla questura di Vicenza con provvedimento in data 7.9.2002, non impugnato e divenuto definitivo;

- la medesima contraeva in data 18.8.2003 matrimonio in Valdastico (VI) con un connazionale, titolare di un permesso di soggiorno in Italia per motivo di lavoro - atteso un nuovo stato di gravidanza, otteneva dalla questura di Vicenza altro permesso di soggiorno per motivi di salute, ai sensi dell'art. 19, lett. d), del d.lgs. 25.7.1998 n. 286, con validità 15.12.2005-25.3.2006, rinnovato sempre per la medesima tipologia fino al 22.8.2006;

- in data 14.8.2006 la predetta, in contestualità della scadenza del termine di validità del suo permesso di soggiorno ex art. 19, lett. d), d.lgs. n. 286/1998, ne chiedeva la conversione in permesso di soggiorno per motivi familiari;

- il questore rigettava l'istanza della ricorrente con il provvedimento qui gravato, il cui motivo principale essenzialmente è costituito dalla ritenuta non convertibilità del permesso di soggiorno in titolarità dell'instante.

A fondamento del ricorso, in sintesi, deduce:

- che la decisione amministrativa contrasterebbe con le disposizioni di cui agli artt. 30 co. 1 lett. c), 29, co. 5, 13, co. 13, del d.lgs. 25.7.1998 n. 286, nonché con i principi costituzionali in materia di diritto all'unità familiare e con le norme di diritto internazionale a tutela dei diritti fondamentali della persona;

- violerebbe altresì l'art. 28, co. 4, d.lgs. n. 286/1998 e gli artt. 3, 9 e 10 Convenzione di New York sui diritti del fanciullo, per avere l'autorità amministrativa pretermesso la priorità del diritto all'unità familiare e dei diritti dei minori, senza che sussistessero in senso contrario esigenze superiori di sicurezza ed ordine pubblico per giustificare un tale sacrificio (avendo ella tre figli in tenera età, di 7, 6, ed un anno e mezzo);

- che il presupposto per l'ottenimento del permesso di soggiorno per motivi di famiglia, ai sensi dell'art. 30 co. 1 lett. c) del d.lgs. 25.7.1998 n. 286, sarebbe costituito esclusivamente dalla regolarità del soggiorno del familiare straniero che (come la ricorrente) chiede il permesso essendo munito dei requisiti per il ricongiungimento familiare con lo straniero regolarmente soggiornante in Italia, senza prevedere e limitare la legge singole ipotesi e tipologie di soggiorno regolare, sicché non sarebbe giustificata da alcuna disposizione del c.d. testo unico dell'immigrazione la interpretazione restrittiva adottata dalla locale questura;

- che dunque dovrebbero ritenersi idonei a fondare la regolarità del soggiorno, e quindi il presupposto - condizione per l'ottenimento del permesso di soggiorno per motivi familiari, anche i titoli di soggiorno concessi per periodi di tempo limitati e per situazioni contingenti;

- che la diversa interpretazione da essa prospettata, contraria a quella fatta propria dalla questura, sarebbe l'unica corretta e conforme ai principi costituzionali nonché alle norme poste dai fondamentali Trattati e Convenzioni di diritto internazionale a tutela dei diritti fondamentali della persona, della famiglia e dei fanciulli, come interpretati anche alla luce delle più importanti e recenti pronunce della Corte costituzionale;

- che in particolare tale interpretazione delle nome sarebbe l'unica conforme alla ratio sottesa al Titolo IV del d.lgs. n. 286/1998, alla luce dei principi elaborati in sede internazionale e comunitaria, così come richiamati nella sentenza della Corte costituzionale (n. 376 del 27.7.2000), dichiarativa della illegittimità costituzionale dell'art. 19, co. 2, lett. d), del citato d.lgs. n. 286/1998 nella parte in cui non estende il divieto di espulsione ivi sancito al marito convivente della donna in stato di gravidanza o nei sei mesi successivi alla nascita dei figlio;

- che dalla legge non è desumibile un principio secondo cui il permesso di soggiorno per motivi familiari sarebbe conseguibile solo a seguito di ingresso nel territorio dello Stato con visto di ingresso per ricongiungimento familiare.

Valorizza la ricorrente gli elementi del rapporto di coniugio con altro cittadino extracomunitario, genitore dei minori, nonché che il coniuge, munito di permesso di soggiorno, sarebbe in possesso di una sistemazione alloggiativa idonea ad ospitare l'intero nucleo familiare, di una lecita attività lavorativa e di un reddito che gli consente di mantenere il nucleo familiare (circostanze, queste ultime, non poste in discussione dalla difesa erariale).

A sua volta l'avvocatura dello Stato ha chiesto il rigetto del ricorso riportandosi essenzialmente alle controdeduzioni di cui all'allegata relazione della questura di Vicenza ed ha inoltre sottolineato che a carico della ricorrente, siccome condannata in data 26.3.2003 alla pena di anni uno reclusione e 1.000 € di multa per produzione illecita di sostanze stupefacenti in concorso, comunque esisterebbe ex legis una causa ostativa al rilascio del permesso di soggiorno.

La ricorrente ha depositato memoria autorizzata di replica, con cui tra l'altro ha eccepito l'inammissibilità della contestazione relativa ad asseriti reati ostativi - in quanto non oggetto di contestazione in sede amministrativa - e ad ogni modo la infondatezza nel caso di specie della prospettata questione.

Così sinteticamente riepilogati posizioni ed argomenti delle parti, è dell'avviso il giudicante che debbano sostanzialmente essere condivise le osservazioni di merito formulate dall'amministrazione resistente.

Va peraltro premesso che nel vaglio del provvedimento censurato, e dunque nella verifica della sussistenza delle condizioni di legge per la richiesta conversione dei titoli di soggiorno, non può essere presa in considerazione alcuna possibile causa preclusiva sussumibile nel riformulato disposto dell'art. 4, co. 3, ultimo periodo, del d.lgs. n. 286/1998, come introdotto dall'art. 4 della legge n. 189/02, per l'intervenuta condanna per delitto in materia di stupefacenti.

Invero, nei motivare il diniego di conversione, l'autorità amministrativa aveva già escluso il rilievo ostativo della condanna e pertanto, nella presente sede, non potrebbe darsi ingresso ad una sorta di reformatio in peius per l'interessata sul rilievo formulato dalla difesa erariale, in quanto non facente parte dell'impianto motivo del provvedimento gravato.

Rimane pertanto estranea, almeno nel contesto del presente thema disputandum, ogni questione relativa all'interpretazione ed ai limiti (anche nel bilanciamento con concorrenti esigenze) di preclusioni discendenti dalla richiamata disposizione, sulle quali la difesa della ricorrente, ferma l'eccezione di inammissibilità della contestazione in quanto nuova rispetto al provvedimento opposto, pur diffusamente svolge in memoria di replica rilievi critici contrari agli assunti dell'avvocatura.

Ciò posto, la ricorrente invoca l'operatività della disposizione di cui all'art. 30 co. 1 lett. c) del d.lgs. 25.7.1998 n. 286, secondo cui il permesso di soggiorno per motivi familiari è rilasciato, per quel che qui interessa, "al familiare straniero regolarmente soggiornante, in possesso dei requisiti per il ricongiungimento [...] con straniero regolarmente soggiornante in Italia". Quale proprio idoneo titolo di "regolare soggiorno" indica il permesso di soggiorno per motivi di salute di cui era munita all'atto dell'istanza di rinnovo/conversione, chiedendone appunto il mutamento in permesso di soggiorno ex art. 30 d.lgs.

La deduzione non sembra però fondata.

La nozione di regolare soggiorno nel territorio dello Stato è posta dall'art. 5 del decreto legislativo in oggetto, che individua la condizione preliminare per detto soggiorno nel fatto che il cittadino straniero sia entrato regolarmente in Italia, ai sensi del precedente art. 4, ossia con il possesso tra l'altro, salvi i casi di esenzione, di regolare visto d'ingresso e, salvi i casi di forza maggiore, attraverso gli appositi valichi di frontiera, e che sia munito di un valido titolo di soggiorno. Condizione che può dirsi estranea alla ricorrente, rimasta in Italia in situazione di irregolare permanenza, evitando l'espulsione solo in virtù dei successivi, documentati stati di gravidanza e, successivamente, per le nascite dei figli, quantomeno dal rigetto con provvedimento in data 7.9.2002 della domanda in data 23.7.2002 di rinnovo del primo permesso per motivi di "salute".

La difesa della ricorrente peraltro (anche alla luce delle modifiche introdotte dal d.lgs. n. 5/2007 agli artt. 13, co. 2, e 5, co. 5, TUI: considerazione della natura e della effettività dei vincoli familiari dell'interessato e dell'effettività del suo soggiorno) invoca il valore costituzionale del diritto all'unità familiare - che verrebbe leso laddove nel caso di specie, non venisse rilasciato il richiesto permesso di soggiorno in sostituzione di quello temporaneo per motivi di salute - e l'idoneità di quest'ultimo titolo a fondare il presupposto del soggiorno regolare in Italia.

Ora, quello all'unità familiare è indubbiamente interesse che assurge al rango di diritto costituzionalmente riconosciuto e garantito, ma tale sua valenza non lo sottrae ad un giudizio di bilanciamento con altri valori di pari rango costituzionale, bilanciamento affidato al legislatore ordinario salva verifica di ragionevolezza delle scelte legislative e di rispetto della gerarchia degli interessi costituzionali in potenziale collisione.

La Suprema Corte di cassazione (sez. I civ., 20.8.2003 n. 12223), sia pur in una fattispecie non perfettamente omologa a quella per cui è giudizio (si trattava del caso di un cittadino extracomunitario entrato in Italia irregolarmente, espulso e di cui era stata rigettata l'istanza di regolarizzazione per "sanatoria" - rigetto che egli aveva impugnato innanzi al competente Tar - il quale aveva richiesto il permesso di soggiorno ex art. 30 d.lgs. n. 286/1998, invocando le circostanze di aver contratto matrimonio con una connazionale in possesso di regolare permesso di soggiorno per motivi di lavoro, svolgente attività di lavoro subordinato ed occupante idonea abitazione, e dell'avvenuta nascita dal matrimonio di un figlio), ha fissato dei principi interpretativi che ancora ben si attagliano al caso di specie.

La Corte invero - nel rigettare il ricorso proposto da quel cittadino extracomunitario avverso il decreto della Corte d'appello che, in riforma della decisione di primo grado del tribunale giudice unico, aveva disatteso l'istanza di concessione del permesso di soggiorno per motivi familiari - ha richiamato i principi già enucleati dalla Corte costituzionale con ordinanza n. 232/2001, dichiarativa della manifesta infondatezza dell'eccezione di incostituzionalità dell'art. 19 del d.lgs. n. 286/1998 nella parte in cui non prevedrebbe il divieto di espulsione dello straniero coniugato e convivente con altro cittadino straniero in possesso di regolare permesso di soggiorno.

La Suprema Corte (con rinvio dunque alle motivazioni già espresse dal Giudice delle leggi) ha al riguardo puntualizzato:

- che il decreto legislativo n. 286 del 1998 appresta, agli artt. 28 e seguenti, una specifica tutela del diritto dello straniero, che sia regolarmente soggiornante nel territorio dello Stato, a mantenere l'unità del suo nucleo familiare, nella sussistenza delle condizioni indicate dal successivo art. 29;

- che l'esercizio del diritto al ricongiungimento può essere sottoposto dalla legge a condizioni volte ad assicurare un corretto bilanciamento con altri valori dotati di pari tutela costituzionale ed, in particolare, alla condizione che sussista la possibilità di assicurare al familiare, con cui si opera il ricongiungimento, condizioni di vita che consentano un'esistenza libera e dignitosa;

- che il legislatore può legittimamente porre dei limiti all'accesso degli stranieri nel territorio nazionale, effettuando un "corretto bilanciamento dei valori in gioco", esistendo in materia un'ampia discrezionalità legislativa limitata soltanto dal vincolo che le scelte non risultino manifestamente irragionevoli;

- che, diversamente opinando, si andrebbero a vanificare i presupposti previsti dalla legge per il ricongiungimento familiare, dal momento che sarebbe consentito comunque allo straniero coniugato e convivente con altro straniero di aggirare le norme in materia di ingresso e soggiorno, con evidente sacrificio degli altri valori costituzionali considerati dalle norme in materia, perché non vi sarebbe alcun controllo circa la sussistenza delle condizioni minime per il ricongiungimento.

Se questi sono i principi generali (ritenuti in linea di massima, salva la verifica delle concrete applicazioni legislative, compatibili con la tutela dei valori di vertice dell'ordinamento giuridico - costituzionale) posti dal legislatore a fondamento del quadro normativo generale, e nella cui cornice si inserisce anche la disciplina della conversione dei titoli di soggiorno ai sensi delle disposizioni di cui all'art. 30 d.lgs. n. 286/1998, ne discende come non sia sufficiente invocare il diritto all'unità familiare quale valore assoluto da perseguire al di fuori di ogni limite e regolamentazione, dovendosi al contrario tener conto del bilanciamento degli interessi in gioco, di pari rango costituzionale, operato dalla legge.

In tale contesto, l'interpretazione della locale questura, condivisa nelle difese della avvocatura, appare conforme alla lettera ed alla ratio delle norme vigenti, le quali ancorano la "regolarità del soggiorno", quale presupposto per il rilascio del permesso di soggiorno ex art. 30 d.lgs. n. 286/1998, alla pre-condizione di un ingresso e di una successiva permanenza nel territorio nazionale regolari, ai sensi del coordinato disposto dei già richiamati artt. 4 e 5 del decreto, e che soprattutto non consentono di qualificare come indifferentemente fungibile qualsiasi titolo di soggiorno dello straniero il quale venga a richiedere il rilascio del permesso per motivi familiari.

Diversamente, come inferito dalla difesa erariale (e prima ancora dalla locale questura), un rimedio eccezionale e temporaneo - come il rilascio del permesso di soggiorno ai sensi dell'art. 28 del d.p.r. n. 394/99, previsto per dare soluzione di garanzia per situazioni extra ordinem, quali l'esigenza di apprestare benefici particolarmente penetranti (al punto da giustificare, secondo le parole della Corte costituzionale, una temporanea sospensione del potere di espulsione) nel periodo antecedente ed in quello immediatamente successivo al parto secondo il limite temporale ritenuto congruo dal legislatore ordinario (tutto il periodo di gravidanza e fino ai sei mesi successivi alla nascita del bambino) - si presterebbe a divenire uno strumento di elusione delle regole dettate dal legislatore per un regolare ingresso e soggiorno nel territorio dello Stato, ovvero per addivenire ad esiti di ricongiungimento familiare senza l'osservanza delle condizioni sostanziali e procedurali che, agli artt. 29 e 30 del T.U. sostanziano il legittimo esercizio del diritto al mantenimento dell'unità familiare previsto in via generale al precedente art. 28 del medesimo testo unico.

Una diversa prospettazione, almeno alla luce del diritto vigente e delle scelte "di bilanciamento" operate dal legislatore ordinario (senza che appaiano pregiudicati valori costituzionali), si presenta estranea al tessuto della disciplina vigente in materia di regolamentazione dell'immigrazione e finirebbe per sovvertirne regole e logica, con il pericolo di pervenire ad un'impossibilità di governo preventivo degli ingressi e di predeterminazione delle loro forme e modalità legittime creando un sistema di fatto da cui sortirebbe una sorta di effetto "moltiplicatore" di ingressi clandestini motivati dalla mera aspettativa/speranza di regolarizzare in futuro la condizione di soggiorno, magari avvalendosi di un titolo di soggiorno meramente temporaneo e necessariamente transitorio quale quello rilasciato "per motivi di salute" per le superiori esigenze imposte dall'ipotesi di cui art. 19, lett. d), del d.lgs. n. 286/1998. Sulla scorta delle considerazioni che precedono appare dunque anche forzato ricavare dalle norme e dai valori costituzionali un principio in base al quale, per esempio, la temporanea sospensione del potere di espulsione, nozione tracciata dal Giudice delle leggi nella sentenza sull'art. 19 co. 2 lett. d), sarebbe tale, ossia appunto temporanea, solo in ipotesi di presenza irregolare di entrambi i genitori, dovendo diversamente (allorquando uno dei genitori fosse già regolarmente soggiornante in Italia) dirsi integrato un diritto intangibile al soggiorno anche dell'altro genitore "irregolare" quale condizione per garantire l'effetto di tutela del diritto all'unità familiare ed evitare così "scissioni" di famiglia.

Sulla base dei motivi sopra delineati, allora, il ricorso non può trovare accoglimento.

Va disposta per motivi di equità e per l'oggettiva controvertibilità della questione l'integrale compensazione delle spese processuali, di cui peraltro la resistente nemmeno ha chiesto la rifusione.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e dichiara integralmente compensate le spese processuali.