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Associazione per gli Studi Giuridici sull'Immigrazione
 
 
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Tribunale per i minorenni di Milano, decreto del 9 luglio 2008

 
est. Domanico
 

Letto il ricorso, depositato in data 15.2.2008 dalla sig.ra [...], madre del minore, con cui la stessa chiede di essere autorizzata a permanere in Italia ai sensi dell'art. 31 d.lgs. 286/98, ed espone:

di essere giunta in Italia insieme al marito, sig. [...], nel 2004, già in stato di gravidanza, e che ad ottobre dello stesso anno nasceva a Vigevano il minore [...]; che il sig. [...] riusciva, nel 2006, a regolarizzare la propria posizione e dal settembre 2007 lavora con regolare contratto di lavoro subordinato presso l'azienda [...]; che il minore frequenta la locale scuola materna; che la famiglia vive in un immobile sito nello stesso comune di [...], regolarmente condotto in locazione [...].

Esaminata la documentazione prodotta dalla ricorrente (copia di passaporto del padre del minore; certificato di nascita e passaporto della ricorrente; certificato di matrimonio; certificato di nascita del minore; buste paga del padre del minore; domanda di iscrizione alla scuola materna; contratto di locazione; attestazione di frequenza alla scuola materna). Sentiti il 29.2.2008 i genitori del minore, i quali hanno confermato quanto esposto nel ricorso.

Esaminata la documentazione successivamente prodotta dalla ricorrente (copia del permesso di soggiorno del sig. [...], in fase di rinnovo al momento della audizione).

Ritenuto che, nel caso in esame, ricorrano le condizioni di cui all'art. 31, co. 3 d.lgs. 286/98, sussistendo gravi motivi connessi con lo sviluppo psico-fisico del minore tali da rendere necessaria, nell'esclusivo interesse dello stesso, la permanenza in Italia della madre; rilevato, infatti, che non possa ragionevolmente dubitarsi del fatto che l'espulsione della ricorrente provocherebbe un traumatico distacco dalla figura materna con la concreta possibilità di grave danno psicofisico per il figlio, in una età in cui necessita delle cure della madre, fondamentali per la sua corretta ed equilibrata crescita; ritenuto che, del pari, sarebbe traumatico per il minore l'allontanamento dal territorio dello Stato assieme alla madre, dal momento che il minore è nato in Italia, frequenta la scuola materna ed è sino ad oggi cresciuto anche con il padre, con la conseguenza che sarebbe leso il suo diritto fondamentale all'unità familiare, in un'età in cui anche l'identificazione di genere con la figura paterna è fondamentale per la sua equilibrata crescita.

Ritenuto che la lesione del diritto fondamentale alla unità familiare integri i gravi motivi psicofisici di cui all'art. 31 d.lgs. 286/98 che possono consentire al tribunale per i minorenni, valutate tutte le circostanze del caso concreto, la documentazione prodotta e le allegazioni delle parti, di autorizzare un genitore a permanere in Italia assieme al minore e all'altro genitore già regolarmente presente sul territorio dello Stato, poiché la valutazione del danno psicofisico derivante al minore non necessariamente deve essere attuale nel caso di autorizzazione alla permanenza in territorio nazionale del familiare (diversamente dal caso di autorizzazione all'ingresso) ritenendosi sufficiente, ai fini dell'accoglimento del ricorso, che la situazione eccezionale nella quale vengano ravvisati i gravi motivi possa essere dedotta quale conseguenza dell'allontanamento improvviso del familiare sino ad allora presente nonché del minore, e cioè di una situazione futura ed eventuale che va apprezzata e valutata dal giudice (cfr Cass. SS.UU. sent. 28.9/16.10.2006 n. 22216); che certamente deve ritenersi evento eccezionale la rottura della unità familiare, che, in quanto diritto fondamentale, deve essere garantita a tutti;

ritenuto che nella lettera e nella ratio della norma in esame non sia ravvisabile un carattere di eccezionalità della norma in sé, trattandosi infatti di norma in deroga e non di norma eccezionale, e i gravi motivi non possono essere interpretati esclusivamente con riferimento a gravissime e contingenti situazioni di pericolo psicofisico per il minore o di gravi problemi di salute, giacché tale interpretazione, ingiustificatamente restrittiva, porterebbe ad una sostanziale disapplicazione della norma medesima;

ritenuto, viceversa, che la dizione dell'art. 31, comporti sì una applicazione cauta e rigorosa, ma avendo presente che l'ambito della sua tutela riguarda il minore e non già l'adulto, rispetto al quale, del resto, la temporaneità e la non convertibilità del tipo di permesso di soggiorno riconosciuto ex art. 31 sono espressamente sancite dalla norma stessa e sono elementi di per sé idonei e sufficienti ad evitare ogni elusione della normativa generale della immigrazione; la norma, infatti, che si intitola disposizioni a favore dei minori, fa riferimento prevalente alla situazione in cui si trovi il minore straniero in Italia e, dunque, per apprezzare la gravità dei motivi, connessi con lo sviluppo sia psicologico che fisico del minore e tenuto conto dell'età, oltre che delle sue condizioni di salute, il giudice ha il dovere di far riferimento a tutte le norme, nazionali e sovranazionali, a protezione dell'infanzia; accertato, quindi, in concreto il danno che deriverebbe al minore dall'allontanamento del genitore dal territorio dello Stato, ovvero dal suo stesso allontanamento con il genitore, il tribunale per i minorenni può autorizzare il genitore medesimo a permanere in Italia in deroga alle altre disposizioni del testo unico; rilevato, del resto, che ai sensi dell'art. 2 co. 6 del d.lgs. 8.1.2007 n. 5 (attuazione della direttiva 2003/86/CE relativa al diritto di ricongiungimento familiare), in vigore dal 15.2.2007, "al familiare autorizzato all'ingresso ovvero alla permanenza sul territorio nazionale ai sensi dell'art. 31, co. 3, è rilasciato, in deroga a quanto previsto dall'art. 5, co. 3 bis, un permesso per assistenza minore, rinnovabile, di durata corrispondente a quella stabilita dal tribunale per i minorenni. Il permesso di soggiorno consente di svolgere attività lavorativa ma non può essere convertito in permesso per motivi di lavoro"; che la non convertibilità di tale tipo di permesso indurrà quindi i richiedenti a progettare con maggiore ponderazione la loro vita in Italia con i figli e pertanto non si devono temere strumentalizzazioni dell'art. 31, giacché sostanzialmente tale norma non può di fatto essere utilizzata per superare il sistema delle quote e, dunque, non si giustificano interpretazioni restrittive della norma in esame, essendo d'altra parte diversa la ratio dell'art. 31, poiché al centro della interpretazione deve essere posto l'interesse del minore;

preso atto del recente orientamento interpretativo restrittivo adottato dalla Corte di appello di Milano, sezione minori e famiglia, secondo cui l'autorizzazione di cui all'art. 31 può essere rilasciata solo "per gravi motivi che pongano in serio pericolo lo sviluppo normale della personalità del minore sia dal punto di vista fisico che psichico. Motivi che sono correlati esclusivamente alla sussistenza di situazioni contingenti ed eccezionali [...] e che non possono identificarsi in situazioni [...] che presentano invece il carattere di normalità e di tendenziale stabilità". La Corte ritiene quindi che, ponendo l'accento sui gravi motivi, il dettato normativo ne limiti l'applicazione "alle sole situazioni contingenti e di emergenza, in presenza cioè di un pericolo grave e attuale per il minore (come ad esempio nel caso di cure mediche urgenti non erogate o non erogabili nello Stato di appartenenza). Non può invece essere applicata per consentire al familiare del minore di permanere sul suolo italiano in violazione della disciplina della immigrazione in base a circostanze che presentano il carattere di normalità e di tendenziale stabilità, quali ad esempio quelle ricollegabili alle migliori opportunità e condizioni di vita offerte dal nostro paese, all'esigenza di salvaguardare l'integrazione della prole nel tessuto sociale italiano, o di completare gli studi ivi intrapresi, o di evitare il trauma derivante dalla separazione dal genitore espulso [...]";[1]

rilevato, peraltro, che una interpretazione meno restrittiva è stata espressa da altra parte della giurisprudenza di merito; rilevato, in particolare, che la Corte di appello di Napoli[2] ha rilevato come l'art. 31, con riferimento alla valutazione dei gravi motivi, vada interpretato alla luce della normativa nazionale ed internazionale con particolare riferimento alla protezione della famiglia e dei diritti fondamentali dell'infanzia; che i gravi motivi devono dunque corrispondere alla necessità di non deprivare traumaticamente il fanciullo della fruizione di diritti fondamentali riconosciuti dalla legge, a prescindere dalla sua condizione di straniero; che pertanto nell'ambito di tali diritti fondamentali del minore straniero debbano farsi rientrare quelli sanciti anche dalla Convenzione sui diritti del fanciullo stipulata a New York il 20.11.1989 e, quindi, non solo quello alla salute psicofisica, ma anche il diritto alla unità familiare e a completare il ciclo di studi; che, del pari, la Corte di appello di Torino[3] ha ritenuto che l'interesse del minore debba essere posto al centro delle indagini da parte del giudice; pertanto "il tribunale per i minorenni deve valutare in concreto, caso per caso, come inciderebbe, sullo sviluppo psicofisico del minore medesimo, la separazione dal familiare che non possa rimanere sul territorio nazionale, ovvero la necessità di seguire detto familiare all'estero. Svolte queste indagini, potrà pervenire alla autorizzazione di cui all'art. 31 solo se, per la specificità e l'indispensabilità del legame, per l'impossibilità di un trasferimento del minore all'estero, per l'impossibilità di porre rimedio all'assenza del familiare con strumenti di aiuto o sostitutivi, in sostanza per una serie di circostanze, nel loro complesso definibili come eccezionali e contingenti, la situazione che si verrebbe a creare con l'allontanamento del familiare dal territorio nazionale avrebbe effetti gravi e sicuramente pregiudizievoli per lo sviluppo psicofisico del minore". La Corte d'appello di Lecce,[4] richiamando anche analoga pronunzia della Corte d'appello di Bari,[5] ha poi ritenuto la sussistenza di gravi motivi psicofisici di una minore, autorizzando entrambi i genitori a permanere sul territorio dello Stato, riconoscendo la sussistenza di un danno psicologico che sarebbe derivato alla minore stessa da un eventuale rientro nel paese di origine, essendo la bambina ben inserita nel contesto scolastico, sociale ed ambientale italiano e configurandosi un allontanamento con i genitori verso il proprio paese come un vero e proprio sradicamento.

Ritenuto, pertanto, che dal tenore della norma e da quanto evidenziato dalla Suprema Corte con sentenza 28.9/16.10.2006 n. 22216, si evince che la gravità dei motivi non possa  essere connessa esclusivamente alla presenza di gravissime problematiche relative alla salute del minore, giacché la stessa dizione letterale della norma fa riferimento alla presenza di gravi motivi anche solo di ordine psichico, considerando anche la fase di sviluppo psico-fisico del minore e la sua età; che non può ragionevolmente dubitarsi che per un minore subire l'allontanamento di un genitore, con conseguente impossibilità, di fatto, di poter avere continuità di rapporti con lui e di poterlo anche solo vedere, costituisca un danno che può porre in serio pericolo lo sviluppo normale ed equilibrato della sua personalità, sia dal punto di vista psichico che fisico; che tale danno, pure in astratto sempre ravvisabile, deve tuttavia essere accertato in concreto, come indicato dalle Sezioni unite della Suprema Corte, ma non necessariamente espletando in ogni caso una consulenza tecnica di ufficio o un approfondimento psicologico a mezzo dei servizi psicosociale sul nucleo familiare, apparendo spesso sufficiente la valutazione di una insieme di circostanze concrete e dovendosi ovviamente preliminarmente accertare in concreto la effettiva unità del nucleo familiare;

ritenuto che, nel caso di genitori di cui uno abbia permesso di soggiorno e l'altro ne sia privo, non sempre appare congruo il richiamo alla necessità di utilizzare unicamente la norma relativa al ricongiungimento e alla coesione familiare (art. 29) con conseguente carenza di presupposti per una applicazione dell'art. 31, come ritenuto dalla Corte d'appello di Milano (cfr. decreto 20.9.2007 e 27.3.2008), giacché diversa è la fattispecie concreta che viene all'esame del giudice, poiché viene richiesta l'applicazione dell'art. 31 da parte della famiglia che di fatto già vive unita in Italia e dunque l'eventuale diniego determinerebbe la divisione familiare con danno psico-fisico per il minore per lesione del suo diritto alla unità familiare; inoltre dopo aver regolarizzato la propria posizione ex art. 31 potrebbe essere attivata dagli interessati la procedura del ricongiungimento che, come è noto, ha tempi lunghissimi ed incompatibili con i tempi dei minori, che resterebbero privi di un genitore per un periodo troppo lungo con conseguente grave pregiudizio, mentre la temporaneità dell'art. 31 potrebbe coprire il tempo necessario a regolarizzare stabilmente la posizione in Italia del genitore che ha diritto al ricongiungimento familiare;

ritenuto in conclusione che, nel caso concreto, deve ritenersi accertato che la presenza della ricorrente nella famiglia sia fondamentale per l'equilibrio psico-fisico del minore e che, nel caso di espulsione della stessa, sarebbe leso il diritto fondamentale dello stesso alla unità familiare;

ritenuto che un tempo congruo per poter attivare da parte della ricorrente la procedura del ricongiungimento familiare sia quello di anni due;

preso atto del parere negativo espresso dal P.M.;

P.Q.M.

visti gli artt. 31 d.lgs. 286/98 e 737 c.p.c.; pronunziando in via definitiva autorizza la sig.ra [...], madre del minore, a permanere in Italia a norma dell'art. 31 co. 3 d.lgs. 286/98 per la durata di anni due. [...].