ASGI

ASGI

Associazione per gli Studi Giuridici sull'Immigrazione
 
 
Indietro
 
 

Tribunale di Reggio Emilia, decreto del 27 dicembre 2008

 
est. Baraldi
 

Il giudice designato, letti gli atti e deliberando a scioglimento della riserva che precede, osserva quanto segue.

Occorre premettere che la ricorrente ha presentato ricorso avverso la revoca del permesso di soggiorno per motivi di famiglia esponendo: di aver contratto matrimonio con cittadino italiano in data 14.5.2007 ottenendo, in data 23.5.2007, permesso di soggiorno dalla questura di Savona per motivi familiari; di aver effettivamente convissuto con il marito; di essere stata assunta quale cameriera presso la ditta del marito; di essersi allontanata temporaneamente dal tetto coniugale verso la fine dell'anno 2007 quando erano iniziati i primi dissapori; di essersi recata in provincia di Reggio Emilia per cercare una nuova occupazione poiché le difficoltà economiche attraversate dal marito non le avevano consentito un rinnovo del contratto; di aver continuato a recarsi in visita al marito nei fine settimana; di aver stabilito la propria residenza nel Comune di [...] ove aveva trovato lavoro; che nel frattempo il marito aveva avvisato la questura di Savona del fatto che ella si era allontanata definitivamente dall'abitazione coniugale; che la questura di Savona le comunicava ex art. 7 l. 241/90 la decisione di revocare il permesso concesso e successivamente, dopo che la stessa aveva fatto ritorno in patria per motivi familiari, procedeva in data 8.9.2008, tramite l'autorità di frontiera presso l'aeroporto di Bologna, alla notifica del decreto di revoca del permesso di soggiorno datato 7.7.2008; che ella veniva respinta alla frontiera essendole stato ritirato il permesso di soggiorno; che la revoca del permesso di soggiorno era da ritenersi illegittima per violazione dell'art. 10 d.lgs. 30/2007, per difetto di istruttoria e di motivazione, oltre che per erronea applicazione della legge; che pertanto chiedeva in via principale l'annullamento del provvedimento del questore di Savona nonché di ordinare alla P.A. competente il rilascio del permesso di soggiorno per motivi di famiglia o meglio la carta di soggiorno per familiare di cittadino europeo; che, in via subordinata, chiedeva la dichiarazione del diritto della ricorrente di ottenere comunque un permesso di soggiorno per lavoro subordinato.

Per parte resistente l'avvocatura dello Stato delegava per l'udienza un funzionario della questura di Reggio Emilia che, con memoria di risposta dep. 25.11.2008, chiedeva il rigetto del ricorso; osservava che alla ricorrente doveva continuare ad applicarsi il d.lgs. 286/98 trattandosi di normativa più favorevole; che in ogni caso la ricorrente aveva fatto ingresso irregolare nel territorio dello Stato italiano per cui non sussistevano i presupposti per l'applicazione del d.lgs. 30/2007.

La questione sottoposta all'odierno giudicante può essere così riassunta: una cittadina extracomunitaria irregolare contrae matrimonio con cittadino italiano e ottiene, ai sensi dell'art. 28 lett. b) d.p.r. 31.8.1999 n. 394, permesso di soggiorno per motivi familiari; venendo meno, a distanza di alcuni mesi dal matrimonio, la convivenza (essendo incontestato e pacifico che la ricorrente si è allontanata dal domicilio coniugale e che i coniugi attualmente sono separati di fatto), la questura provvede alla revoca del permesso di soggiorno con la seguente motivazione "considerato che la normativa vigente (art. 19 co. 2 lett. c d.lgs. 286/98) prevede che lo straniero sia convivente con i parenti o con il coniuge di nazionalità italiana al fine di ottenere e mantenere il permesso di soggiorno".

Al fine di verificare la legittimità del provvedimento di revoca sotto il lamentato profilo del vizio di violazione di legge appare imprescindibile accertare quale sia la normativa applicabile al caso di specie a seguito dell'entrata in vigore del d.lgs. 30/2007 ("Attuazione della direttiva 2004/38/CE relativa al diritto dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari di circolare") il quale, all'art. 23, prevede la estensione delle sue disposizioni, se più favorevoli, ai familiari di cittadini italiani non aventi la cittadinanza italiana.

La disposizione più favorevole, a parere di questo giudice, deve essere individuata in concreto e cioè verificando gli effetti dell'applicazione dell'una (d.lgs. 286/98) o dell'altra normativa (d.lgs. 30/07) al caso concreto, non essendo consentito attingere in parte dall'una e in parte dall'altra così da creare un complesso normativo misto che si sottrae alle ragioni che hanno indotto il legislatore a disciplinare i due settori.

Il motivo che induce a non optare per il criterio della disciplina più favorevole in astratto è desumibile dal dato normativo: invero, il legislatore non ha indicato quale sia la normativa più favorevole pur potendolo fare (sarebbe stato sufficiente affermare che ai familiari di cittadini italiani non aventi la cittadinanza italiana si applica sempre il T.U. immigrazione ovvero il d.lgs. 30/07) ma ha lasciato alla amministrazione e, in seconda battuta, al giudice, il compito di individuarla; ed in effetti ciò è riconducibile all'esigenza di non pregiudicare in alcuna situazione lo straniero, beneficiandolo ogni volta con l'applicazione della normativa a lui più favorevole.

Secondo la ricorrente applicando al caso in esame il T.U. immigrazione, la revoca del permesso di soggiorno costituirebbe provvedimento legittimo, essendo venuta a cessare la convivenza pur permanendo lo status di coniuge, mentre a diverso risultato si giungerebbe applicando la più recente disciplina dettata dal legislatore del 2007 la quale consente l'ingresso e il soggiorno al coniuge (senza che nulla si preveda in merito all'ulteriore requisito della convivenza) del cittadino dell'Unione che questi accompagni o raggiunga, purché abbia fatto ingresso nel territorio dello Stato munito di visto di ingresso, nei casi in cui è richiesto.

La questura, con ampie ed approfondite argomentazioni, dubita dell'applicabilità di quest'ultima normativa al caso di specie a causa dell'irregolarità dell'ingresso della straniera sul territorio dello Stato (a causa della mancanza del visto d'ingresso).

Tuttavia, l'interpretazione della citata normativa non può prescindere da una recente pronuncia della Corte di giustizia CE, resa in data 25.7.2008[1], che ha precisato che "il cittadino di un paese terzo, coniuge di un cittadino dell'Unione che soggiorna in uno Stato membro di cui non ha la cittadinanza, il quale accompagni o raggiunga il detto cittadino dell'Unione, gode delle disposizioni della detta direttiva, a prescindere dal luogo e dalla data del loro matrimonio, nonché dalla modalità secondo la quale il detto cittadino di un paese terzo ha fatto ingresso nello Stato membro ospitante".

Premesso che, a differenza di quanto sostenuto dalla resistente, le condizioni dei soggetti nelle ipotesi oggetto della pronuncia della Corte di giustizia erano del tutto analoghe a quella oggetto del presente procedimento, e come peraltro già evidenziato da questo tribunale (si veda trib. Reggio Emilia, 15.12.2008, giudice Benini), la Corte ha richiamato l'attenzione sull'importanza di garantire la tutela della vita familiare dei cittadini degli Stati membri al fine di eliminare gli ostacoli all'esercizio delle libertà fondamentali garantite dal Trattato CE ed evidenziato che la direttiva 2004/38 mira ad agevolare l'esercizio del diritto primario e individuale di circolare e soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, diritto che il Trattato conferisce direttamente ai cittadini dell'Unione; tuttavia, affinché possa essere esercitato in oggettive condizioni di dignità, il diritto di circolare e soggiornare deve essere concesso parimenti ai familiari dei cittadini dell'Unione. Ne consegue che deve ritenersi che «è ininfluente che i cittadini di paesi terzi, familiari di un cittadino dell'Unione, abbiano fatto ingresso nello Stato membro ospitante prima di o dopo essere diventi familiari del detto cittadino dell'Unione, dato che il diniego opposto dallo Stato membro ospitante di concedere loro un diritto di soggiorno sarebbe comunque tale da dissuadere il menzionato cittadino dell'Unione dal continuare a risiedere nel detto Stato membro. Di conseguenza, alla luce della necessità di non interpretare le disposizioni della direttiva 2004/38 in modo restrittivo e di non privarle della loro efficacia pratica, occorre interpretare i termini "familiari [...] che accompagnino [...] il cittadino medesimo" contenuti nell'art. 3, n. 1 della detta direttiva, riferendoli nel contempo ai familiari di un cittadino dell'Unione che abbiano fatto ingresso con quest'ultimo nello Stato membro ospitante e a quelli che soggiornano con lui in questo Stato membro, senza che occorra distinguere, in questo secondo caso, secondo che i cittadini di paesi terzi abbiano fatto ingresso nel citato Stato membro prima o dopo del cittadino dell'Unione o prima o dopo di essere divenuti suoi familiari [...] a prescindere dal luogo e dalla data del loro matrimonio nonché dalla modalità secondo la quale il detto cittadino di paese terzo ha fatto ingresso nello Stato membro ospitante» (cfr. sent. Corte di giustizia CE, 25.7.2008).

In ogni caso, come osservato dalla Corte, permane nello Stato membro ospitante la possibilità di limitare i diritti del familiare nei casi degli artt. 27 (motivi di pubblica sicurezza e ordine pubblico) e 35 (abuso di diritto o frode) della direttiva 2004/38/CE.

Facendo applicazione al caso di specie della normativa di cui al d.lgs. 30/07, interpretata alla luce della sentenza della Corte di giustizia cit., se ne ricava che la ricorrente, pur priva di visto di ingresso al momento della sua entrata nel territorio dello Stato italiano, risulta, in quanto coniuge di cittadino dell'Unione, astrattamente in possesso dei requisiti per ottenere un titolo - ove richiesto - che la abiliti a soggiornare sul territorio nazionale e ciò a prescindere dalla sopravvenuta separazione di fatto (non essendo quest'ultima eventualità contemplata dal legislatore comunitario e nazionale).

Nel caso in esame occorre inoltre verificare se si verta nell'ipotesi dell'art. 35 della direttiva 2004/38/CE (in virtù del quale "gli Stati membri possono adottare le misure necessarie per rifiutare, estinguere o revocare un diritto conferito dalla presente direttiva, in caso di abuso di diritto o frode, quale ad esempio un matrimonio fittizio"); tale disposizione, a ben vedere, conduce all'applicazione della normativa più sfavorevole - nel nostro ordinamento rappresentata dalle norme contenute nel d.lgs. 286/98 - a titolo di sanzione.

In buona sostanza, l'ordinamento non può tutelare la posizione di chi abbia strumentalizzato il matrimonio per regolarizzare la propria posizione nel territorio dello Stato o per ottenere un titolo abilitativo al soggiorno; nel caso in cui ciò si fosse verificato, le norme più favorevoli dettate dal d.lgs. 30/07 non potrebbero trovare applicazione.

Esaminando la posizione della ricorrente sotto tale profilo, occorre osservare che è pacifico che i coniugi hanno convissuto per alcuni mesi dopo il matrimonio e non vi sono prove dell'intento fraudolento della straniera (le quali invero non possono desumersi dalla natura dell'attività lavorativa dalla stessa esercitata); inoltre, la situazione di separazione di fatto non viene - a differenza della separazione legale, scioglimento di matrimonio o morte del coniuge - in alcun modo presa in considerazione dal legislatore.

In conclusione, dalle superiori considerazioni si evince che la straniera astrattamente si trova nelle condizioni per ottenere un titolo abilitativo al soggiorno quale coniuge di cittadino dell'Unione, ancorché abbia fatto ingresso irregolare sul territorio dello Stato e sia separata di fatto.

La censura secondo la quale il provvedimento di revoca del permesso di soggiorno sarebbe illegittimo per violazione di legge merita pertanto di essere condivisa; ai fini del riconoscimento del diritto azionato dalla ricorrente, occorre mandare alla questura affinché - preso atto della presente pronuncia - adotti i provvedimenti necessari e conseguenti.

Il ricorso va accolto ma, in considerazione della peculiarità e della novità del caso, si ravvisano giusti motivi per la compensazione delle spese processuali.

P.Q.M.

accoglie il ricorso spese compensate. [...].