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Associazione per gli Studi Giuridici sull'Immigrazione
 
 
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Corte d'Appello di Milano, decreto del 27 marzo 2008 n. 30

 
est. Servetti
 

Premesso che con il decreto qui reclamato il tribunale per i minorenni di Milano ha accolto la domanda avanzata in data 26.6.2007 da [...], in proprio e nell'indicata sua qualità di padre naturale della minore [...] (nata a [...]), intesa a conseguire autorizzazione, ex art. 31 d.lgs. n. 286/98, alla sua permanenza in Italia per consentirgli di stare accanto alla figlia di tenera età (e alla convivente, titolare di regolare permesso di soggiorno e dotata di stabile attività lavorativa);

premesso che i primi giudici, dopo avere dato atto che la madre della minore, in Italia dal 2002, è in effetti titolare di permesso di soggiorno e che l'allontanamento del convivente (a sua volta giunto in Italia nel 2003 ma in persistente situazione di clandestinità per non essere riuscito a regolarizzarsi in base alla disciplina sulla immigrazione, sì da essere suscettibile di espulsione dal territorio dello Stato) sarebbe produttivo di un grave danno per la minore, repentinamente privata della figura paterna e, quindi, del suo diritto ad una piena bigenitorialità, hanno autorizzato il [...] medesimo a permanere in Italia per anni due;

premesso che gli anteriori giudici paiono, invero, essersi ispirati nel proprio convincimento all'orientamento espresso dalle SS.UU. della Cassazione con sentenza 28.9/16.10.2006, n. 22216, in forza del quale, qualora un genitore sia regolarmente presente sul territorio nazionale, una eventuale espulsione dell'altro genitore perché privo del permesso di soggiorno romperebbe l'unità familiare cui il minore ha diritto, con grave danno psicofisico per lo stesso;

premesso che il P.M. presso il tribunale per i minorenni ha tempestivamente impugnato detto provvedimento con ricorso depositato presso la Cancelleria di questa Corte il 15 gennaio u.s., argomentando nel senso che la descritta situazione non presenta profilo alcuno di eccezionalità e contingenza secondo l'accezione propria della disposizione di cui all'art. 31 d.lgs. n. 286/98 e che, inoltre, seguendo l'interpretazione adottata dal tribunale si legittimerebbe la presenza di soggetti privi dei requisiti richiesti per la permanenza in Italia per il solo fatto della presenza di un figlio minore, con la conseguenza di stabilizzare in modo anomalo l'inserimento di famiglie di stranieri, attraverso non già la tutela ma una forma di strumentalizzazione dell'infanzia, laddove a tutela dell'unità familiare la disciplina sull'immigrazione prevede l'esperimento di apposite procedure (cfr. atto di reclamo, con specifico riferimento a Cass. n. 747/07);

premesso, in fatto, che la minore risulta versare in normali condizioni di salute e non presenta problema alcuno sotto il profilo sanitario e complessivamente evolutivo, di talché il tema del contendere si incentra sulla sola considerazione del suo primario interesse a fruire della quotidiana presenza di entrambe le figure genitoriali, posto che nella specie la sua regolare permanenza in Italia è garantita dalla titolarità di permesso di soggiorno in capo alla madre;

premesso, infatti, che il resistente costituitosi nel grado ha su tale specifico profilo svolto le proprie argomentazioni difensive, segnalando come i principi alla data attuale applicabili siano quelli sanciti dalla recente pronuncia della Suprema Corte a Sezioni unite che, nel dirimere il precedente contrasto, ha posto l'accento sul solo e del tutto prioritario interesse del soggetto minore in simili fattispecie di fatto;

premesso che nel caso qui in esame l'eventuale rimpatrio del padre non comporterebbe la necessità per la minore di seguirlo nel natio Equador, attesa la situazione di regolarità della madre e l'inserimento della figlia nel di lei permesso di soggiorno;

ritenuto che, pertanto, ciò che viene qui in discussione è solo il tema - e, per vero, l'unico valorizzato dagli anteriori giudici - inerente al diritto dei minori di vivere e crescere in una piena unità familiare, che veda dunque la costante e concomitante presenza di entrambe le figure genitoriali;

premesso, in linea generale e di principio, che deve in questa sede subito osservarsi come la normativa invocata e di elettivo riferimento debba essere interpretata in termini rigorosi e conformi allo spirito che ha improntato l'intervento del legislatore, al fine di non vanificare totalmente la ratio legis con l'effetto anomalo di eludere la disciplina sull'immigrazione;

ritenuto, infatti, che, in materia di condizione giuridica dello straniero, le esigenze di tutela del minore straniero che si trovi sul territorio italiano vanno correlate - consentendo il rilascio, ai sensi dell'art. 31 co. 3 d.lgs. n. 286/98, della  autorizzazione all'ingresso o alla permanenza del di lui familiare, per un periodo di tempo determinato, in presenza soltanto di gravi motivi connessi con lo sviluppo psicofisico del minore e tenuto conto dell'età e delle condizioni di salute del medesimo - esclusivamente alla ricorrenza di condizioni di assoluta e comprovata emergenza, ovvero di circostanze contingenti ed eccezionali, che non possono perciò essere riconosciute in rapporto a situazioni aventi carattere di normalità o stabilità (cfr. Cass. n. 17194 del 14.11.2003, Cass. n. 9088 del 21.6.2002, Cass. n. 3991 del 19.3.2002 e Cass. n. 11624 del 17.9.2001);

ritenuto che qualsiasi diversa, e più lata, interpretazione del dato legislativo non potrebbe che porsi in inemendabile contrasto con la lettera della norma e con le finalità alla stessa sua emanazione sottese;

ritenuto che il richiamato rigore della disciplina sull'immigrazione non contrasta, alla stregua dell'interpretazione fattane dalla giurisprudenza di legittimità, con il diritto del minore a crescere ed essere educato nell'ambito della propria famiglia, atteso che il diritto all'unità familiare, regolato dagli artt. 29 e 30 d.lgs. citato, è tutelato in via elettiva attraverso l'istituto del ricongiungimento, il quale può peraltro essere invocato nell'ipotesi di regolare presenza in Italia del genitore o del minore, laddove del resto quest'ultimo, ai sensi dell'art. 19 co. 2, ha diritto di seguire il genitore espulso nel luogo di destinazione (cfr. Cass. n. 17194/2003 sopra citata);

ritenuto che, con precipuo riguardo al più recente orientamento interpretativo della Corte di legittimità (SS.UU. n. 22216 del 28.9.2006 - 16.10.2006), il tribunale ha mostrato (ancorché in via non del tutto espressa) di aderire a un'impostazione secondo la quale, nell'ipotesi in cui sia chiesta l'autorizzazione alla permanenza (e non all'ingresso) in territorio nazionale del familiare, il quale diversamente sarebbe espulso, risulta sufficiente ai fini dell'accoglimento del ricorso che la situazione eccezionale possa essere dedotta quale conseguenza dell'allontanamento improvviso del familiare sino ad allora presente accanto al minore, circostanza valutabile dal giudice minorile nell'ottica di massima tutela del benessere psicofisico del soggetto minore, destinatario della norma in esame;

rilevato che le argomentazioni svolte dagli anteriori giudici - e fatte proprie dalla difesa dei resistenti nel contesto della comparsa di costituzione nel grado - paiono frutto di una incompleta lettura della richiamata pronuncia di legittimità e di un intendimento volto a generalizzare principi che sono stati invece affermati con riguardo a una ben precisa situazione concreta, atteso che nel caso esaminato dalla Suprema Corte "l'autorizzazione alla permanenza del ricorrente in territorio italiano non è stata fondata sulla mera constatazione della presenza in Italia di una figlia in tenera età, bensì sull'accertamento concreto del grave pregiudizio che alla minore sarebbe derivato dalla perdita improvvisa della figura paterna per effetto della sua espulsione", accertamento effettuato attraverso l'espletamento di una consulenza tecnica che aveva nella specie consentito di acclarare la peculiare entità del pregiudizio medesimo e di così superare qualsiasi tendenza a valorizzare generiche e generalizzate presunzioni;

ritenuto che, inoltre, sempre in detta fattispecie l'autorizzazione ex art. 31 era stata chiesta "sino al completamento della pratica di ricongiungimento familiare" già avviata dallo straniero interessato, di guisa che è ragionevole inferirne che la situazione di irregolarità della presenza paterna sul territorio nazionale era destinata a cessare entro un prevedibile lasso di tempo;

ritenuto che simili peculiari circostanze di fatto rivestono significativo rilievo, dal momento che assolutamente consolidato è l'orientamento secondo il quale i motivi posti a fondamento della concessione dell'autorizzazione debbono presentare quel carattere di eccezionalità e di temporaneità che la normativa in via espressa richiede, cui fa seguito l'ulteriore corollario che la chiesta autorizzazione deve risultare temporalmente limitata, tanto da ben poter essere revocata con la cessazione delle ragioni che ne abbiano giustificato il rilascio (cfr. Cass. n. 747 del 15.1.2007);

ritenuto che non ha, infatti, mancato la Corte di legittimità di ribadire come sia sempre richiesto "l'accertamento di situazioni di emergenza di natura eccezionale e contingente, di situazioni, cioè, che non siano quelle normali e stabilmente ricorrenti nella crescita di un minore", di guisa che nel caso qui posto al riesame non ci si può esimere dal sottolineare come l'autorizzazione "straordinaria" al padre finirebbe con l'essere senza limite se correlata alla (solo genericamente presunta) necessità della figlia minore di continuare a vivere nel contesto abituale e di costantemente fruire della presenza di entrambe le figure genitoriali;

ritenuto che, del resto, è indubbio come, seguendo l'impostazione dei giudici di primo grado, si verrebbero illegittimamente a sanare situazioni di irregolarità e di violazione della disciplina in tema di immigrazione mediante sterile richiamo al prioritario principio di unità familiare, principio che per converso il legislatore ha in via autonoma e particolareggiata inteso tutelare e, proprio a tal fine, regolamentare;

ritenuto, inoltre, che proprio la tenera età della figlia (nata in Italia nel 2005) non consente di individuare quando e come potrebbero venire a cessare le condizioni temporanee ed eccezionali che la normativa contempla e presuppone, di guisa che la necessità della permanenza paterna sul suolo italiano potrebbe protrarsi a tempo indefinito, e finanche sino al raggiungimento della maggiore età da parte della bambina, con quale risultato elusivo della disciplina vigente è fin troppo evidente;

ritenuto che, anzi e per converso, ben maggiore potrebbe essere il dedotto pregiudizio laddove l'allontanamento del padre dovesse realizzarsi tra un biennio (ovvero alla scadenza del provvedimento autorizzativo qui in discussione), sì che conforme allo stesso precipuo interesse della minore è il fatto che sia al più presto indotto il genitore ad attivarsi per la regolarizzazione della propria posizione nel territorio dello Stato, nel pieno rispetto della normativa generale sull'immigrazione e in base ad autonomo e diverso titolo;

ritenuto che, pertanto e conclusivamente, le doglianze prospettate dal P.M. reclamante, e qui integralmente ribadite in udienza dall'intervenuto P.G., debbono trovare accoglimento, con consequenziale riforma del provvedimento impugnato,

P.Q.M.

la Corte, visto l'art. 739 c.p.c., in riforma del decreto reso dal tribunale per i minorenni di Milano in data 21.12.2007/8.1.2008, respinge il ricorso ex art. 31, co. 3, d.lgs. n. 286/98 proposto da [...].