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Associazione per gli Studi Giuridici sull'Immigrazione
 
 
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Tribunale di Verona, sentenza del 24.2.2005 n. 2203

 

Integra il reato di cui all’art. 3 comma 1 lett. a) L. 654/75 la condotta di chi, mediante la raccolta di firme, promuove l’allontanamento di una determinata etnia, nel caso di specie degli “zingari”,  dalla propria città, presentando l’iniziativa in apposita conferenza stampa ed ampiamente pubblicizzandola con l’affissione di manifesti sui muri della città e con dichiarazioni rese alla stampa.

 

 
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La Sentenza (138 KB)
 

Con la sentenza n°2203/2005 il Tribunale di Verona ha ritenuto la condotta in esame sanzionabile in quanto determinante la diffusione di idee fondate sulla superiorità e sull’odio razziale ed etnico nonché l’incitamento dei pubblici amministratori competenti a commettere atti di discriminazione per motivi razziali ed etnici, conseguentemente creando, mediante la richiesta di adesione all’iniziativa discriminatoria, un concreto turbamento alla coesistenza pacifica dei vari gruppi etnici.

Il limite alla libera esternazione del pensiero è rappresentato dalla lesione o messa in pericolo di altri valori costituzionalmente garantiti.

L’incitamento alla discriminazione razziale travalica questo limite perché ha come fine la limitazione dei diritti  civili e politici di altri individui appartenenti alla stessa società civile.

Un simile incitamento fa nascere ed alimenta stimoli ad azioni discriminatorie, realizzando cosi un fatto anche ontologicamente più grave rispetto alla propaganda razziale, di cui all’art.1 della L. n. 65/1952.

La condotta in questione va punita anche indipendentemente da una specifica prova della lesione dell’ordine pubblico che eventualmente  ne scaturisce. Oggetto della tutela dell’art. 3 è infatti principalmente, come afferma il Tribunale, la dignità di ogni uomo ad essere considerato come egli é per razza, per etnia, per nazione o per credo religioso. Lo scopo della norma va quindi ben oltre quello di imporre la tolleranza delle diversità, prefiggendosi piuttosto di preservare e difendere le differenze culturali tra gli uomini e le identità collettive fondate su usi, costumi, religioni.

 Trattasi di un reato plurioffensivo, essendo almeno due gli interessi giuridici protetti: l’ordine pubblico inteso come diritto alla tranquillità sociale, e la dignità umana. Due sono quindi i soggetti passivi, cioè le persone singolarmente individuate e l’intero gruppo etnico. Non assume dunque alcun rilievo la circostanza che la condotta sia diretta a discriminare non delle persone specificamente individuate, ma, in maniera indifferenziata, tutti gli appartenenti ad una comunità protetta, nel caso di specie gli “zingari” della comunità veronese.

 Si tratta, spiegano ancora i giudici, di un reato di pura condotta, o di pericolo astratto, a nulla rilevando che l’azione abbia  prodotto degli effetti, cioè che nell’immediatezza del fatto l’incitamento o la provocazione siano o meno stati accolti dai presenti o dai destinatari dell’incitamento.

Per quanto concerne l’elemento oggettivo del reato, i giudici precisano come non importi il modo o il mezzo con i quali le idee vengono divulgate, mentre è necessario, perché il reato si perfezioni,  che l’espressione offensiva sia percepita da un’altra persona. Solo in tal caso il pensiero diviene penalmente rilevante e come tale sanzionabile.

Non importa d’altra parte, trattandosi di un reato di pericolo, che i soggetti passivi percepiscano l’espressione come un’offesa ala propria dignità. L’offensività dell’espressione va relazionata di volta in volta con l’etnia verso cui si dirige ma non dipende dal luogo,  dal tempo o dalle circostanze in cui viene pronunciata.

L’espressione deve altresì rivelare  il sentimento di superiorità della razza o dell’etnia di appartenenza del soggetto attivo ovvero di odio per la razza o l’etnia di appartenenza del soggetto passivo.

Il razzismo può anche essere “implicito”, non dovendo necessariamente esternarsi sottoforma di atti flagranti accompagnati da chiare ed esplicite manifestazioni di idee.

Riguardo l’elemento soggettivo, si tratta di un reato di dolo specifico: l’agente deve operare con coscienza e volontà di offendere la dignità della vittima in considerazione di fattori razziali, etnici, nazionali o religiosi.

Perche possa ritenersi sussistente la scriminante del diritto di critica, infine, è necessario che le parole utilizzate non travalichino il limite dell’assoluta correttezza del linguaggio che ogni manifestazione del pensiero deve rispettare quando coinvolge la dignità dell’altro uomo.

Dunque, conclude il Tribunale, il pregiudizio etnico-razziale, in sè innocuo, diviene perseguibile penalmente quando viene diffuso e usato per incitare altri alla condotta discriminatoria, trasformandosi da pensiero intimo della persona in atto penalmente rilevante.

(cfr. successiva Sentenza della Corte d'Appello di Venezia n°186/07)