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Associazione per gli Studi Giuridici sull'Immigrazione
 
 
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Corte d'Appello di Venezia, sentenza del 2 giugno 2000

 
est. Scarpari
 

B.F., [...] ed altri. - appellanti e appellante il P.M. -avverso la sentenza del Tribunale di Padova in data 10.5.1999 n.331/99 con la quale così si decideva [...].

Imputati tutti:

A) del delitto p. e p. dagli artt.110, 112 n.1, 582 cpv, 585, co.1 in relazione all'art.577 n.3, co.2 e 3 c.p. ed art.3 d.l. 26 aprile 1993 n.112, convertito nella l. 25 giugno 1993 n.205, perché, in concorso tra loro, volontariamente cagionavano a O.C.M., colpendolo al capo ed al busto con una spranga di ferro e con un "tirapugni" e facendo uso contro di lui (e contro i presenti A.R. e E.F.) di un gas lacrimogeno ed irritante contenuto in una bomboletta spray, lesioni personali dalle quali derivava allo stesso una malattia nel corpo giudicata guaribile in giorni 8 s.c.. Con le aggravanti: 1. di essere concorsi nel reato in più di cinque persone; 2. di aver agito con premeditazione; 3. di aver fatto uso di strumenti atti ad offendere, quali la spranga di ferro ed il "tirapugni" di cui sopra; 4. di aver fatto uso di gas accecante;

5. di aver commesso il fatto per finalità di discriminazione o odio etnico e razziale.

In Padova il 12 settembre 1998, verso le ore 19,30 nel centro cittadino.

B) del reato p. e p. dagli artt. 61 n.2, 110 e 112 n.1 c.p., 41. 18 aprile 1975 n.110, perché, in concorso tra loro ed al fine di commettere il reato che precede, portavano in luogo pubblico la spranga di ferro ed il "tirapugni" utilizzato con O.C.M., nelle medesime condizioni di tempo e di luogo di cui al capo che precede.

C) del reato p. e p. dagli artt. 61 n.2, 110, 112 n.1 c.p., 699 co.2 e 3 c.p. perché, in concorso tra loro ed al fine di commettere il reato che precede, illecitamente detenevano e portavano in luogo pubblico ed abitato - ove era una pluralità di persone, l'aggressivo chimico contenuto nella bomboletta spray in sequestro e costituito da "orto-clorobenzidilene malonitrile", gas ad effetto lacrimogeno ed irritante delle mucose e della cute, da considerare arma propria della quale non è ammessa licenza.

A Padova, nelle medesime circostanze di tempo e di luogo di cui al capo A).

D) del reato p. e p. dagli artt. 61 n.2, 81, 110, 112 n.1, 610, co.1 e 2, in relazione all'art.339 c.p. perché, in concorso ed unione tra loro, al fine di commettere il reato di cui al capo A), con le modalità e nelle medesime circostanze di tempo e di luogo quivi descritte, costringevano O.C.M., A.R. ed E.F. a tollerare il loro temporaneo accecamento, spruzzando contro i loro occhi parte del contenuto della bomboletta di cui sopra, ed a subire per un tempo apprezzabile la menomazione della loro libertà di volere ed agire.

B.F., B.R. e M.S.:

E) del reato p. e p. dall'art.697 c.p. per avere illegalmente detenuto, i primi due l'arma descritta nel capo C) e, il terzo, due coltelli da considerarsi, per le loro caratteristiche e per la loro destinazione naturale all'offesa delle persone, armi proprie.

A Padova, sino al 14 settembre 1998.

B.F., I.S., M.S.:

F) del reato p. e p. dagli artt.110, 81 cpv, 594, 1 e ult. co. 612 cpv in relazione all'art.339, parte 1 c.p., 3 d.l. 26.4.1993 n.122 convertita in l. n.205/93 per avere in concorso ed unione tra loro con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso per finalità di discriminazione o di odio etnico e razziale, offeso l'onore e il decoro dei O.C.M. in presenza di lui e di altre persone e minacciato allo stesso ingiusto e grave danno dicendogli "negro di merda - vieni fuori - bastardo ti spacchiamo - negro onto".

In Padova il 12.9.1998 (contestazione formulata in udienza il 16.3.1999).

- Con ulteriore aggravio di recidiva specifica reiterata nel quinquennio, per M.S. Con ulteriore aggravio di recidiva specifica, plurima e reiterata nel quinquennio per P.M.. Con ulteriore aggravio di recidiva reiterata nel quinquennio per M.T. e B.F. Con ulteriore aggravio di recidiva plurima e reiterata nel quinquennio per I.S.

Fatto e diritto

Con sentenza 10.5.99 il Tribunale di Padova condannava B.F., I.D., M.S. e M.D. per reati loro ascritti in rubrica, con esclusione di talune aggravanti, quella della provocazione e quella della discriminazione razziale, mentre mandava assolti tutti gli altri imputati con varie formule.

Nel merito riconosceva che, in occasione dei fatti di causa, vi era stata un'aggressione, dettata esclusivamente da motivi politici e posta in essere da alcuni giovani, appartenenti all'area di Forza Nuova, raggruppamento di estrema destra, nei confronti di un loro coetaneo, M.O., giovane di pelle scura, figlio di un nigeriano e di una cittadina italiana, gravitante nell'area del centro sociale "Pedro".

Che nel corso dell'aggressione "fossero usate parole che richiamavano il colore della sua pelle... non significa che il movente dell'azione fosse la discriminazione razziale o l'odio etnico e razziale" (v. sentenza cit., pag.9); che la parte offesa avesse riconosciuto in fotografia tutti gli imputati quali partecipi all'aggressione non è stato ritenuto sufficiente dal Tribunale, in quanto "una volta individuati quelli che si trovavano in posizione più avanzata, il predetto può aver dedotto la presenza degli altri, che erano soliti accompagnarsi con i primi", essendo tutti già conosciuti dall'O. (e per uno di questi, P.M., tre testi indicavano la sua presenza in altro luogo).

Su questa duplice esclusione si sono concentrate le critiche del P.M., che ha presentato appello, chiedendo la parziale riforma della sentenza.

Di segno opposto le critiche mosse alla decisione dai difensori degli imputati condannati, che l'hanno censurata in vari punti, sia per ragioni di rito (v. appello incidentale di Iddas Sergio), che di merito (v. soprattutto per la complessità dell'argomentazione, l'appello di B.F.).

La Corte ritiene fondato l'appello del P.M.

La versione fornita dalla parte offesa nell'immediatezza dei fatti - ed acquisita agli atti del dibattimento stante il suo imprevedibile decesso avvenuto nelle more del giudizio - è stata lineare, circostanziata e per più versi riscontrata.

L'O. ha infatti dichiarato che, mentre si trovava davanti ad un bar del centro di Padova, aveva visto passare due giovani i quali, guardandolo con fare minaccioso, si erano avviati verso la vicina piazza delle Erbe. Dopo alcuni minuti, mentre si trovava all'interno del bar, aveva visto avanzare un gruppo di una decina di giovani, alcuni dei quali si ponevano davanti all'ingresso per chiudere ogni via di fuga, gridandogli, tra l'altro: "negro di merda vieni fuori, bastardo ti spacchiamo, negro onto"; faceva appena in tempo a notare che uno brandiva una catena e un altro un bastone scuro, quando veniva accecato da uno spray, spruzzatogli in faccia, e successivamente aggredito con dei corpi contundenti, che gli causavano una ferita alla testa curata con 11 punti di sutura, o lesioni giudicate guaribili in gg. 8 (ma un mese e mezzo dopo, sentito il P.M. accusava ancora dolori).

Due giorni dopo i fatti, in questura, tra duecentoventisei foto di persone appartenenti alla locale area della destra extraparlamentare, riconosceva con certezza otto persone tra quelle che avevano preso parte all'aggressione. Successivamente al P.M. ricordava come già in passato, nel febbraio 98, fosse stato ricoverato per tre giorni in ospedale a seguito di un'altra aggressione cui aveva partecipato "uno dei due gemelli B.".

Proprio la presenza di F.B. nel gruppo dei giovani che stavano preparando l'aggressione ha attirato l'attenzione del sovrintendente Paino, che, fuori servizio, si trovava con la famiglia nella gelateria posta tra i due bar interessati alla vicenda (quello dove la spedizione punitiva è stata decisa e quello dove si trovava l'O.), e che da tale posizione ha potuto seguire la fase dei preparativi e quella aggressione ("ho visto che erano dieci e forse anche di più... quasi in contemporanea si sono scaraventati addosso a questo ragazzo... qualcuno... ha preso quelle transenne di lavoro, hanno cercato di colpire il ragazzo", v. verbale di udienza del 6.5.99 pagg. 49-50).

Quello che secondo l'O. è successo nel bar è stato poi confermato dalla titolare, la teste E.F., che ha visto arrivare il gruppo di ragazzi, ha cercato di fermarli, ne ha visto uno armato di spranga (poi identificato dalla stessa con M.S.: v. verbale cit., pag. 71), un altro che spruzzava un "liquido irritante" (poi identificato per I.S.), ha sentito "grida e rumori" (ivi, pag. 76) e, successivamente, ha constatato i danni arrecati al suo locale.

Il teste A., pure lui accecato dallo spray, nella confusione creatasi all'improvviso, ha sentito "rumori di catene, di bicchieri rotti..." ed ha visto scagliare una transenna che l'ha anche sfiorato (ivi pag. 80).

Entrambi i testi dichiaravano che l'effetto disturbante dello spray si era protratto per diversi minuti.

Successive perquisizioni consentivano di rintracciare una bomboletta spray contenente un gas ad effetto accecante presso l'abitazione dei gemelli B. (e due coltelli venivano sequestrati presso quella di M.S.).

La versione offerta immediatamente dopo i fatti dalla parte lesa è stata riscontrata mano a mano che procedevano gli accertamenti: l'avvistamento iniziale da parte dei tre (notato anche dall'An.), la successiva scelta di compiere la spedizione punitiva, decisa nel vicino bar (ed osservata dal teste P.), l'aggressione con lo spray e i corpi contundenti (testi E. ed A. ed il successivo ritrovamento della bomboletta spray, sequestrato presso l'abitazione dei gemelli B., chiudono il cerchio dei necessari riscontri circa le modalità dell'aggressione posta in essere in danno dell'O.

Questi del resto aveva fornito sin dall'inizio una versione circostanziata e del tutto priva di animosità nei confronti degli aggressori: pur avendo subito 11 punti di sutura alla testa, si è limitato a produrre un certificato che lo dichiarava guaribile in 8 giorni; pur avendo subito altre aggressioni "a ragione del colore della pelle" si è limitato a citarle di sfuggita al termine della sua deposizione in Procura (eppure protagonista anche allora era stato "uno dei gemelli B.").

Quando si è trattato di riconoscere uno degli aggressori, ha individuato, tra duecentoventisei foto mostrategli, solo coloro di cui aveva accertata la presenza: e, si badi bene, mentre F.B., S.M. e S.I. - raggiunti da molteplici elementi d'accusa - non hanno potuto negare la loro partecipazione ai fatti, gli altri (B.R., C.D., M.T. e M.D. neppure hanno provato ad indicare un luogo diverso di permanenza al momento del pestaggio, mentre Para Marco ha fornito sul punto un alibi rivelatosi presto inattendibile.

., infatti, si sarebbe trovato nel bar vicino, sarebbe stato avvicinato dai "ragazzi" che "avevano cominciato a mobilitarsi perché avevano visto Ozoeze", ma si sarebbe ben guardato dal seguirli perché, a partire dal giugno 98 si era tenuto fuori dai "casini" (v. verbale cit. pag. 110) e perché aveva preferito rimanere con il suo amico Vidali e le rispettive ragazze (e questi ultimi, al dibattimento, hanno confermato questa circostanza).

Ebbene, va precisato innanzitutto che il Para, per sua stessa ammissione, si trova con i coimputati nella fase immediatamente precedente al pestaggio e nel luogo ove lo stesso è stato deciso. E la motivazione da lui adottata per giustificare la mancata partecipazione all'azione punitiva si è rivelata falsa.

Infatti, come ha ricordato il dirigente della Digos dott. [...], il P., proprio dal giugno 98 era stato denunciato per ben tre volte (il 13/7 per lesioni personali, il 4/8 per rissa aggravata e il 6/9 per resistenza e lesioni a P.U.) e, in quest'ultima occasione, documentata anche con riprese filmate, il Para era stato denunciato assieme a Vidali Matteo, suo teste a discarico nel precedente processo.

Oltre al V., a confermare la presenza del P. al bar diverso da quello del luogo dell'aggressione, sono le loro rispettive "ragazze", C.G. e G.S., tutte persone certo "non indifferenti" rispetto alla persona dell'imputato.

Ebbene, secondo il P., all'arrivo del M. che aveva segnalato la presenza dell'O. e che stava mobilitando i ragazzi, egli si sarebbe limitato a dire "guardate, io non vengo da nessuna parte" (v. esame imputato, pag. 108). L'arrivo del M. è quindi significativo ed ancora di più lo è, secondo la versione difensiva, la frase pronunciata dal P..

Eppure il teste V., che dichiara di essere sempre stato, con la G., a fianco del P. ed intento a parlare con lui, non ricorda assolutamente l'episodio e neppure lo rammenta la Guarnieri, che ha pure dichiarato di conoscere il M.; quanto alla C., che in sede di prime indagini si era limitata a dire che lei e il Para avevano "incontrato alcuni amici dei quali ora non ricordo il nome" (v. dep. C., pag. 131), al dibattimento ricorda l'episodio del M., ma richiesta di circostanziare l'incontro, non riesce a precisare nulla, ricordando solo che è durato "cinque minuti, due, tre, quattro" (il P., come visto, tutto si era risolto in una battuta).

Quanto alla fase successiva, quella dell'allontanamento dal bar, il P. ricorda di essere stato avvertito da una persona che gli avrebbe detto "via via perché è successo casino" (v. interr. cit. pag. 109), di essere rimasto al bar per terminare la consumazione e di essersi allontanato con la propria ragazza, la C., dopo che tutti i suoi amici se ne erano andati, mentre il V. ha ricordato che, dopo l'avvertimento avrebbe pagato e si sarebbe avviato in compagnia del P. e della G. (senza la C., quindi); ricordo questo che confligge con quello della G., secondo cui dal bar si sarebbero allontanati tutti e quattro insieme e con quello della C. che ricorda una permanenza al bar di ben dieci minuti dopo "l'avvertimento" (v. dep. Cit., pag. 132).

I testi citati dalla difesa sono quindi caduti in continue contraddizioni, quando si è trattato di spiegare meglio l'incontro del P. con il M. e i modi e i tempi del suo allontanamento dal "bar degli spitz".

Di contro, l'unico teste che avrebbe potuto essere indifferente alla vicenda, il gestore del suindicato bar, ha detto di non ricordare chi fosse presente quella sera nel suo esercizio (v. dep. R., pag. 94).

Né rileva che il P. scrivendo dal carcere ad un suo amico, ribadisca la sua estraneità ai fatti, una volta saputo (?) che nessuno dei testi l'aveva riconosciuto, essendo più che prevedibile, per uno che era stato in carcere tre volte in quattro anni (v. lettera 2/2/99), la possibilità di una preventiva censura (e sarebbe stato comunque azzardato fornire per iscritto una versione contraria a quella sostenuta in sede processuale). Ed identico valore deve darsi all'altra missiva uscita dal carcere, a firma "benzina", nella quale il Marzocchi, che divideva la cella col Para, ribadisce l'estraneità di quest'ultimo (v. lettera indirizzata al camerata Nando, anch'essa in data 2/2/99).

La Corte ritiene quindi inattendibili le dichiarazioni dei testi citati dalla difesa a sostegno dell'alibi del P. e che anche su questo punto la credibilità dell'O. sia stata, a contrario, confermata. Quest'ultimo perciò dice il vero non solo quando descrive le modalità dell'aggressione nei suoi confronti, ma anche quando ne indica gli autori.

Ha errato quindi il Tribunale quando ha mandato assolti gli imputati per i quali non ha trovato riscontri al di là della individuazione fatta dalla parte lesa, adottando per valutare le dichiarazioni di quest'ultima i parametri che sono necessari per utilizzare le chiamate di correo. Una volta verificata l'intrinseca attendibilità della parte lesa, infatti, la sua dichiarazione può essere assunta, da sola, come fonte di prova del convincimento del giudice (v. Cass. Sez.VI, 6.10.99 n.13791). E si è visto come le dichiarazioni dell'O. siano state circostanziate, coerenti, mai improntate ad animosità, fin ove possibile riscontrate e mai contraddette da risultanze certe di segno contrario.

Dunque tutti gli imputati devono rispondere del reato di cui sub a), qualificato nelle sue forme aggravate (eccezion fatta per la premeditazione, esclusa dal Tribunale e su cui non vi è appello del P.M.).

L'aggressione è stata infatti compiuta da più di cinque persone, con l'uso di strumenti atti ad offendere e di un gas accecante, ed è stata determinata da finalità razziste.

Sul numero delle persone non si discute, avendo anzi i testi oculari notato un gruppo di giovani ancora più numeroso di quello formato dagli odierni imputati.

Sull'uso di corpi contundenti, neppure, visto che

è stata lanciata una transenna (teste A.), una spranga (teste E.) ed O. aveva parlato anche di un "tirapugni".

Quanto alla bomboletta di gas usata da Iddas si può far riferimento a quanto accertato dal C.T. del P.M. su quella sequestrata dai fratelli B., definita "arma propria della quale non è ammessa licenza" (v. elaborato peritale, pag. 15), trovata mancante di parte del contenuto (e perciò compatibile con un precedente, parziale, uso) e dagli effetti inabilitanti identici a quelli accusati dalle parti lese dell'odierno procedimento (v. dep. Michelini, pag. 11, udienza 10.5.99 e dep. A. ed E., udienza 6.5.99). E questi due elementi congiunti fanno ritenere fondatamente che la bomboletta sequestrata sia proprio quella usata dall'Iddas durante l'aggressione, poi consegnata agli altri in vista della perquisizione, resa probabile dal riconoscimento effettuato anche dall'Esposito nei suoi confronti.

Quanto alle grida di inequivoco tenore razzista con le quali è stato affrontato l'O., solo il diretto interessato ne ha serbato memoria. Per gli altri, occupati solo a mettersi in salvo e ad evitare guai, le singole parole si sono trasformate in grida e queste si sono mescolate allo strepito prodotto dalla fulminea aggressione (lancio di transenna, bicchieri in frantumi, etc.).

A questo proposito le difese degli imputati, sin dal giudizio di primo grado - e in seguito anche con l'appello incidentale proposto da I.S. - hanno eccepito

la nullità del decreto di citazione in quanto il reato di lesioni prevede, tra le aggravanti, anche quella "di aver commesso il fatto per finalità di discriminazione o odio etnico e razziale", senza che fossero indicati i fatti posti a fondamento dell'aggravante, venendo così ad incidere sulle possibilità di difesa.

L'eccezione non è fondata.

La lettura completa del capo di imputazione evidenzia infatti che a tutti gli imputati è stata contestata un'aggressione determinata da finalità razziste, rese esplicite dagli insulti (negro di merda, negro "onto" e cioè sporco, nel dialetto padovano) pronunciate da coloro che stavano in testa al gruppo, e cioè da B.F., I.S. e M.S.: alcuni quindi hanno "gridato" le finalità dell'assalto, altri le hanno condivise, partecipandovi attivamente. Tutti, poi, in sede processuale hanno potuto difendersi da questa accusa collettiva, e quindi nessuna violazione dei loro diritti è stata nella specie consumata.

Nel merito si osserva che quelle frasi, lungi dall'essere un insulto occasionale come ritenuto dal Tribunale, sono addirittura consequenziali con l'ideologia propria degli imputati, vista l'area politica di appartenenza.

Il dirigente della Digos [...] ha infatti chiarito al dibattimento come tutti gli imputati appartengano al gruppo di estrema destra "Forza nuova" (v. verbale 6.5.99, pag. 86); come questo movimento si sia dotato di un programma politico che prevede, tra l'altro, il blocco dell'immigrazione e l'avvio "ad un umano rimpatrio degli immigrati", nonché "l'abrogazione delle leggi liberticide Mancino" (tra cui la norma che stabilisce l'aggravante contestata); che proprio a Padova era stata tempo addietro organizzata dai giovani, poi confluiti in Forza nuova, una manifestazione contro tale legge, nella quale erano stati esposti cartelli del seguente tenore: "che cosa ne pensate degli africani? Che vadano via tutti, meno negri meno tasse. Negri bestie, l'unica soluzione contro l'immigrazione è uccidere" (ed a tale manifestazione avevano partecipato i fratelli B.: verbale 10.5.99, pag.20); che alle manifestazioni organizzate poi da Forza nuova prendevano parte, chi all'una chi all'altra, tutti gli imputati (a quella del 7.2.98 erano presenti i fratelli B., I.D., C.D., M.S. e P.M. Ivi pag. 25); che, passando dalle parole ai fatti, Federico Baggio aveva partecipato, nel maggio 98, ad un'aggressione ad un nord-africano, culminata col suo accoltellamento (ivi, pag. 22). E quanto a P.M., a chiarirne ulteriormente l'ideologia, è significativa l'espressione con cui, nella lettera succitata, si riferisce all'O.: "il negro in questione l'avrei sfondato a calci".

L'appartenenza di tutti gli imputati ad una formazione politica dichiaratamente intollerante nei confronti degli stranieri extracomunitari; la loro partecipazione a manifestazioni in cui i "negri" erano insultati e minacciati; il passaggio, già avvenuto in passato per taluno di essi dalle parole ai fatti; il messaggio di violenza indirizzato ai "camerati" del Para con riferimento proprio al "negro" O., costituiscono tutti elementi di un mosaico che, confermando la credibilità delle frasi addebitate agli imputati, ne esclude l'accidentalità, rivelando la matrice e la finalità dell'azione punitiva.

Che insieme ad essa vi fosse anche quella di colpire un appartenente ad un opposto raggruppamento politico (l'O. era aderente, fino al 94, secondo la madre, fino al ‘96, più verosimilmente, secondo il teste Rossetto - v. verbale cit. pag.89 - al centro sociale Pedro, collocato all'estrema sinistra) è più che probabile, ma va considerato che le ragioni del contrasto politico tra i due schieramenti vanno ricercate anche nell'approccio, diverso ed anzi opposto, dagli stessi assunti propri sulla questione degli extracomunitari. Ma l'una ragione non esclude l'altra, essendo appunto intrecciate, e comunque è significativo che l'aggressione sia stata condotta al grido di "negro di merda" e non con epiteti riferitisi alla collocazione politica dell'avversario.

Le modalità della violenza esercitata contro l'O. configurano dunque la contestata aggravante, qualunque sia l'opinione personale del dirigente della Digos, condizionato forse dall'ottica, tutta politica e perciò riduttiva, degli "opposti estremismi".

L'aggravante, invece, secondo la Cassazione (v. Sez. III, 15.1.99 n.434), sussiste sempre quando si è in presenza di "indici rivelatori, che possono essere, a titolo esemplificativo, rappresentati da: parole e gesti provocatori con chiaro riferimento alla diversità di razza, di nazionalità, di "colore"; atteggiamenti di odio o, quanto meno, di insofferenza o di intolleranza, inequivocabilmente manifestati ed espressi; personalità del soggetto, notoriamente incline, anche sulla base di non contestati precedenti, a commettere violenza o a incitare a commettere ed a "predicare" violenza per i suddetti motivi, e sua appartenenza a gruppi ed associazioni che comunque perseguono finalità di discriminazione o di odio etnico, nazionale, razziale o religioso, etc". Non uno, ma diversi "sintomi" sono ravvisabili nella condotta degli indagati, per cui l'aggravante in questione sussiste al di là di ogni ragionevole dubbio. [...].

P.Q.M.

la Corte, visti gli artt.592 e 605 c.p.p., in parziale riforma della sentenza 10.5.99 del Tribunale di Padova, impugnata dal P.M. e dagli imputati condannati in primo grado, riconosciuta l'aggravante di cui all'art.3 l. n.205/93, dichiara tutti gli imputati responsabili dei reati loro ascritti e con le generiche equivalenti alle restanti aggravanti, esclusa la premeditazione e con la continuazione, li condanna alle seguenti pene: B.F. e M.S.  ad anni 1, mesi 1, e gg. 15 di reclusione; I.S. ad anni 1 e mesi 1 di reclusione; M.D., B.R., C.D., M.T. e P.M. ad anni 1 di reclusione.

Pena sospesa e non menzione per B.R. e C.D. Conferma nel resto e condanna tutti gli imputati al pagamento delle spese. [...] .