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Associazione per gli Studi Giuridici sull'Immigrazione
 
 
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Corte d'Assise di Padova, sentenza del 14 novembre 2000, n. 300

 
est. Paccagnella
 

Nei confronti di Hodoroaba Radu [...] contumace, Mocanu Michela [...] contumace.

Imputati:

Hodoroaba Radu:

A) del reato p e p dall'art. ó00 c.p. perché ricevendo in consegna Cretu Micaela da un individuo non identificato che l'aveva clandestinamente introdotta in Italia, trattenendola presso di sé per circa un mese, durante il quale la privava della libertà personale e la assoggettava al proprio potere di disposizione, inducendone, favorendone e sfruttandone la prostituzione, abusandone sessualmente, picchiandola in maniera sistematica, segregandola per circa 15 giorni in un appartamento da cui, con il concorso di Mocanu Michela, che a lui si alternava nella sorveglianza, le impediva di allontanarsi e di comunicare con l'esterno e trattandone con terzi la vendita, riduceva la predetta in una condizione analoga alla schiavitù. In Padova tra i primi di giugno e il 1 luglio 1999

B) del reato p. e p. dagli artt. 81 c.p.v., ó09 bis e 609 ter n. 4 c.p. perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, mediante minacce e violenze costringeva in plurime occasioni Cretu Micaela a subire atti sessuali, in particolare a congiungersi carnalmente con lui.

Fatto commesso su persona sottoposta a limitazione della libertà personale tra i primi di giugno e il 1 luglio 1999.

Mocanu Michela:

C) del reato p. e p. dagli artt. 110 e 600 c.p. per avere concorso con Hodoroaba Radu nella consumazione del delitto sub A) svolgendo attività di sorveglianza nei confronti di Cretu Micaela durante il periodo in cui questa era stata rinchiusa in un appartamento e quindi contribuendo a privarla della libertà personale e ad asservirla al potere di disposizione dell'Hodoroaba. In Padova dal 18 giugno al 1 luglio 1999.

Entrambi:

D) del reato p. e p. dagli artt. 110, 600 bis e 600 sexsies co. 3 c.p. perché, in concorso tra loro, mediante minacce poste in essere dall'Hodoroaba, inducevano, favorivano e sfruttavano la prostituzione di [...], minore degli anni 18, costringendola a dedicarsi al meretricio, organizzandone, sorvegliandone l'attività e facendosene consegnare i proventi.

In Padova dai primi di giugno al 1 luglio 1999

E) del reato p. e p. dagli artt. 110 C.P., 3 nn. 5 e 8, 4 nn. 1 e 7 L. 20.2.58 n. 75 perché, in concorso tra loro, esercitando l'Hodoroaba minacce e violenze, inducevano, favorivano e sfruttavano la prostituzione di Cretu Micaela e Mitroshenco Natalia costringendole a dedicarsi al meretricio, organizzandone e sorvegliandone l'attività e facendosene consegnare i proventi. In Padova dai primi di giugno al 1 luglio 1999.

Parti civili: Donceva Olga Ivanovna[...], Cretu Micaela, Mitroshenco Natalia [...], cooperativa -"Nuovo Villaggio" s.c.a.r.l. [...].

Conclusioni [...]

Motivazione

Hodoroaba Radu e Mocanu Michela vennero tratti in arresto il giorno 1 luglio 1999 e sottoposti a custodia cautelare sino alla data del 31.12.99. Scarcerati per decorrenza dei termini massimi di custodia, sono stati rinviati a giudizio in contumacia all'udienza preliminare del giorno 22.6.2000 per rispondere dei delitti trascritti in epigrafe. Anche il processo si è svolto in contumacia.

Le parti offese Cretu .Micaela Donceva Olga e Mitroshenco Natalia si sono costituite parte civile ed e stata pure ammessa nel giudizio la costituzione di parte civile della cooperativa "Nuovo Villaggio" s.c.a.r.l., ente che aveva offerto protezione ed assistenza alle tre giovani dopo la denuncia dei fatti. Questa Corte ritiene infatti che le vicende oggetto del giudizio in particolare quelle inquadrate dall'accusa nella fattispecie di reato della riduzione in condizione analoga alla schiavitù e di induzione, favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione, ineriscano ad un fenomeno sociale che non solo è lesivo dei diritti personalissimi propri dei singoli soggetti passivi, ma che incide anche sull'intero tessuto sociale, sia perché la società civile rivendica il rispetto dei diritti fondamentali della persona quale patrimonio collettivo, sia perché la collettività stessa subisce a causa di simili fenomeni criminosi un forte degrado nell'immagine e nella qualità di vita.

L'ente in questione, attualmente iscritto nel registro delle associazioni e degli enti che svolgono attività a favore degli immigrati ai sensi dell'art.54 d.p.r. 31.8.1999 n. 394 (iscrizione ovviamente intervenuta in data successiva ai fatti, considerata l'epoca di emanazione ed entrata in vigore della normativa regolamentare che la disciplinava), già a partire dal 1998 - e perciò già all'epoca dei fatti - era impegnato attraverso uno specifico programma denominato "Miriam" in attività finalizzate a perseguire il recupero e l'integrazione di giovani donne immigrate sfruttate sessualmente (v. relazione sulla attività "Progetto Miriam" allegata alla domanda di iscrizione 21.1.2000). In concreto, la medesima assistenza era stata portata anche alle tre parti offese del presente processo.

A prescindere quindi dal riconoscimento ufficiale ottenuto, può assumersi che la cooperativa "Nuovo Villaggio" avesse posto fra i suoi obiettivi la realizzazione di interessi ed istanze di rango sovranazionale per il rispetto dei diritti universali ed inviolabili della persona, in particolare attraverso l'assistenza portata alle vittime di fenomeni criminali analoghi a quelli ipotizzati dall'accusa. Tali finalità trovano allocazione nelle linee programmatiche della politica (v. d.p.r. 5.8.98 "approvazione del documento programmatico relativo alla politica dell'immigrazione e degli stranieri nel territorio dello Stato, a norma dell'art.3 della legge 6 marzo 1998, n.40" - parte terza - in tema di obiettivi e norme di protezione sociale, nonché in tema di agenti e strumenti per le politiche di integrazione) e nelle disposizioni normative dello Stato (v art.18 T. U. sull'immigrazione approvato con d. lgs.25.7.98 n. 286).

L'ente, strutturato su base territoriale, è stato poi riconosciuto a livello ministeriale ed è collegato mediante convenzione con gli enti locali in conformità con il regolamento di attuazione del T. U. sull'immigrazione di cui al d.p.r. 31.8.99 n. 394 (v. in particolare gli artt.95, 26 e 52 - 54).

Si può quindi ritenere corretto riconoscere alla cooperativa suddetta, la facoltà di reclamare danni sia derivanti dal ruolo assistenziale svolto nei confronti delle parti offese, che nell'interesse dell'intera collettività sociale, di cui l'ente in questione può considerarsi esponente qualificato, per la tutela dei diritti fondamentali della persona. Di tale obiettivo lo Stato rappresenta il primario garante, anche attraverso gli organismi - in questo caso enti privati ed associazioni di volontariato - di cui intende servirsi in favore dei soggetti più deboli, quali giovanissime donne straniere attratte in territorio italiano di regola con false promesse di un lavoro e che rimangono poi vittime di abusi e sfruttamento. [...].

Le testimonianze raccolte hanno offerto un quadro pienamente attendibile dei fatti conforme al tenore delle imputazioni oggetto del giudizio.

Le deposizioni delle parti offese sono risultate infatti minuziose nei particolari aderenti sia a quanto percepito direttamente dalla P. G., sia alla narrazione che era stata fornita da ciascuna ai militari operanti nell'immediatezza dei fatti, si sono tra loro perfettamente saldate dimostrandosi obiettive e prive di forzature, offrendo reciproco riscontro in singoli dettagli, senza contraddizioni significative. Tutte le parti offese hanno riferito ad esempio che soltanto la Cretu, unitamente alla citata Veronica fuggita per sottrarsi alle violenze dell'Hodoroaba (cfr. Donceva pg.88 verb. sten.), era stata vittima di abusi sessuali e di violenze fisiche, nonché di una particolare restrizione della libertà personale che rappresentava il preludio di una cessione imminente mediante "vendita". Costei era divenuta infatti per l'Hodoroaba elemento troppo "pericoloso", sia per la sua conoscenza della lingua italiana (o inglese) e per la conseguente possibilità di contatti con le forze di polizia, sia probabilmente per la maggiore capacità di resistenza espressa nei confronti del "boss". Ciò non toglie che la giovane donna fosse venuta a trovarsi in uno stato di piena soggezione, costretta in casa e sorvegliata a vista con la collaborazione della Mocanu in attesa che altri - l'Hodoroaba - prendesse determinazioni sulla sua sorte.

Si è molto approfondito - tra i vari aspetti - quello concernente l'effettivo significato dei termini "padrone" e "boss" utilizzati. È emerso che al di là del significato letterale delle espressioni utilizzate, per tutte le ragazze padrone o boss era colui ai cui voleri esse dovevano sottostare, colui che prescriveva loro la condotta da tenere e le minacciava di gravi ritorsioni sia in danno proprio che dei familiari rimasti in Romania.

A1 di là delle convergenti dichiarazioni accusatorie delle parti offese, numerosi sono stati gli elementi acquisiti a riscontro della loro credibilità. Lo stato di timore che in un primo tempo aveva indotto Donceva e Cretu a serbare silenzio sulla loro condizione, era stato più volte nettamente percepito dal m.llo Marangon.

[...]

Il concetto di "compravendita" di un individuo è quello che più riconduce alla nozione di schiavitù, intesa tanto in senso storico che alla stregua del sentire comune, nonché alla stregua della definizione contenuta nell'art. 1 della Convenzione internazionale di Ginevra. del 1926 come "stato o condizione di un individuo sul quale si esercitano gli attributi del diritto di proprietà o alcuno di essi". Rappresenta infatti la vendita una tipica esplicazione dei poteri del proprietario di un bene inteso come "cosa". Ed in una "cosa" viene dunque trasformato l'individuo che deve totale obbedienza al "padrone" e può essere limitato nelle fondamentali espressioni della personalità (ad esempio nella libertà di movimento), costretto a svolgere ad esclusivo profitto del "padrone" le più avvilenti attività come quella del meretricio, che può essere infine da questi tranquillamente "ceduto" a terzi, con, trasmissione a costoro di analoghe facoltà di abuso.

La prova che tale ultimo evento fosse realmente in fase di attuazione il 1 luglio 1999 emerge peraltro dalle precise dichiarazioni della Cretu: "... ho sentito dai discorsi che facevano, e me l'aveva anche detto in faccia. Che lui non poteva più farmi uscire a Padova perché era troppo pericoloso per lui e che mi avrebbe venduta ad un suo amico. Mi avrebbe venduta ed andavo a lavorare a Treviso. Per 5 milioni" (pg 132 verb sten ). Anche la Donceva aveva appreso dalla Cretu l'esistenza di tale programma: "me l'ha detto la Micaela quella notte dopo che sono arrivata... quando Micaela è stata presa a casa e io sono rimasta ancora un glomo in hotel. Mi ha preso a casa e mi ha detto la Micaela che lui ha parlato con qualche ragazzo, uomo che voleva venderla.... 5 milioni, qualcosa così." (pg.83 verb. sten.)

Mitroshenco rappresenta invece fonte autonoma delle notizie inerenti la "vendita" della Cretu, in quanto aveva saputo di tale progetto dalla Mocanu "ho saputo che dovrebbe venire un suo [del Radu] amico rumeno che si vende di 5 milioni... Da Simona.... Perché mi ha detto se continui così ... poi lo stesso lo fa con me. [La vendita doveva avvenire] La mattina che prima sono venuti la notte i Carabinieri." (pg. 164 verb. sten.).

Forte riscontro di carattere logico è del resto rappresentato dal fatto che non si potrebbe altrimenti spiegare la circostanza per cui la donna era stata "semplicemente" segregata, senza subire in quel contesto particolari pretese né di prestazioni sessuali (che l'Hodoroaba non aveva più imposto dopo i primi tempi), né di ulteriore esercizio della prostituzione od altro. Come riferito da Cretu, l'Hodoroaba considerava evidentemente ormai troppo "pericoloso" proseguire nello sfruttamento della giovane donna che sapeva essere stata contattata dai carabinieri; egli nel contempo intendeva evidentemente ricavare il massimo profitto dal "bene" acquistato, prima di rinunciare al reddito costante che la poveretta avrebbe potuto fruttargli.

Il fatto poi che nessun estraneo fosse stato visto sopraggiungere nell'abitazione quella notte non svaluta gli indizi raccolti, poiché, per quanto specialmente riferito da Mitroshenco, quella notte l'Hodoroaba si era già messo in allarme prima dell'arrivo dei carabinieri constatando che Olga non faceva rientro nell'abitazione come di norma. "... quando ha visto lui che sempre girava i posti, ha visto che non c'era la Olga, e ha chiamato subito la Simona, ha detto Venite subito a casa perchè non vedo già da un'ora, due ore la Olga che non c'è al suo posto. ... e quando sono arrivata a casa ha cominciato ad urlare, ha fatto gesti, ha cominciato di più a picchiare Micaela, diceva: Voi sapete tutto, sapete dove è scappata la Veronica, sapete di Olga che adesso è scappata. - (Mitroshenco pg. 165 verb sten )

È stato argomentato dalla difesa che le persone offese sarebbero inattendibili, poiché in realtà non avrebbero potuto giungere in Italia con le modalità narrate senza essere anche consapevoli che avrebbero qui esercitato la prostituzione, ulteriore congettura prospettata sarebbe quella per cui le tre giovani si sarebbero determinate a presentare una denuncia calunniosa nella prospettiva di ottenere un permesso di soggiorno.

Tale assunto non pare invece assolutamente credibile, sia per il fatto che la denuncia non era intervenuta nei primi e più propizi momenti in cui i carabinieri avevano preso contatto con Donceva e Cretu, ma al contrario i militari avevano dovuto vincere una forte reticenza delle ragazze, sia per il complessivo atteggiamento assunto nella vicenda processuale dalle medesime, le quali hanno partecipato alle diverse fasi del procedimento senza rendersi irreperibili e sottrarsi al loro onere di testimoni, come sarebbe verosimilmente accaduto nel caso in cui esse avessero inteso strumentalizzare la denuncia solo per liberarsi dei loro sfruttatori.

Neppure costituisce conferma di quelle congetture la circostanza che le giovani si fossero servite di documenti falsi (passaporti ungheresi) per entrare in territorio nazionale. Invero, al di là del fatto che non vi è alcuna certezza della iniziale consapevolezza delle parti offese (che l'hanno esclusa rispetto al momento in cui avevano passato la frontiera, il che non è improbabile date le particolari modalità del viaggio), non sembra comunque anomalo che, nutrendo speranze di conseguire un lavoro normale, le giovani avessero accettato di utilizzare qualunque documento fosse stato preparato per loro. È nota a tutti infatti la sostanziale impossibilità di ottenere dall'estero un permesso di soggiorno per motivi di lavoro senza referenti in territorio nazionale (com'era per le giovani) ed è altresì nota la particolare onerosità economica dei visti turistici, sicché non pare strano che le tre ragazze si fossero affidate a terzi per riuscire ad entrare in Italia con qualunque mezzo, nutrendo semplici speranze di migliorare !a qualità della loro vita con il reddito che un qualunque lavoro normale - per quanto umile - avrebbe potuto fruttare loro in termini impensabili nei paesi di origine. Non va del resto dimenticato che la Donceva era all'epoca minorenne e non aveva ancora compiuto 17 anni quindi poteva essere stata in parte vittima della propria ingenuità, e che la Cretu aveva validi motivi per affidarsi a colui - il Ciprian Radu - con il quale aveva in passato avuto una relazione sentimentale e che credeva esserle amico. Dunque anche l'utilizzo di falsi passaporti ungheresi - consapevole o meno che fosse stato - non appare di particolare significato.

A fronte del pesante quadro indiziario raccolto in questo processo va anche considerato che le tesi difensive degli imputati - quali desumibili dai verbali di interrogatorio reso al g.i.p. in sede di udienza di convalida che sono stati acquisiti agli atti del processo - appaiono inconsistenti e fra loro contraddittorie, quando non addirittura confermative degli elementi d'accusa. Infatti, l'Hodoroaba Radu si è complessivamente limitato a negare i fatti ed ha soltanto asserito, del tutto inverosimilmente, che le giovani avevano trovato ospitalità nel suo appartamento solo per avere conosciuto per strada la convivente Mocanu e non sapendo dove andare a vivere (il che è fra l'altro smentito dal fatto che le ragazze avevano invece frequentato più alberghi cittadini e che se avessero potuto disporre dei proventi della prostituzione non sarebbero certo state sprovviste dei mezzi economici necessari per continuare a vivere in albergo); ha negato che la Mocanu fosse chiamata Simona, ma la stessa Mocanu ha invece ammesso di essere chiamata con quel nome dalle ragazze.

La Mocanu, che ha ammesso un duraturo legame sentimentale con il coimputato (ed anche in ragione di questo è quindi plausibile avesse rigorosamente evitato di muovergli accuse); ha comunque ammesso che le ragazze erano state mandate in Italia dal Ciprian Radu perché si prostituissero; che la Mitroshenco consegnava i soldi guadagnati all'Hodoroaba ("... perché li mandasse al suo paese."); ha ammesso che una delle ragazze (da intendersi quella Veronica innanzi nominata) era scappata e che la Cretu aveva parlato con i carabinieri. Ha poi rivolto accuse palesemente calunniose all'indirizzo dei carabinieri accusandoli di avere dichiarato il falso per motivi sentimentali, di avere sottratto danaro alla Cretu e di essersi appropriati anche di danaro che lei (Mocanu) deteneva nella borsa al momento dell'arresto.

*

Tutto ciò premesso in ordine alla prova materiale dei fatti ed alle loro più salienti connotazioni, deve essere a questo punto presa in esame la tesi difensiva in punto di diritto secondo cui nel nostro ordinamento sarebbe comunque esclusa la configurabilità in concreto di un delitto qualificabile come riduzione in schiavitù o in condizione analoga alla schiavitù. Ed invero la questione concernente la punibilità del delitto di riduzione in schiavitù ex art. 600 c.p. è stata per lunghi anni dibattuta, ma in tempi più recenti ha trovato una definitiva soluzione interpretativa attraverso l'autorevole intervento delle Sezioni unite della Corte di cassazione.

Un radicato orientamento dottrinale, condiviso sino a pochi anni or sono anche da buona parte della giurisprudenza affermava che la fattispecie normativa di cui all'art. 600 c.p. poteva trovare applicazione soltanto in quegli ordinamenti che ancora riconoscevano tale istituto giuridico e si radicava appunto sull'interpretazione secondo cui il concetto di "schiavitù" rappresenta esclusivamente una nozione di diritto. Sottolineava tale orientamento che era infatti il delitto di plagio (abrogato come è noto con sentenza della Corte costituzionale n.96 del 1981 che ha ravvisato il difetto di tipicità della fattispecie incriminatrice) concepito per sanzionare situazioni nelle quali fosse ravvisabile l'asservimento di un individuo non da un punto di vista giuridico, ma in termini di fatto. Ne conseguiva - secondo tale impostazione - che non sarebbe stato neppure configurabile in territorio italiano il delitto di riduzione in schiavitù.

Quanto poi alla definizione delle "condizioni analoghe alla schiavitù", che pure la norma sanziona, quello stesso orientamento restrittivo riteneva che anche per esse, nel rispetto del principio di tassatività, si dovesse fare riferimento esclusivo alla loro precisa definizione giuridica formulata, a livello sovranazionale, nel contesto dell'art. 1 della Convenzione supplementare di Ginevra del 1956, ratificata nel 1957 dallo Stato italiano, che ha descritto una serie di "istituzioni e pratiche" analoghe alla schiavitù per la cui abrogazione ciascuno degli Stati aderenti si impegnava ad adottare tutte le misure legislative necessarie. Il portato di detta interpretazione - per quanto di interesse ai fini presente decisione - è quello per cui non sarebbe punibile il caso della privazione di libertà e della cessione per finalità di lucro e di sfruttamento della prostituzione di una donna da parte di soggetti diversi dai familiari. Infatti nella elencazione dell'art 1 della Convenzione supplementare di Ginevra simile fattispecie materiale non risulta contemplata.

La sentenza delle Sezioni unite della Corte di cassazione n.261 del 20.11.96 è intervenuta proprio in una vicenda analoga concernete una giovane ragazza straniera compravenduta e costretta alla prostituzione, e con essa è stato definitivamente superato il limite interpretativo cui si e innanzi accennato. La Corte, infatti, attraverso quella e successive pronunce seguite nel tempo ha riaffermato che, se non vi è ragione per discostarsi dal principio secondo cui "stato" di schiavitù rappresenta una nozione di diritto ("... nel senso che debba esservi un ordinamento giuridico, che ammetta l'istituto della schiavitù, e riconosca, pertanto, l'assoggettabilità ad esso della persona umana - la quale viene riguardata come possibile oggetto di dominio altrui, al pari delle cose inanimate o degli altri esseri viventi diversi dall'uomo - ed attribuisca la titolarità giuridica d'un dominio siffatto a chi lo acquisisca, secondo i modi che l'ordinamento medesimo riconosce abili al fine"), è d'altro canto vero che la nozione di "schiavitù" aveva già trovato una sua precisa definizione nella Convenzione di Ginevra del 1926 ratificata dallo Stato italiano nel 1928, come "stato o condizione di un individuo sul quale si esercitano gli attributi del diritto di proprietà o alcuno di essi". Ed è nella nozione di "condizione" che la Corte ha ritenuto siano espressi contenuti caratterizzati da "dati o estremi puramente effettuali e non pure di diritto positivo." Muovendo poi dalla considerazione obiettiva che dal testo dell'art. 600 c.p. non si ricava espressa esclusione della punibilità delle situazioni di fatto, la Corte ha ritenuto che il requisito di determinatezza del contenuto della previsione incriminatrice possa essere adeguatamente assolto facendo ricorso alla diffusa conoscenza storica del fenomeno della schiavitù ed alla coscienza socio - culturale propria dei nostri tempi.

Dunque, sulla linea tracciata dalla Convenzione di Ginevra del 1926, facendo ricorso al concetto di proprietà ed agli attributi tipici del diritto di proprietà ed intendendoli - in tutto o in parte - esercitati sulla persona alla stregua di una res; guardando poi ai casi esemplificativi ma non esaustivi descritti nella Convenzione supplementare di Ginevra, non deve reputarsi aleatoria ed indefinibile da parte di ciascuno la percezione di quali debbano intendersi i connotati essenziali di ogni "condizione analoga alla schiavitù", ovvero quel totale asservimento al volere altrui, quella spersonalizzazione e riduzione dell'individuo al ruolo di oggetto, quell'annullamento di ogni potere di autodeterminazione proprio di ciascun individuo libero che nella coscienza collettiva rispecchiano la condizione di schiavitù.

Non si reputa ponga un significativo ostacolo all'adesione alla tesi delle Sezioni unite la pronuncia della Corte costituzionale n. 96 del 1981, quasi vi fosse perfetta coincidenza tra la nozione di plagio e quella di "condizione analoga alla schiavitù". Invero, la fattispecie del plagio aveva assunto nel tempo, attraverso l'interpretazione dottrinale e giurisprudenziale, una connotazione a sfondo fortemente psicologico, come se la lesione inferta alla libertà dell'individuo, in questo caso, fosse andata ad incidere più che sulla facoltà di estrinsecare liberamente la propria volontà, sul processo stesso di libera formazione della volontà. Ed infatti la Corte costituzionale, facendo riferimento ad uno stato di sudditanza psicologica, aveva sottolineato l'impossibilità di dimostrare e verificare la condotta di plagio "nella sua effettuazione e nel suo risultato" per l'inadeguatezza delle conoscenze ed esperienze a dimostrare il conseguimento, con soli mezzi psichici, di una piena dipendenza di un essere umano da un altro, dell'annientamento totale della personalità.

Diversamente, il concetto di condizione analoga alla schiavitù è stato elaborato facendo riferimento non a stati psichici, bensì a situazioni materiali con le quali non può essere confusa la figura del plagio sulla quale si è pronunciata la Corte costituzionale.

Ed in effetti, nel caso in esame, non può neppure affermarsi che fosse intervenuta, in ultimo, una reale "manipolazione" della psiche dalla parte offesa Cretu, la quale - pur nella rassegnazione vissuta e nella consapevole impossibilità di sottrarsi al destino segnatole senza l'intervento di fattori estranei - aveva in realtà manifestato un carattere forte, che difatti l'Hodoroaba aveva cercato di piegare con la propria violenza.

[...]. Non si ritiene di poter addivenire invece ad una pronuncia risarcitoria in favore della parte civile cooperativa "Nuovo Villaggio s.c.a.r.l.". Invero, il riconoscimento della legittimazione di un ente o di una associazione alla costituzione di parte civile per il risarcimento dei danni cagionati dal reato, in relazione alla sfera di interessi ed obiettivi perseguiti dall'ente, non esime il giudice dal verificare in concreto se danni effettivi - patrimoniali o meno - siano stati causati dalla condotta penalmente sanzionata.

Nel caso in esame, la parte civile non ha documentato e neppure indicato nelle sue conclusioni l'esistenza di danni materiali risarcibili, quali sarebbero potuti derivare dall'attività di assistenza portata alle vittime dei reati contestati in questo processo.

Per altro aspetto, non sembra ravvisabile nel caso di specie un danno non patrimoniale subito dalla cooperativa che possa rappresentare conseguenza diretta ed immediata delle condotte poste in essere dagli imputati.

Infatti, il danno non patrimoniale che un ente od una associazione giuridica possono lamentare in giudizio non coincide con il danno che la persona fisica normalmente subisce nella sfera affettiva, ma deve essere rappresentato da una lesione del diritto di personalità del sodalizio, con riferimento allo scopo ed ai suoi componenti. Può trattarsi, ad esempio, di una offesa portata al proprio buon nome o in particolari difficoltà od ostacoli al perseguimento delle proprie finalità derivati dalla condotta perseguita penalmente. Nessun risarcimento può competere, invece, sotto il profilo non patrimoniale quando ricorra un mero collegamento ideologico con il bene che l'ente intende proteggere

Così delimitata l'area del danno non patrimoniale risarcibile, e ritenuto che il caso rispecchi la situazione da ultimo descritta, la Corte non ritiene che sussistano gli estremi per riconoscere un risarcimento di danni in favore della parte civile cooperativa "Nuovo Villaggio". Spetta invece anche a questa parte civile, la cui costituzione è stata ritenuta in ogni caso regolare ed ammissibile, la rifusione delle spese di costituzione e patrocino, che si liquidano come da dispositivo.

Per questi motivi

Visti gli artt. 533, 535 c.p.p. dichiara gli imputati colpevoli dei reati ad essi rispettivamente ascritti, previa concessione alla sola Mocanu Michela delle attenuanti generiche che dichiara equivalenti alle contestate aggravanti, e li condanna:

Hodoroaba Radu, previa unificazione dei reati a lui ascritti nel vincolo della continuazione e ritenendosi più grave il reato di cui al capo D) del decreto che dispone il giudizio, alla pena di anni 10 (dieci) di reclusione e L.60.000.000 (sessantamilioni) di multa,;

Mocanu Michela, previa unificazione dei reati a lei ascritti nel vincolo della continuazione e ritenendosi più grave il concorso in riduzione in schiavitù a lei contestato al capo C), alla pena di anni 4 (quattro) e mesi 4 (quattro) di reclusione.

Condanna gli imputati in solido al pagamento della spese processuali e pro quota al pagamento della spese di custodia cautelare.

Visti gli artt.28, 609 nonies c.p. e 6 l.20.2.58 n.75, applica all'Hodoroaba la pena accessoria dell'interdizione perpetua dai pubblici uffici e dagli uffici attinenti alla tutela ed alla curatela, ed alla Mocanu la pena accessoria dell'interdizione per anni 5 dai pubblici uffici e dell'interdizione perpetua dagli uffici attinenti alla tutela e curatela.

Visto l'art. 240 e 537 c.p.p. 88 disp. att. c.p.p. dichiara la falsità dei passaporti in sequestro e ne ordina la cancellazione totale, dichiara la falsità della banconota da L.100.000 in sequestro e ne ordina l'inoltro alla filiale di Padova della Banca d'Italia, ordina la confisca cella somma di L.1.050.000 e del blocco notes in sequestro.

Visti gli artt.538 e seg. c.p.p. condanna gli imputati in solido al risarcimento dei danni in favore delle parti civili Cretu Micaela, Donceva Olga e Mitroshenco Natalia che liquida complessivamente in forma equitativa in L. 40.000 000 (quarantamilioni) per la prima, L.25.000.000 (venticinquemilioni) per la seconda e L.20.000.000 ( ventimilioni) per la terza, nonché alla rifusione delle spese di costituzione e patrocinio in favore delle stesse [...].

Rigetta la richiesta di risarcimento del danno morale della parte civile Cooperativa Nuovo Villaggio e condanna gli imputati alla rifusione delle spese di costituzione e patrocinio [...].