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Associazione per gli Studi Giuridici sull'Immigrazione
 
 
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Tribunale di Genova, decreto dell'8 novembre 2001

 
est. Di Gregorio
 

Sciogliendo la riserva che precede, osserva:

la ricorrente [...], di cittadinanza tedesca è stata oggetto di espulsione amministrativa decretata dal prefetto della provincia di Genova, con accompagnamento immediato alla frontiera e divieto di rientro in Italia, in data 25.7.2001, con richiamo degli artt. 6, 8 e 9 del d.p.r. 30.12.1965 n. 1656 e dell'art. 13 d.lgs. 25.7.1998 n. 286; la stessa ha impugnato tale provvedimento davanti a questo tribunale in composizione monocratica secondo il rito previsto dall'art. 13 medesimo, mentre la prefettura ha eccepito la mancanza di giurisdizione del giudice ordinario.

Il provvedimento qui impugnato, non sorretto interamente dalla previsione del d.p.r. 1956/65 (che non prevede la possibilità dell'accompagnamento alla frontiera, né il divieto di rientro in Italia, né la competenza del prefetto) né da quella dell'art. 13 del d.lgs. 286/1998 (che non riguarda i cittadini comunitari) è stato giustificato dall'autorità amministrativa come "provvedimento indispensabile per la tutela dell'ordine pubblico e della pubblica sicurezza" ai sensi dell'art. 2 del T.u.l.p.s., che non sarebbe dunque sindacabile dall'autorità giudiziaria ordinaria.

La prospettiva dalla quale muove la prefettura appare non condivisibile, in quanto sovrappone problemi processuali di giurisdizione e problemi di limite sostanziale del diritto dello Stato ad allontanare dal proprio territorio cittadini comunitari per motivi di ordine pubblico. Infatti la sussistenza del potere di ciascuno Stato nazionale di applicare ai cittadini stranieri, anche comunitari, le regole proprie che ne disciplinano la presenza sul territorio nazionale non giustifica la convinzione che questo potere possa essere disciplinato al di fuori di un controllo giurisdizionale anche per la dimensione temporale dell'urgenza.

L'art. 18 del testo consolidato del Trattato dell'Unione (ex art. 8 a) attribuisce infatti ad ogni cittadino dell'Unione stessa (come puntualmente ricorda la difesa di parte) il diritto di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, fatte salve le limitazioni e le condizioni "previste nel presente Trattato e dalle disposizioni adottate in applicazione dello stesso". Ed è principio oramai troppo noto per aver necessità di specifica illustrazione quello secondo il quale i singoli cittadini dell'Unione hanno diritto di invocare davanti ai giudici nazionali le disposizioni comunitarie per far valere le situazioni giuridiche da esse tutelate, con obbligo del giudice di disapplicare le norme interne incompatibili anche quando l'ordinamento nazionale ometta di prevedere uno strumento processuale per tale tutela (sul punto si richiamano qui, tra le varie, le notissime sentenze della Corte di giustizia CEE 8.6.1984 n. 170, Granital, 9.3.1978, causa 1069/1977, Simmenthal, 5.3.1996, cause riunite C-46/93 e C- 48/93, Factortame).

Pertanto, deve in ogni caso essere affrontata la questione (segnalata da questo giudice alle parti come rilevabile d'ufficio) dalla estensione di un ricorso davanti all'autorità giudiziaria ordinaria per la tutela giurisdizionale urgente di un cittadino comunitario che si assuma leso nel suo diritto di libera circolazione nel nostro Stato. e questo anche se, per ipotesi, il nostro ordinamento nazionale attribuisse ai propri organi amministrativi (ma su questo si tornerà esaminando il merito) un potere amministrativo di allontanamento dallo Stato del cittadino comunitario, senza la contemporanea previsione della garanzia di un immediato sindacato giurisdizionale sull'esercizio di tale potere. Sarebbe, infatti, il giudice nazionale (in funzione di giudice europeo) a dover impedire comunque allo Stato nazionale una simile concreta violazione del principio del giusto processo, offrendo comunque una sede processuale idonea alla verifica del rispetto dei diritti dell'interessato.

Proprio in punto giurisdizione, dunque, il ragionamento della amministrazione, ancorato al solo diritto nazionale, giunge a negare la giurisdizione ordinaria in base alla mancata previsione di un adeguato strumento processuale, ed appare pertanto errato nelle sue stesse premesse di fondo. Il ricorso al Tar, del resto, è previsto nel nostro ordinamento per la verifica del provvedimento di allontanamento dello straniero cittadino comunitario previsto dal d.p.r. 1956/65; e laddove l'art. 2 del T.u.l.p.s. sia utilizzato - come nel caso di specie accade - per comprimere libertà individuali di natura comunitaria, il giudice nazionale non può esprimersi dall'offrire comunque uno strumento di tutela dei diritti comunitari. Il nucleo vero del provvedimento qui impugnato come la stessa prefettura ha indicato, consiste infatti nell'accompagnamento immediato, indicato come unica misura idonea (secondo l'organo amministrativo) a fronteggiare la necessità ed urgenza che si era creata.

Questo tribunale deve dunque offrire tutela alla cittadina tedesca non come giudice nazionale ma come giudice operante all'interno dell'ordinamento italiano per l'attuazione del diritto di libera circolazione e soggiorno affermati già dal Trattato dell'Unione, diritto che nessuna autorità nazionale può pregiudicare sottraendosi ad immediato controllo giurisdizionale, come qui la prefettura di Genova vorrebbe.

Nella specie, comunque, il riferimento all'art. 13 del d.lgs. 286/98 contenuto nel provvedimento impugnato, ha dato luogo ad un contraddittorio instaurato secondo tale disposizione (pur non applicabile ai cittadini comunitari); il rito è adeguato alla tutela del diritto in discussione, per cui secondo il medesimo rito si può ora passare all'esame del merito.

Venendo ora al merito, si deve ulteriormente ricordare che "l'art. 9, n. 1, della direttiva Cee n. 641221 deve essere interpretato nel senso che, salvo situazioni di urgenza, l'autorità amministrativa nazionale non può emettere un provvedimento di allontanamento di un cittadino di uno Stato comunitario, per motivi di ordine pubblico, pubblica sicurezza e sanità pubblica, senza che sia stato precedentemente acquisito il parere prescritto dalla direttiva stessa" (Corte di giustizia Cee; sentenza 30.11.1995, causa C-175/94). Si tratta, com'è noto, della commissione istituita presso il ministero dell'interno nominata con decreto del ministro stesso e costituita da un prefetto, un questore e da altri tre membri designati rispettivamente dai ministri degli affari esteri, del lavoro e della sanità, la cui competenza nella specie nessuno ha consultato. Anche su questo punto, dunque, la verifica della sussistenza di un'urgenza tale da giustificare tale omissione deve necessariamente essere compiuta, per verificare che le nostre autorità non siano venute meno ad obblighi internazionali.

Sul punto, questo giudice non ritiene necessario affrontare il problema se un simile potere possa essere esercitato soltanto dal Ministro ovvero anche dal prefetto, ove sussista un'effettiva urgenza verificata con i criteri restrittivi più volte indicati dalla giurisprudenza comunitaria. È sufficiente, infatti, osservare che il provvedimento impugnato non contiene una esplicita motivazione di tale urgenza, diversa dalla constatazione che la cittadina comunitaria era stata sottoposta ad arresto per i reati di devastazione e saccheggio, associazione per delinquere, resistenza e detenzione abusiva di armi.

Sul piano del coinvolgimento della Jaeger, il prefetto legittimamente ha preso atto della sussistenza di indizi di responsabilità personale, come ritenuto dall'autorità di P.S. che aveva operato l'arresto; ma ciò che questo giudice non ritiene condivisibile è che potesse essere ritenuta sussistente, nei confronti di una persona sottoposta ad arresto, una situazione di urgenza coincidente appunto con l'avvenuto arresto, che giustificasse l'allontanamento dallo Stato adottato con procedura di urgenza. È vero che l'autorità di P.S. avrebbe potuto dare, nella situazione esaminata, una valutazione del caso del tutto parallela ed autonoma (anche in punto pericolosità ed urgenza) rispetto all'A.G.O. ma il fatto è che ciò non è avvenuto perché la sola motivazione è stata relativa all'arresto ed alla pendenza del procedimento; ed allora davvero non è chiaro come la pendenza di un procedimento penale nei confronti di una persona privata della libertà ne rendesse urgente l'allontanamento dallo Stato, quando già le esigenze di sicurezza erano affidate alla sola autorità competente in materia di processi penali.

Venendo a considerare la domanda di condanna alle spese avanzata da parte del ricorrente, la stessa appare fondata e va accolta; va accolta, infatti, in quanto il principio generale di cui all'art. 91 c.p.c. può essere derogato soltanto ove la legge espressamente preveda la deroga stessa. E non v'è dubbio che il presente provvedimento sia conclusivo di un procedimento contenzioso.

Non ravvisandosi motivi per derogare al principio della soccombenza, la prefettura va condannata al pagamento delle spese, che vengono liquidate come in dispositivo, in ragione delle difficoltà di lite, della conclusione della stessa in una sola udienza e della rispettività delle questioni trattate nelle singole cause.

P.Q.M.

dichiara illegittimo il provvedimento adottato dal prefetto di Genova in data 25.7.2001 per l'espulsione ed accompagnamento immediato alla frontiera, con successivo divieto di rientro nel nostro Stato, di [...]; condanna la prefettura al pagamento delle spese di lite [...].