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Associazione per gli Studi Giuridici sull'Immigrazione
 
 
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Corte d'Appello di Bari, decreto del 31 dicembre 2001

 
est. Mininni
 

Nella causa civile in grado di appello per autorizzazione permanenza in Italia, [...] su ricorso proposto da R. F. e R. A., [...] avverso il decreto del tribunale per i minorenni di Bari n. 844/2001 che rigettava la richiesta di permanenza in Italia dei ricorrenti. Con l'intervento del Procuratore generale nella persona del dott. [...]. La Corte visto il reclamo depositato in data 11.9.2001 da R. F. nato a Podgorica in Montenegro il 17.4.1968 e dal di lui figlio minorenne R. A., nato a Bari il 14.8.1993, rappresentato dal padre legalmente esercente la patria potestà, avverso il decreto emesso dal tribunale per i minorenni di Bari 1-6.8.2001 comunicato il 3.9.2001, con cui veniva rigettato il ricorso inerente la richiesta di autorizzazione alla permanenza in Italia avanzata da R. F., ai sensi dell'art. 31, co. 3, d.lgs. n. 286/98 (TU immigrazione) per motivi attinenti allo sviluppo psicofisico del figlio A.;

considerato che, con detto reclamo, gli istanti chiedevano all'adita Corte di riformare il provvedimento impugnato e di accogliere la domanda formulata in primo grado, lamentando che la decisione di rigetto adottata dal tribunale era fondata su una motivazione sommaria e poco persuasiva;

che, in particolare, i reclamanti contestavano la omessa considerazione di tutte le ragioni della domanda, il mancato apprezzamento della obiettiva gravità dei motivi attinenti allo sviluppo psicofisico del minore, la violazione e falsa applicazione dell'art. 31 co. 3 d.lgs. n. 286/98; acquisito il parere del P.G.;

ritenuto che le censure sono fondate in quanto le argomentazioni del tribunale partono da una parziale lettura della situazione di fatto dedotta e sono sorrette da una interpretazione restrittiva della normativa vigente;

rilevato, infatti, che il primo giudice ha limitato la propria analisi al rappresentato pericolo di interruzione del percorso scolastico di A. e del connesso processo di socializzazione, senza considerare che, come era stato sottolineato in ricorso, il piccolo A. è nato e vive in Italia da otto anni, dove ha sviluppato tutti i suoi interessi e le relazioni affettive, mentre non si è mai recato in Iugoslavia (terra di origine del padre) né ha in quel paese alcun punto di riferimento o legame neppure giuridico; che tale premessa ha falsato il ragionamento del tribunale, inducendolo a concludere di non poter ravvisare l'ipotesi prevista dall'art. 31 d.lgs. invocato, poiché, per un verso, non erano state richiamate esigenze di salute del minore e, per altro verso, il requisito dei "gravi motivi connessi con lo sviluppo psicofisico del minore" stesso non può essere integrato dal pregiudizio ex se dalla recisione dei rapporti di vita dal medesimo consolidati in Italia, in quanto così facendo si accorderebbe una generalizzata tutela per il solo fatto che un minore debba far rientro in madre patria;

ritenuto che, contrariamente a quanto sostenuto dal tribunale, le ragioni poste a base della domanda dei R. sono obiettivamente serie e perfezionano "i gravi motivi connessi con lo sviluppo psicofisico del minore" costituenti la condizione di applicabilità dell'art. 31 co. 3 TU immigrazione; che, infatti, il piccolo A. è nato in Italia, a Bari il 14.8.1993 e tre mesi dopo la nascita è stato abbandonato dalla madre, per cui è stato allevato nel nostro paese esclusivamente dal padre il quale, pur nella condizione di clandestinità, gli ha prestato cure ed affetto, facendo fronte ai bisogni del figlio nei limiti delle sue possibilità ed avviandolo persino alla frequenza scolastica presso la scuola materna ed, attualmente, presso quella elementare, nonostante il rischio di essere identificato ed attinto da decreto di espulsione;

che il bambino, sentito dal giudice e dall'assistente sociale, senza la presenza del padre né di altri, è apparso felice, sereno ed ottimamente inserito, ma soprattutto contento di poter andare a scuola;

che, in tale situazione, appare evidente il rischio di pregiudizio al sano sviluppo psicofisico del piccolo A., in caso di mancata autorizzazione alla permanenza del padre in Italia, poiché il bambino sarebbe esposto o al trauma di essere sradicato dal contesto italiano in cui è sempre vissuto per inserirsi in uno a lui sconosciuto subendo un sostanziale esilio, oppure a quello altrettanto grave di dover separare la propria vita da quella del padre e rimanere in Italia senza le cure della propria famiglia;

che siffatta conclusione è consentita non solo dal dato testuale della norma contenente una previsione assai ampia, ma anche da quello teleologico e sistematico;

che, infatti, pacificamente, criteri guida per la interpretazione degli istituti e delle norme finalizzate alla protezione dei minori devono essere quelli dettati dalla Costituzione e dalle fonti di diritto internazionale, quali la Convenzione sui diritti dell'infanzia stipulata in New York il 20.11.1989 (ratificata e resa esecutiva in Italia con legge n. 176/91) secondo cui "in tutte le decisioni riguardanti i fanciulli che scaturiscono da istituzioni di assistenza sociale o organi legislativi, l'interesse superiore del fanciullo deve costituire oggetto di primaria considerazione" (art. 3 co. 1);

che, d'altra parte, proprio il Testo unico sull'immigrazione, all'art. 28 co. 3, richiama tale norma ed il superiore interesse del fanciullo come imprescindibile parametro di valutazione per tutti i procedimenti giurisdizionali concernenti i minori e relativi alla materia in oggetto, il tutto nell'ambito di una condivisa adesione ai principi affermati dalla "Dichiarazione ONU dei diritti del fanciullo", adottata dall'assemblea generale il 20.11.1959.

P.Q.M.

accoglie il reclamo e, per l'effetto, in riforma del provvedimento impugnato, visto e applicato l'art. 31 co. 3, d.lgs. n.286/98, autorizza, nell'interesse del figlio minore R. A., la permanenza sul territorio dello Stato italiano di R. F. (padre, unico esercente la patria potestà sul piccolo) fino al raggiungimento del diciottesimo anno di età di A.