ASGI

ASGI

Associazione per gli Studi Giuridici sull'Immigrazione
 
 
Indietro
 
 

Tribunale di Trieste, sentenza del 14 febbario 2002, n. 232

 
est. Dainotti
 

Nel procedimento a carico di [...] e [...], imputati in ordine al reato di cui agli artt. 110 c.p. 10 co. 1 della l. 40/98; per avere accompagnato dalla Romania all'Italia, facendovele entrare pur se prive di visto, le proprie figlie minori. [...].

Motivi della decisione

Tratti a giudizio per rispondere del reato loro ascritto [...] e [...] non si presentavano al dibattimento; nella regolarità della notifica del decreto di citazione a giudizio e in assenza di legittimo impedimento dedotto venivano dichiarati entrambi contumaci. Prima della dichiarazione di apertura del dibattimento il difensore munito di procura speciale richiedeva il giudizio abbreviato, che il giudice ammetteva ai sensi dell'art. 555 co. 2 c.p.p. All'esito della discussione le parti concludevano come in epigrafe.

Dall'annotazione di P.G. dd. 9.11.2000 si evince che il 29.9.2000 gli odierni imputati, forniti di regolare permesso di soggiorno, si presentarono all'ufficio stranieri della questura di Torino al fine di ottenere la regolarizzazione delle proprie figlie minori conviventi [...] e [...]. L'esame dell'istanza evidenziò che le due minorenni erano entrate in Italia sprovviste del visto d'ingresso, sicché [...] e [...] furono invitati a tornare in questura, allo scopo di chiarire le modalità di ingresso delle figlie. In data 9.11.2000 i genitori presentarono in questura domande scritte, in cui affermavano di aver portato con sé in Italia (dove entrambi lavoravano) le due figlie il giorno 13.1.2000, passando attraverso la frontiera di Trieste a bordo di un autobus (v. dichiaraz. scritte dd. 28.10.2000 e fotocopia del biglietto dell'autobus). Entrambe le minorenni erano iscritte nei passaporti dei due imputati.

Nel corso degli interrogatori delegati di P.G. del 28.12.2000 [...] e [...] raccontavano più compiutamente di essere tornati in Romania il 17.12.1999, in quanto non vedevano le loro figlie da circa due anni. Poiché la sorella dell'imputata, che sino ad allora si era occupata delle nipoti, non voleva e non poteva più accudirle, entrambi decidevano di portarle con sé in Italia, partendo da Bucarest l'11.1.2000 e giungendo a Torino il 13.1.2000, dopo aver attraversato l'Ungheria, l'Austria e la Slovenia a bordo di un pullman dell'agenzia "Atlassib" di Bucarest (v. verbali di interr. degli imputati). L'autobus aveva passato regolarmente tutti i controlli di polizia alle varie frontiere, ove gli imputati avevano mostrato i propri passaporti, su cui erano iscritte le figlie minorenni. Solo nell'ottobre 2000 [...] e [...] avevano presentato domanda di ricongiungimento familiare per le figlie, successivamente accolta.

Questo tribunale dubita che la condotta posta in essere dagli odierni imputati integri il compimento di attività dirette a favorire l'ingresso irregolare in Italia delle figlie minorenni, sanzionato dall'art. 12 co. 1 d.lgs. n. 286/1998.

Infatti [¼] e [¼], che vivevano a Torino con un regolare permesso di soggiorno, si sono limitati a ritornare in Romania e a condurre con sé in Italia le due figlie minori, prive del visto d'ingresso, che erano iscritte sui loro passaporti, regolarmente esibiti ai vari controlli di frontiera espletati durante il viaggio. Tale viaggio è avvenuto tramite un normale autobus di linea. Quand'anche si volesse comunque ritenere sussistente l'elemento materiale del delitto contestato agli imputati, l'esame degli atti processuali evidenzia la sussistenza delle cause di giustificazione previste dagli artt. 51 e 54 c.p. Al riguardo va osservato che le versioni difensive degli imputati appaiono pienamente credibili, in quanto risultano precise, logiche, tra loro concordi e non smentite da alcun elemento, anche indiziario, esistente in atti. Un tanto premesso, per quanto concerne il primo profilo questo giudice ritiene che [...] e [...] abbiano agito sia nell'esercizio di un diritto, sia nell'adempimento di un dovere imposto da una norma giuridica. Non può infatti negarsi il diritto, di rango costituzionale ai sensi degli artt. 29 e 30 della Costituzione, di ciascuna persona, a qualunque nazionalità appartenente, di vivere accanto ai propri figli minorenni e di concorrere non soltanto al mantenimento economico degli stessi (funzione che gli imputati adempivano lavorando in Italia), ma anche alla loro istruzione ed educazione, attività importanti e delicate, che presuppongono un contatto continuo tra genitori e figli. Nel caso in esame, la lontananza tra la Romania e l'Italia, il lungo periodo trascorso senza poter vedere le figlie (due anni), la necessità di lavorare a Torino per mantenere la famiglia, rendevano impossibile agli odierni imputati l'esercizio effettivo del diritto fondamentale sopra menzionato, fino a quando le piccole [...] e [...] fossero rimaste lontano da loro. Né può trascurarsi l'età delle bambine all'epoca del fatto (rispettivamente dieci ed undici anni), ancora piccole e sicuramente pregiudicate, sotto l'aspetto di una crescita completa e armoniosa, dalla prolungata assenza del padre e della madre. Sotto tale profilo l'istruzione e l'educazione dei figli appare non solo un diritto, ma anche un dovere primario dei genitori, così come del resto sancito dal medesimo art. 30 della Costituzione: ne consegue, ad avviso del giudicante, la sussistenza di entrambe le cause di non punibilità previste dall'art. 51 c.p.

La situazione degli imputati era inoltre connotata da un'ulteriore particolarità: la sorella di [...], che fino ad allora si era occupata delle due bimbe, aveva avvertito i predetti che non voleva e non poteva più tenerle con sé (v. verbali di interr. degli imputati, concordi sul punto). In assenza di altri parenti stretti che potessero accudire le bambine, ad [...] e a [...] si offrivano solo due, apparenti alternative: tornare subito in Romania, abbandonando il lavoro che in patria non avevano trovato, oppure andare a prendersi le figlie e venire con loro in Italia, ove potevano assicurare una vita ed una educazione dignitosa, essendo forniti di un lavoro e di un regolare permesso di soggiorno. Come sopra anticipato, l'alternativa era in realtà apparente, perché l'unica soluzione concreta, che consentisse agli imputati e alle bambine una vita non fatta di stenti, era quella effettivamente praticata dai predetti, cioè riunirsi subito con le figlie, pur se le stesse erano prive del visto d'ingresso, per chiedere successivamente il regolare ricongiungimento previsto dall'art. 29 del d.lgs. n. 286/1998. Così agendo, [...] e [...] hanno posto in essere l'unica condotta idonea a salvare le proprie figlie minorenni dal pericolo attuale di un danno grave alla vita e all'integrità psico-fisica delle stesse. Il comportamento degli imputati risulta conseguentemente scriminato anche ai sensi dell'art. 54 c.p. ed i predetti vanno assolti dal delitto loro ascritto perché il fatto non costituisce reato.

P.Q.M.

il tribunale di Trieste, visti gli artt. 442, 530 c.p.p. assolve [...] e [...] dal reato loro ascritto perché il fatto non costituisce reato.