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Associazione per gli Studi Giuridici sull'Immigrazione
 
 
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Tribunale di Firenze, sezione distaccata di Pontassieve, ordinanza del 18 novembre 2002

 
est. Nencini
 

Letti gli atti relativi all'arresto di [...] n. in Albania il 31.3.1982 e [...] n. in Albania il 14.9.1982, entrambi compiutamente identificati a mezzo rilievi dattiloscopici di polzia, osserva

In fatto

[...] e [...], come in atti identificati, venivano sorpresi dai militari della Compagnia C.C. di Pontassieve alle ore 21.45 del 27.9.2002 in Pontassieve, nella Via di Molino Del Piano, mentre procedevano a piedi fra le auto in sosta con atteggiamento sospetto - a tal punto che erano stati oggetto di specifica segnalazione da parte di cittadini del posto -, ed i militari per tale ragione si determinavano a procedere alla identificazione personale dei fermati. Entrambi i cittadini stranieri venivano quindi condotti presso l'Ufficio di polizia, ove venivano perquisiti e identificati a mezzo rilievi dattiloscopici, fotografici ed antropometrici. All'esito della identificazione emergeva che lo [...] in data 11.9.2002 era stato sottoposto a provvedimento di espulsione emesso dal prefetto di Pescara sotto il nome di [...] n. a Valona il 31.3.1982, ed il [...] risultava espulso dal territorio dello Stato il 6.8.2001 ed il 20.8.2002 rispettivamente sotto il nome di [...] e di [...]. Entrambi gli imputati avevano evidentemente fatto reingresso clandestinamente nel territorio dello Stato. Valutate tali risultanze delle indagini i militari operanti, alle ore 17 del 28.9.2002, traevano in arresto entrambi gli odierni imputati in flagranza dei reati successivamente formalmente contestati. Il Procuratore della Repubblica di Firenze, cui venivano messi a disposizione gli arrestati nel termine di legge, verificata sommariamente la sussistenza dei presupposti normativi ed in fatto dell'arresto eseguito, con provvedimento scritto depositato in atti, nell'ambito del quale elevava la imputazione, ne richiedeva nel termine di legge la convalida, esclusivamente in relazione ai reati contravvenzionali di cui agli art. 13 co. 13 e 14 co. 5-ter del d.lgs. n. 286/1998 - con esclusione della fattispecie di cui all'art. 495 c.p. inserita ai soli evidenti fini della formale contestazione per ragioni di economia processuale - a questo giudice, competente inoltre per il giudizio direttissimo previsto ex lege.

Contestualmente, preso atto della impossibilità di richiedere misura cautelare coercitiva, il pubblico ministero correttamente disponeva la scarcerazione di entrambi gli imputati ex art. 121 disp. att. c.p.p. L'udienza di convalida veniva iniziata in data 30.9.2002 avanti a questo giudice, e, verificata la assenza di entrambi gli imputati e la mancanza di qualsivoglia comunicazione della data della udienza agli stessi, l'udienza veniva differita alla data odierna, disponendo la notifica nelle forme di legge della ordinanza dibattimentale agli imputati, i quali avevano eletto domicilio all'atto della rimessione in libertà. Alla odierna udienza, verificata la ritualità della notifica agli imputati oggi assenti, deve procedersi al giudizio di convalida dell'arresto eseguito dalla P.G., a norma dell'art. 121 disp. att. c.p.p.

E' da osservare che nelle more del giudizio, il pubblico ministero contestualmente alla convalida dell'arresto, sollecitava anche, con nota scritta, il giudicante a sollevare eccezione di costituzionalità delle norme processuali attivate dalla polizia giudiziaria con l'arresto.

Valutata la questione di conformità costituzionale del dettato normativo processuale posto a fondamento dei provvedimenti restrittivi della libertà personale adottati in danno degli imputati, preliminarmente alla decisione sulla convalida dell'arresto di entrambi gli imputati questo giudice ritiene rilevante e non manifestamente infondato il dubbio di conformità al dettato costituzionale della previsione normativa di cui agli art. 14 co. 5 - quinquies del d.lgs. n. 286/1998, nel testo risultante dalla modifica introdotta dalla l. 30.7.2002 n. 189, nella parte in cui prevede l'obbligatorietà dell'arresto per il reato previsto dall'art. 14 co. 5 - ter stessa legge, e della previsione normativa dell'art. 13 co. 13 - ter del d.lgs. n. 286/1998, nel testo risultante dalla modifica introdotta dalla l. 30.7.2002 n. 189, nella parte in cui prevede la facoltatività dell'arresto per il reato previsto dall'art. 13 co. 13 dello stesso decreto, per i seguenti motivi.

In diritto

Osserva il giudicante come la questione di conformità al dettato costituzionale di entrambe le disposizioni processuali precedentemente richiamate deve essere valutata da questo giudice sia sotto il profilo della effettiva rilevanza in relazione alla fase procedimentale oggetto di giudizio, sia sotto il profilo della non manifesta infondatezza.

In punto di rilevanza.

Il pubblico ministero ha provveduto alla scarcerazione degli imputati in stato di arresto in base all'art. 121 delle disposizioni transitorie al codice di rito, norma applicabile esclusivamente nel caso in cui sia stata esclusa la previsione dell'art. 389 c.p.p. e quindi la palese illegittimità dell'arresto. Le previsioni di cui all'art. 389 c.p.p. hanno carattere di tassatività, ed afferiscono palesemente a situazioni personali e normative estranee alla fattispecie oggetto del giudizio. Nel caso in esame infatti nessun dubbio può sussistere sulla corrispondenza tra gli autori del reato e le persone fisiche tratte in arresto, né può sussistere dubbio sulla circostanza che l'arresto è stato eseguito nei casi espressamente previsti dalle norme processuali, introdotte nell'ordinamento con la legge 30.7.2002 n. 189; infine nessuna violazione delle disposizioni di cui agli art. 386 co. 7 e 390 co. 3 c.p.p è stata perpetrata dalla polizia giudiziaria operante l'arresto, la quale ha tempestivamente messo a disposizione entrambi gli arrestati del pubblico ministero, e quest'ultimo ha richiesto la convalida dell'arresto al giudice competente nei termini previsti dalla legge. Correttamente pertanto il pubblico ministero ha ritenuto di applicare la disposizione di cui all'art. 121 disp. att. c.p.p. Tale norma processuale prevede che, indipendentemente dalla effettiva rimessione in libertà degli arrestati, debba comunque tenersi il giudizio di convalida, quale giudizio ex post in ordine al corretto esercizio dei poteri affidati dalla legge alla polizia giudiziaria, ed essendo stata eseguita in danno degli imputati la privazione della libertà personale ad opera della polizia giudiziaria nel rispetto della previsione eccezionale, derogatrice della riserva di giurisdizione, di cui al comma terzo dell'art. 13 della Costituzione.

Questo giudice condivide la considerazioni del pubblico ministero svolte nella richiesta di convalida dell'arresto in atti, essendo indubbio che entrambe le norme processuali impongono, ovvero comunque autorizzano l'arresto; che il provvedimento di privazione della libertà personale è stato adottato in presenza di una situazione di flagranza in relazione a reati che prima facie possono essere considerati permanenti, e che l'uso del potere di privazione della libertà personale è stato ampiamente motivato nel verbale di arresto da parte della P.G. procedente, in tal senso adempiendo al requisito di legittimità posto dal quarto comma dell'art. 381 c.p.p. relativamente al reato di cui all'art. 13, co. 13 del d.lgs. n. 286/1998, in relazione al quale l'arresto è previsto come facoltativo. Con riferimento a quest'ultimo requisito è da osservare come il potere discrezionale esercitato dalla polizia giudiziaria non soltanto risulta nel verbale di arresto adeguatamente motivato, ma anche con argomentazioni del tutto condivisibili da parte del giudicante, essendo stati gli imputati già numerose volte identificati con nominativi diversi nel territorio nazionale, ove si trattenevano in condizione di clandestinità. Nella attuale fase procedimentale quindi, caratterizzata da una cognizione sommaria del fatto finalizzata dalla legge al mero controllo di legittimità dei poteri coercitivi utilizzati dalla polizia giudiziaria, in presenza delle condizioni legittimanti l'arresto così come precedentemente evidenziate, questo giudice dovrebbe convalidare il provvedimento adottato dalla polizia giudiziaria.

Da tali considerazioni a parere del giudicante emerge la rilevanza della eccezione di costituzionalità delle norme processuali sollevata ex officio nel procedimento in corso, e segnatamente ai fini della decisione da adottare sulla convalida o meno dell'arresto eseguito.

In punto di non manifesta infondatezza.

Il tema della privazione della libertà personale è regolato nel nostro ordinamento dall'art. 13 della Costituzione il quale, al primo comma, statuisce una riserva di giurisdizione. Nondimeno, avuto riguardo alle concrete esigenze di necessità ed urgenza, tale riserva di giurisdizione subisce deroga in favore di provvedimenti adottati dalla Autorità di polizia, deroga introdotta e disciplinata dal comma secondo del medesimo articolo. Il provvedimento dell'arresto è peraltro soltanto uno dei provvedimenti adottabili dalla Autorità di polizia e finalisticamente assunto a realizzare la limitazione alla libertà personale, poiché molti possono essere quei provvedimenti, ancorché di diversa natura e finalità, in concreto idonei a realizzare privazione o limitazione del diritto costituzionalmente protetto (vedasi in tal senso l'esauriente dibattito in sede prima sottocommissione della Assemblea costituente tenutosi nella seduta antimeridiana del 12.9.1946 - in "La Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori della Assemblea Costituente", Camera dei deputati - Segretariato generale, vol. VI pag. 343 e segg. ). La stessa legge n. 286/1998, nel testo novellato dal d.p.r. n. 189/2002, allorquando prevede la possibilità di accompagnamento coatto dello straniero alla frontiera su provvedimento emesso da Autorità amministrativa, disciplina in concreto un provvedimento idoneo a limitare la libertà personale dello straniero per finalità di ordine pubblico interno. L'istituto dell'arresto - così come il fermo di polizia giudiziaria - ha però, a differenza di altri provvedimenti amministrativi potenzialmente lesivi della libertà personale del cittadino, caratteristiche proprie e peculiari, trattandosi da un lato di istituto interamente ed analiticamente disciplinato nel suo divenire e negli effetti dalla legge processuale, e dall'altro di istituto finalizzato proprio a realizzare la completa privazione della libertà personale del cittadino in forma anticipata e prodromica alla applicazione nei suoi confronti di una misura coercitiva. Su tale ultima caratteristica del provvedimento dell'arresto non è mai sussistito il benché minimo dubbio, né nella giurisprudenza di legittimità, né nella totalità della dottrina. Secondo una definizione unanime della dottrina processualistica infatti l'arresto, in senso lato, costituisce un mezzo di coazione preordinato a preparare le condizioni e i presupposti per l'attuazione della carcerazione preventiva (oggi custodia cautelare), della pena e della misura di sicurezza. Ma a ben vedere anche la normativa processuale regolatrice dell'istituto evidenzia senza ombra di dubbio la stretta interconnessione dei due istituti: l'arresto e la custodia cautelare. Ed infatti la disciplina processuale dei casi di arresto la si rinviene negli artt. 380 e 381 del codice di rito. Entrambe le disposizioni, relativa l'una all'arresto obbligatorio e la seconda all'arresto facoltativo, sono state redatte con la medesima tecnica legislativa: il primo comma prevede una disposizione di carattere generale, che fissa i limiti minimi di pena edittale in relazione ai quali il provvedimento restrittivo è imposto ovvero autorizzato. Il secondo comma di entrambe le norme esemplifica una serie di reati, individuati con numero di articolo e nomen iuris, i quali fuoriescono per difetto dai limiti di pena edittale indicati nel comma primo, ed in relazione ai quali, per ragioni di politica criminale riservate alla discrezionalità del legislatore, il provvedimento restrittivo è comunque imposto o consentito. La richiamata elencazione ha peraltro carattere di tassatività e non è suscettibile di estensibilità analogica, essendo ricompresa nella deroga alla riserva di giurisdizione in tema di privazione della libertà personale fissata dall'art. 13 della Carta costituzionale (in tal senso vedasi Corte cost. 7.6.1996 n. 188 ).

E' subito da osservare che, per quanto attiene ai reati di cui al secondo comma dell'art. 381 del codice di rito, la pena massima edittale prevista per ciascuno di essi esclude, in base alla disposizione generale di cui all'art. 280, co. 1 c.p.p., la applicazione di misure coercitive; tanto che la medesima disposizione prevede una espressa riserva in relazione al disposto dell'art. 391 del codice di rito, ove si disciplina espressamente, nella seconda parte del quinto comma, che "quando l'arresto è stato eseguito per uno dei delitti indicati nell'art. 381, co. 2, ovvero per uno dei delitti per i quali è consentito anche fuori dai casi di flagranza, l'applicazione della misura è disposta anche al di fuori dei limiti di pena previsti dagli artt. 274, co. 1 lett. c), e 280." Tale ultima norma, eccezionale rispetto ai principi generali in tema di applicabilità di misure coercitive, se da un lato rende armonico il sistema disegnato dal legislatore in tema di arresto in flagranza, rendendo effettiva la scelta discrezionale di politica criminale del legislatore medesimo, dall'altro evidenzia normativamente quanto abbiamo affermato in precedenza, ovverosia la stretta dipendenza funzionale che esiste tra l'istituto dell'arresto e quello della applicazione di misure privative o limitative della libertà personale da parte della Autorità giudiziaria, nel senso che l'istituto dell'arresto si pone quale anticipazione, motivata da ragioni contingenti di necessità ed urgenza, della misura coercitiva, la cui eventuale applicazione è demandata al provvedimento motivato dell'Autorità giudiziaria.

Ma al carattere di eccezionalità della previsione di cui all'art. 391, co. 5 seconda parte c.p.p. consegue inoltre che le disposizioni processuali di cui agli art. 13, co. 13 - ter e 14, co. 5 - quinquies del d.lgs. n. 286/1998 fuoriescono dalla medesima previsione normativa, non potendo le norme incriminatrici speciali di riferimento essere ricomprese né nei reati di cui al comma secondo dell'art. 381 c.p.p., né tantomeno nei delitti per i quali è consentito l'arresto anche fuori dai casi di flagranza. La esclusione deriva dalla semplice lettura della disposizione, e comunque sarebbe sufficiente il rilievo che le deroghe previste dalla norma afferiscono tutte espressamente a delitti, mentre la previsione della normativa processuale introdotta dalla legge 30.7.2002 n. 189 sopra richiamata fa riferimento a reati contravvenzionali.

La sommaria ricostruzione dell'istituto effettuata consente di poter affermare che l'arresto obbligatorio previsto dall'art. 14, co. 5 - quinquies del d.lgs. n. 286/1998 e quello facoltativo di cui all'art. 13 co. 13 - ter dello stesso decreto si qualificano come provvedimenti restrittivi della libertà personale tipici e disciplinati dalla normativa generale codicistica in tema di arresto, ma non finalizzati alla applicazione anticipata di misura coercitiva, poiché quest'ultima, in base alla normativa generale di riferimento, non è applicabile per difetto dei presupposti di legge. Trattasi pertanto di restrizione della libertà personale priva di finalità né di cautela processuale, né di prevenzione speciale, ma, a ben considerare priva di alcuna finalità. Ed infatti, ancorché si volesse sostenere che l'arresto, destinato inevitabilmente alla perenzione nel termine massimo di quarantotto ore, è comunque finalizzato a consentire l'immediata espulsione del cittadino straniero il quale rimarrebbe comunque nella disponibilità fisica delle Forze di polizia, tale affermazione urterebbe con il chiaro dettato della legge n. 286/1998. Infatti, nel caso di consumazione del reato di cui all'art. 13, co. 13, ovvero del reato di cui all'art. 14, co. 5 - ter, le stesse disposizioni prevedono l'accompagnamento immediato alla frontiera. Inoltre, il successivo comma 5 - quinquies, oltre all'arresto obbligatorio, prevede espressamente che "al fine di assicurare l'esecuzione della espulsione il questore può disporre i provvedimenti di cui al comma primo del presente articolo".

Dall'esame attento delle disposizioni in esame emerge quindi che il legislatore ha affidato ad altri istituti rispetto all'arresto la effettività della espulsione dello straniero. E non potrebbe essere altrimenti, poiché l'arresto, nel caso di specie, non può essere utilizzato neppure ai fini sopra richiamati, ancorché certamente estranei alle finalità dell'istituto.  Infatti, stante la inapplicabilità di misure coercitive in relazione ai reati contestabili al trasgressore, il pubblico ministero, il quale deve essere notiziato dalla polizia giudiziaria immediatamente a norma del primo comma dell'art. 386 c.p.p., altrettanto immediatamente deve ordinare la liberazione dell'arrestato a norma dell'art. 121 disp. att. c.p.p., anche con provvedimento reso verbalmente, con il risultato concreto che la persona arrestata si troverebbe nella disponibilità della Autorità di pubblica sicurezza per un lasso di tempo eccessivamente breve per poter consentire alla predetta di apprestare la espulsione coatta.

Devesi pertanto concludere che l'arresto, nella forma obbligatoria o facoltativa, previsto dalle norme processuali introdotte dalla legge 30.7.2002 n. 189 è provvedimento restrittivo della libertà personale privo di giustificazione e di finalità, sia processuali che extraprocessuali, qualificandosi quindi espressamente come previsione normativa meramente vessatoria e costituente di fatto una inammissibile anticipazione di applicazione di una pena detentiva, in relazione ad una ipotesi di reato contravvenzionale tutta da accertare, e comunque ad opera della Autorità amministrativa, in aperta violazione del dettato degli articoli 13, co. 1 e 27, co. 2 Cost.

Ritiene il giudicante che entrambe le disposizioni denunciate violino anche i principi costituzionali di ragionevolezza di cui all'art. 3 della Carta costituzionale, e di buon andamento della pubblica amministrazione di cui all'art. 97 della Carta costituzionale, così come enucleati in numerose pronunce della Corte costituzionale e segnatamente nella sentenza n. 531/2000 e 4/1994. Non può sussistere dubbio infatti che la adozione di una misura restrittiva della libertà personale senza giustificazione e finalità costituisce ad un tempo inaccettabile strumento di coercizione personale per qualunque cittadino, ed al contempo inutile dispendio di energie e mezzi da parte della pubblica amministrazione a fronte di una inesistente finalità né processuale né extraprocessuale, con grave pregiudizio del principio costituzionale di buona amministrazione della cosa pubblica.

P.Q.M.

Visti gli art. 1 della legge costituzionale 9.2.1948 n. 1 e 23 della l. 11.3.1953 n. 87 dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale degli articoli 14, co. 5 - quinquies e 13, co. 13 - ter del d.lgs. n. 286/1998, nel testo risultante dalla novella legislativa introdotta con il d.p.r. 30.7.2002 n. 189 nella parte in cui prevedono rispettivamente l'arresto obbligatorio nella flagranza del reato di cui all'art. 14, co. 5 - ter stesso decreto e l'arresto facoltativo nella flagranza del reato di cui all'art. 13, co. 13 stesso decreto, per manifesta violazione degli articoli 3, 13, co. 1, 27, co. 2 e 97 della Costituzione. [...].