ASGI

ASGI

Associazione per gli Studi Giuridici sull'Immigrazione
 
 
Indietro
 
 

Tribunale di Modena, ordinanza del 31 ottobre 2002

 
est. Ponterio
 

Il giudice, esaminati gli atti del procedimento nei confronti di [...], nata a Sarajevo (Bosnia) il [...], arrestata dalla squadra volante della questura di Modena il 30.10.2002 alle ore 5.30, per il reato di cui all'art. 14, co. 5 - ter d.lgs. 286/98, modificato dalla l. 189/02; esaminata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 14, co. 5 - quinquies d.lgs. 286/98 modificato dalla legge 189/02, sollevata dal pubblico ministero in relazione all'art. 3 della Cost.,

Osserva:

Il regime introdotto dal d.lgs. 286/98 modificato dalla l. 189/02 prevede l'espulsione dello straniero che sia entrato nel territorio dello Stato sottraendosi ai controlli di frontiera (art. 13, co. 2 lett. a). L'espulsione è disposta dal prefetto (art. 13 co. 2) ed è sempre eseguita dal questore con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica (art. 13 co. 4). Fanno eccezione i casi di cui al comma 5 concernenti lo straniero il cui permesso di soggiorno sia scaduto di validità da più di sessanta giorni senza che ne sia stato chiesto il rinnovo. La regola fissata dal comma 4 dell'art. 13 può essere derogata "quando non è possibile eseguire con immediatezza l'espulsione mediante accompagnamento alla frontiera [...] perché occorre procedere al soccorso dello straniero, ad accertamenti supplementari in ordine alla sua identità o nazionalità, ovvero all'acquisizione di documenti per il viaggio, ovvero per l'indisponibilità del vettore o altro mezzo di trasporto idoneo" (art. 14 co. 1). In tal caso, il questore dispone che lo straniero sia trattenuto per il tempo strettamente necessario presso il centro di permanenza temporanea e assistenza più vicino..." (art. 14 co. 1). E' contemplato un rimedio estremo per l'eventualità che non sia possibile eseguire l'espulsione immediata con accompagnamento alla frontiera e non si riesca neanche a trattenere, o a trattenere ulteriormente, lo straniero presso un centro di permanenza temporanea. Qualora questa duplice impossibilità si verifichi, il questore ordina allo straniero di lasciare il territorio dello Stato entro il termine di cinque giorni (art. 14, co. 5 - bis). L'apparato sanzionatorio predisposto dal testo normativo tiene conto delle differenti modalità esecutive dell'espulsione. La disobbedienza, quando si realizzi la prima volta, integra un illecito contravvenzionale. Le condotte incriminate sono il rientro nel territorio dello Stato dopo l'accompagnamento alla frontiera e senza la speciale autorizzazione del ministro dell'interno (art. 13, co. 13) oppure il trattenimento in Italia senza giustificato motivo in violazione dell'ordine impartito dal questore ai sensi dell'art. 14, co. 5 - bis (art. 14, co. 5 - ter). Per entrambe le contravvenzioni è comminata la pena dell'arresto da sei mesi ad un anno ed è prevista una nuova espulsione con accompagnamento immediato alla frontiera. La reiterazione della condotta disobbediente da parte dello straniero realizza una fattispecie più grave, qualificata come delitto. Lo straniero, già denunciato per il reato di cui all'art. 13, co. 13 ed espulso, che abbia fatto reingresso sul territorio nazionale è punito con la reclusione da uno a quattro anni (art. 13, co.13 - bis).

Analogamente, lo straniero espulso ai sensi dell'art. 14, co. - 5 ter, che viene trovato nel territorio dello Stato è punito con la reclusione da uno a quattro anni.

Quanto agli aspetti processuali, gli artt. 13 e 14 prevedono, per i reati in ciascuna disposizione contemplati, rispettivamente l'arresto facoltativo in flagranza e l'arresto obbligatorio (per il delitto di cui all'art. 13, co. - 13 bis è inoltre consentito il fermo).

In entrambi i casi è imposta l'adozione del rito direttissimo. Che la disciplina processuale appena descritta sia in contrasto con l'art. 3 della Costituzione è di tutta evidenza. I reati contravvenzionali descritti dagli artt. 13 e 14 rivestono quanto meno pari gravità. Essi sono sanzionati con la medesima pena edittale. Identica è la previsione delle conseguenze sul piano amministrativo, cioè una nuova espulsione con accompagnamento immediato alla frontiera. In entrambi i casi, la reiterazione della condotta illecita dopo la denuncia per l'ipotesi contravvenzionale comporta l'integrazione di un delitto.

Ma vi è di più. La fattispecie descritta dall'art. 14, co. 5 - ter appare ontologicamente meno grave rispetto a quella inserita nell'art. 13, co. 13. Lo straniero che rientra nel territorio dello Stato dopo l'accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica pone in essere una condotta attiva. Più esattamente, trasgredisce ad un ordine non solo legalmente impartito dalla pubblica autorità italiana ma addirittura eseguito in modo coattivo, con impiego da parte dello Stato di risorse umane ed economiche.

Una simile condotta è certamente poco compatibile con un atteggiamento colposo.

La contravvenzione di cui al comma 5 - ter dell'art. 14 si realizza, invece, con una condotta meramente omissiva. La trasgressione posta in essere dallo straniero non ha alle spalle un accompagnamento coatto alla frontiera ma un ordine scritto del questore di lasciare il territorio dello Stato nel breve termine di cinque giorni. La disobbedienza è sicuramente compatibile in questo caso con un atteggiamento colposo, negligente.

La mancata esecuzione dell'ordine non vanifica uno sforzo compiuto dallo Stato per attuare in maniera forzata i propri provvedimenti. Che la condotta omissiva, vale a dire la mancata esecuzione spontanea di un ordine, sia in generale valutata dal legislatore con minor rigore si ricava, ad esempio, dalla previsione dell'art. 13, co. 5. Per lo straniero che si sia trattenuto nel territorio dello Stato nonostante che il permesso di soggiorno fosse scaduto di validità e senza aver chiesto il rinnovo, l'espulsione è eseguita, in deroga all'art. 13, co. 4, mediante intimazione a lasciare il territorio dello Stato entro il termine di quindi giorni. Lo straniero che non esegua spontaneamente l'intimazione in oggetto non è penalmente perseguibile. Nel d.lgs. 286/98, prima delle modifiche introdotte dalla legge 189/02, era incriminata solo la condotta dello straniero espulso che fosse rientrato in Italia senza la speciale autorizzazione del ministero dell'interno (art. 13, co. 13). Se è vero che la contravvenzione introdotta dall'art. 14, co. 5 - ter riveste gravità pari o minore rispetto a quella descritta dall'art. 13, co. 13, non vi è alcuna ragione che giustifichi la previsione di un arresto obbligatorio nel primo caso e facoltativo nel secondo. La ingiustificata disparità di trattamento emerge poi in modo eclatante ove si raffronti la disciplina in tema di arresto tra la contravvenzione di cui all'art. 14, co. 5 - ter ed il delitto di cui all'art. 13, co. 13 - bis.

La previsione dell'arresto obbligatorio per la contravvenzione e dell'arresto facoltativo per il delitto è del tutto priva di ragionevolezza. L'obbligo di arrestare l'autore di un reato contravvenzionale è istituto sconosciuto al nostro attuale ordinamento giuridico. La misura precautelare dell'arresto obbligatorio è riservata, ai sensi dell'art. 380 c.p.p., agli autori di delitti e non di tutti i delitti ma di quelli particolarmente gravi, sanzionati con la pena dell'ergastolo o della reclusione non inferiore nel minimo a cinque anni e nel massimo a venti anni, oppure rientranti nelle fattispecie specificamente elencate nel secondo comma della stessa disposizione. Un solo caso di arresto obbligatorio in flagranza è previsto dalle leggi speciali, ed esattamente dall'art. 12, co. 4 d.lgs. 286/98 (non modificato dalla l. 189/02), in riferimento comunque a delitti, quelli di cui ai commi 1 e 3 della medesima disposizione.

Quanto ai reati contravvenzionali, l'arresto in flagranza è possibile secondo l'attuale ordinamento in una sola ipotesi, l'art. 6 d.l. 122/93, convertito in l. 205/93, ma si tratta di arresto facoltativo e non obbligatorio. La previsione dell'arresto obbligatorio per la contravvenzione di cui all'art. 14, co. 5 - ter d.lgs. 286/98, modificato dalla l. 189/02, contrasta in maniera eclatante con l'art. 3 della Costituzione in quanto concreta una ingiustificata disparità di trattamento rispetto all'art. 13, co. 13 che, per fattispecie di maggiore gravità consente ma non impone l'arresto in flagranza.

Vi è un ulteriore profilo di illegittimità costituzionale che emerge dalla lettura dell'art. 14, co. 5 - quinquies d.lgs. 286/98, modificato dalla l. 189/02. Esso attiene alla introduzione di una identica disciplina processuale (arresto obbligatorio e obbligo di giudizio direttissimo) per due ipotesi di reato (quelle dei commi 5 - ter e 5 - quater) che lo stesso legislatore ha sensibilmente differenziato quanto a gravità del fatto e della sanzione. E' pacifico, e costantemente ribadito dalla giurisprudenza, che, ferma la necessità di ancorare le scelte criminalizzatrici alla tutela di beni costituzionalmente rilevanti, le valutazioni sulla qualità e quantità della sanzione, in quanto di natura ideologica e politica, rientrano nell'ambito del potere discrezionale del legislatore. Nella sfera della discrezionalità legislativa devono pure ricondursi le scelte sui presupposti di applicabilità delle misure precautelari e cautelari, nei limiti imposti dall'art. 13 della Costituzione (cfr. sentt. Corte cost. 126/72; n. 305/96). E' altrettanto pacifico, tuttavia, che l'uso della discrezionalità legislativa possa essere censurato, sotto il profilo della legittimità costituzionale, nei casi in cui non sia stato rispettato il limite della ragionevolezza (cfr. sentenze Corte cost. nn. 26/79, 103/82, 409/89, 341/94). Nell'esercizio del suo indiscusso potere discrezionale, il legislatore ha qualificato come contravvenzione la condotta dello straniero che per la prima volta disobbedisce all'ordine di lasciare il territorio nazionale, in linea con fattispecie omologhe contemplate dal codice penale (cfr. art. 650 c.p., 2 l. 1423/1956). Scegliendo il tipo meno grave di reato, il legislatore ha escluso che potesse applicarsi all'imputato qualsiasi misura cautelare. La disobbedienza reiterata nelle forme dell'art. 14, co. 5 - quater è stata invece elevata al rango di delitto, punito con la reclusione da uno a quattro anni, quindi compatibile, secondo il sistema processuale, con il ricorso a misure precautelari e cautelari. Il legislatore ha mostrato da un lato di voler differenziare sensibilmente le due condotte in esame, la prima disobbedienza e quella reiterata nonostante l'espulsione coattiva, addirittura adottando diverse categorie di reato e comminando sanzioni significativamente differenti, con tutta una serie di implicazioni specifiche quanto ad elemento soggettivo, a termini di prescrizione ecc.

Tradendo questa impostazione e senza alcuna plausibile ragione ha poi dettato, nel comma 5 - quinquies, una disciplina identica quanto all'adozione di misure precautelari e al rito da seguire. Ha in tal modo introdotto una deroga enorme rispetto al sistema del codice di procedura penale, prevedendo per la contravvenzione l'arresto obbligatorio dell'autore, caso unico nel nostro ordinamento. La disarmonia che tale disciplina esprime rileva ai fini dell'art. 3 della Costituzione sotto l'aspetto della assoluta irragionevolezza. Il principio di ragionevolezza impone, per le fattispecie che costituiscono diversi gradi di aggressione del medesimo bene giuridico, discipline proporzionatamente differenziate (cfr. sentenza Corte cost. n. 26/79, secondo cui: "E' giurisprudenza costante di questa Corte che la configurazione delle fattispecie criminose e le valutazioni sulla congruenza fra i reati e le pene appartengono alla politica legislativa; salvo però il sindacato giurisdizionale sugli arbitri del legislatore, cioè sulle sperequazioni che assumano una tale gravità da risultare radicalmente ingiustificate...questo è appunto il caso della norma impugnata...l'art. 186 c.p.m.p., nel primo e, in parte, nel secondo comma, ricomprende ed appiattisce in un'unica ipotesi delittuosa - quella della insubordinazione con violenza - distinte condotte tipiche, nettamente differenziate nei loro elementi oggettivi e soggettivi"). Coerentemente a tali criteri, l'art. 9 l. 1423/1956 qualifica come contravvenzione la violazione degli obblighi inerenti alla sorveglianza speciale e come delitto l'analoga violazione quando la sorveglianza speciale includa anche l'obbligo o il divieto di soggiorno. Solo per la fattispecie delittuosa è previsto, in base all'art. 381 c.p.p., l'arresto facoltativo in flagranza e, ai sensi dell'art. 9 l. 1423/56 co. 3, anche fuori dei casi di flagranza. In materia di stupefacenti, l'art. 380 c.p.p. prevede l'arresto obbligatorio per i delitti di cui all'art. 73 d.p.r. 309/90, in deroga ai limiti di pena di cui al comma 1. La più grave misura precautelare non è estesa alle ipotesi attenuate di cui al quinto comma del citato art. 73. Nell'art. 14, co. 5 - quinquies, il legislatore ha in sostanza trattato allo stesso modo, imponendo l'arresto in flagranza ed il rito direttissimo, fattispecie che egli stesso ha, nella medesima disposizione, differenziato notevolmente quanto a gravità.

La disarmonia che tale disciplina esprime rileva ai fini dell'art. 3 della Costituzione sotto l'aspetto della assoluta irragionevolezza ("Non si compiono valutazioni di natura politica e nemmeno si controlla l'uso del potere discrezionale del legislatore se si dichiara che il principio dell'uguaglianza è violato quando il legislatore assoggetta ad una indiscriminata disciplina situazioni che esso stesso considera e dichiara diverse", Corte cost. n. 53/1958). Non vi è dubbio che il principio di uguaglianza, nonostante il riferimento letterale dell'art. 3 Cost. ai cittadini, debba ritenersi esteso agli stranieri, allorché si tratti della tutela dei diritti inviolabili dell'uomo (Corte cost. 104/69).

Pacifica è la rilevanza della questione. L'imputata è stata arrestata ai sensi della disposizione impugnata. Sulla rilevanza della questione non può avere effetto l'avvenuta liberazione della persona arrestata, imposta dall'art. 391 u.c., richiamato dall'art. 558 c.p.p. Il giudizio di convalida dell'arresto non è stato esaurito ma è stato sospeso al fine di trasmettere gli atti alla Corte costituzionale. La decisione sulla questione di legittimità costituzionale ha incidenza diretta sulla pronuncia di legittimità dell'arresto eseguito dalla polizia giudiziaria ai sensi della disposizione impugnata (cfr. al riguardo sentenza Corte cost. n. 54/1993 "[...] il provvedimento di liberazione dell'arrestata era imposto [...] dalla disposizione di cui all'art. 391 settimo comma, ultima parte, del codice di rito [...]. Poiché tale disposizione ricollega la perdita di efficacia dell'arresto alla carenza, per qualsiasi ragione, di un provvedimento positivo di convalida nello stesso termine, è ovvio che l'impossibilità di rispettarlo conseguente all'elevazione della questione comportava (o avrebbe di lì a poco ineludibilmente comportato) l'intervento di tale autonoma causa di carenza di valido titolo di detenzione, a prescindere dall'esaurimento del procedimento di convalida, che [...] era stato contestualmente sospeso. Tale procedimento non può perciò ritenersi esaurito, né di esso i giudici si sono spogliati: e la sua persistenza nonostante la liberazione trova ragione nell'interesse generale ad una pronuncia sulla legittimità dell'arresto, che ha pur sempre determinato una privazione della libertà. La rilevanza della questione, dunque, permane, trattandosi di stabilire se la liberazione dell'arrestata debba considerarsi conseguente all'applicazione dell'art. 391 settimo comma, ovvero, più radicalmente, alla caducazione con effetto retroattivo della disposizione in base alla quale gli arresti furono eseguiti").

La rilevanza della questione esiste, nel caso concreto, anche qualora si ritenesse conforme a Costituzione la previsione dell'arresto facoltativo anziché obbligatorio, poiché l'assenza di specifici indici di gravità della condotta e di pericolosità dell'imputata renderebbe comunque ingiustificata, ai sensi dell'art. 381 comma 4 c.p.p., la misura precautelare in oggetto.

Sulla base delle considerazioni fin qui svolte, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 14 co. 5 - quinquies d.lgs. 286/98, modificato dalla l. 189/02, in relazione all'art. 3 Cost., appare non manifestamente infondata e rilevante.

P.Q.M.

visti gli artt. 23 e ss. l. 87/1953, dichiara non manifestamente infondata e rilevante la questione di legittimità costituzionale dell'art. 14, co. 5 - quinquies d.lgs. 286/98, come modificato dalla l. 189/02, per violazione dell'art. 3 della Costituzione. [...]. Dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e sospende il giudizio in corso.