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Associazione per gli Studi Giuridici sull'Immigrazione
 
 
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Tribunale di Milano, ordinanza del 5 novembre 2002

 
est. Martello
 

Il giudice del lavoro [...] nel procedimento proposto ex art. 700 c.p.c., iscritto al n. 7501/2002 R.G.L. promosso da [...] contro [...], a scioglimento della riserva assunta all'udienza del 30.10.2002, ha pronunciato la seguente ordinanza.

Il ricorrente afferma di aver lavorato con regolarità alle dipendenze della società convenuta e chiede al giudice di accertare l'esistenza di un rapporto di lavoro subordinato e, conseguentemente, di ordinare alla convenuta di riammetterlo in servizio e di presentare la domanda di regolarizzazione prevista per i lavoratori extracomunitari clandestini dal. d.l. n.195 del 2002.

Resiste la società convenuta affermando che il ricorrente non ha mai lavorato continuativamente alle sue dipendenze, che egli ha prestato attività lavorativa occasionale e che, pertanto, non si è costituito un regolare rapporto di lavoro. La convenuta, poi, rileva che l'eventuale accertamento del rapporto di lavoro non comporta per il datore di lavoro l'obbligo di effettuare la c.d. sanatoria, poiché questo adempimento costituisce una facoltà e non un adempimento coercibile. Conclude la convenuta chiedendo il rigetto del ricorso.

All'udienza il giudice, dopo aver esperito infruttuosamente il tentativo di conciliazione, ha interrogato le parti e sentito i testi; ha quindi udito la discussione dei procuratori delle parti e, infine, si è riservato di decidere.

Motivi della decisione

L'accertamento del rapporto di lavoro è chiesto dal ricorrente come propedeutico rispetto all'affermazione dell'obbligo della convenuta datrice di lavoro di procedere alla regolarizzazione prevista dal d.l. n.195/02,successivamente convertito con modifiche nella legge 9.10.2002, n.222.

1. Sotto il primo profilo, ritiene il giudice che l'esistenza di un rapporto di lavoro subordinato sia stata accertata con sufficiente sicurezza.

In proposito devono essere rilevate le significative contraddizioni della convenuta che, dapprima, nelle lettere scambiate ai primi di ottobre con la Cisl afferma che il ricorrente non è mai stato dipendente e che, anzi, "è persona a noi totalmente sconosciuta"; mentre poi in ricorso ammette l'esistenza di prestazioni di lavoro, seppur saltuarie così confermando, quindi, il ricorrente non era certo "totalmente sconosciuto". Il carattere della subordinazione è sostanzialmente ammesso dalla convenuta che, in proposito, si limita a rilevare solo la discontinuità delle prestazioni lavorative del ricorrente.

Le tesi della convenuta sono state smentite dalle risultanze dell'istruttoria, mentre le deduzioni del ricorrente hanno trovato sostanziale conferma nelle deposizioni dei testi sentiti per le sommarie informazioni. Confermato risulta infatti il compenso orario di 8.000 lire dedotto in ricorso: si vedano in tal senso le dichiarazioni del teste [...] e soprattutto quelle della teste D'Italia, che tale compenso ha consegnato al ricorrente. La stessa teste ha confermato la presenza lavorativa del ricorrente in azienda nel periodo compreso tra maggio e luglio 2002, precisando che in tali occasioni ella retribuiva le ore che egli aveva fatto quel giorno. La continuità della prestazione emerge con adeguata precisione dalle dichiarazioni concordanti degli altri testi escussi, i quali hanno confermato sia la presenza lavorativa del ricorrente, sia l'orario di lavoro sia le mansioni da lui svolte. I testi hanno confermato, inoltre, che in agosto l'azienda è rimasta aperta ma con attività ridotta e sostanzialmente limitata alla manutenzione, il che conferma indirettamente che l'allontanamento del ricorrente è stato disposto dalla convenuta in relazione al normale calo di attività che caratterizza il periodo feriale.

La tesi difensiva della convenuta, che sostiene avere il ricorrente interrotto volontariamente il rapporto di lavoro risulta, oltre che priva di logica spiegazione, smentita sia dalle successive richieste di lavoro avanzate reiteratamente dal ricorrente di persona nei primi giorni di settembre e con le lettere della Cisl in precedenza richiamate, sia dalle dichiarazioni dei testi tutti, i quali hanno confermato che il ricorrente si è presentato in azienda il 2 settembre, alla ripresa del lavoro; i testi hanno confermato, inoltre, che la rappresentante della convenuta, Georgieva Slava, rifiutò il pagamento delle spettanze arretrate.

Si deve quindi concludere che - fatto salvo ogni opportuno accertamento nella sede di merito - fra le parti è sorto un rapporto di lavoro subordinato e che questo è stato interrotto ad iniziativa della convenuta, così configurandosi un licenziamento inefficace, in quanto verbalmente disposto, e comunque privo di giustificazione.

Le dichiarazioni della parte e della teste D'Italia consentono di ritenere sussistente anche il requisito dimensionale per la stabilità reale, posto che è stata ammessa la presenza di 5 dipendenti regolarmente assunti, ai quali si devono aggiungere i 10 dei quali la convenuta ha dedotto la recente regolarizzazione, nonché l'odierno ricorrente.

Le considerazioni che precedono portano a ritenere sussistente il fumus boni iuris a fondamento della pretesa della ricorrente di essere riammesso in servizio.

Sussiste egualmente il periculum in mora, con particolare riferimento alle condizioni economiche del ricorrente, aggravate del fatto che non gli sono state corrisposte le spettanze arretrate. Per altro, circa il periculum nulla ha dedotto in assoluto la convenuta.

Del pari, nulla ha dedotto la convenuta in ordine al compenso percepito dal ricorrente e alla domanda di assegno alimentare di € 600 al mese.

La presenza di un licenziamento inefficace comporta l'ordine per la convenuta di riammettere in servizio il ricorrente nel posto di lavoro in precedenza occupato o in altro con mansioni equivalenti, con l'erogazione di un compenso mensile che, allo stato e sino alla definizione del giudizio di merito, si liquida in € 600,00 mensili.

2. La conclusione che precede comporta, inoltre, l'obbligo per la convenuta datrice di lavoro di procedere alla c.d. sanatoria effettuando la denuncia prevista dall'art 1 della legge n. 222 del 2002. In proposito, la convenuta sostiene che tale denuncia costituisce una mera facoltà del datore di lavoro che, secondo il testo dell'art 1 ult cit, "può denunciare" la sussistenza del rapporto di lavoro con il lavoratore extracomunitario.

La tesi non può essere condivisa. Ritiene infatti il giudice che la facoltà in questione concessa al datore di lavoro riguardi solo la possibilità di avvalersi delle modalità, degli esoneri, delle facilitazioni, e della impunità introdotte dalla legge in questione, ma non possa essere intesa nel senso di scelta discrezionale circa la regolarizzazione del rapporto di lavoro. Va ricordato ,infatti, che - ai sensi dell'art. 22 co. 12 del d.l.gs. n.286 del 1998 - "il datore di lavoro che occupa alle proprie dipendenze lavoratori stranieri privi del permesso di soggiorno" commette un reato penalmente sanzionato, per modo che all'odierno accertamento dovrebbe conseguire la segnalazione alla Procura della Repubblica affinché eserciti l'azione penale. Un siffatto obbligo non sussiste al momento proprio perché il citato art 1 pone, al comma 6, una condizione di non punibilità per il datore di lavoro che presenta la denuncia per la sanatoria. Diversamente ragionando, e cioè ritenendo che il datore di lavoro possa a sua discrezione decidere se regolarizzare o meno il lavoratore irregolarmente fatto lavorare alle sue dipendenze, si finirebbe col rimettere all'autore di un reato la prosecuzione e la permanenza dello stesso pur dopo il suo accertamento in sede giudiziale; il che appare difficilmente ipotizzabile, anche nell'ottica di generale sanatoria cui si ispira la legge.

Va rilevato, oltre tutto, che la mancata regolarizzazione nel termine di legge comporterebbe nuovamente l'applicazione dell'art 22 ult cit., che è stata sospesa dall'art 1 comma 6 ultima parte della legge n. 222 "fino alla data del rilascio del permesso di soggiorno ovvero fino alla data della comunicazione della sussistenza di motivi ostativi al rilascio del permesso di soggiorno"; con la conseguente reviviscenza dell'obbligo di esercitare l'azione penale nei confronti del datore di lavoro.

Pare pertanto che la domanda del ricorrente sia sufficientemente fondata in diritto e che, quindi, sussista il fumus boni iuris richiesto dalla legge per l'adozione di un provvedimento cautelare.

Il periculum in mora, è concretizzato dalla prospettiva del danno irreparabile che il ricorrente subirebbe per la mancata regolarizzazione entro il termine di legge, decorso il quale la denuncia e la sanatoria non sarebbero più giuridicamente possibili. Per converso, il danno eventualmente incombente sul datore di lavoro sarebbe quello che si produrrebbe ove in sede di accertamento definitivo dovesse risultare soccombente il lavoratore (così come ,in generale, ove la questura accerti l'esistenza di motivi ostativi ai sensi del comma 4 dell'art. 1 ult. cit.): il danno in questione sarebbe certamente non irreparabile, poiché consisterebbe prevalentemente nel credito verso la amministrazione pubblica per il versamento degli € 700 previsto dalla lettera b) dell'art. 1 ult. cit.

Le considerazioni che precedono portano, quindi, ad affermare l'obbligo per l'odierna convenuta di presentare entro il termine di legge e in relazione al ricorrente la denuncia di cui all'art. 1 della legge n. 222 del 2002, con le modalità ivi prescritte.

Le spese del presente giudizio, saranno liquidate in sede di procedimento ordinario, ad eccezione di quelle dovute per la Ctu dell'interprete, che sono liquidate in € 78 e poste provvisoriamente a carico della convenuta.

Viene assegnato alle parti termine di trenta giorni dalla notifica del presente provvedimento per la proposizione del giudizio di merito.

P.Q.M.

ordina alla convenuta [...] srl di immediatamente riammettere in servizio il ricorrente [...] nel posto di lavoro in precedenza occupato o in altro con mansioni equivalenti, con l'erogazione di un compenso che, allo stato e sino alla definizione del giudizio di merito, si liquida in € 600,00 netti mensili; ordina alla convenuta di presentare per la regolarizzazione del ricorrente la denuncia prevista all'art 1 della legge n. 222 del 2002, con le modalità ivi prescritte; assegna alle parti termine di giorni trenta dalla notifica della presente ordinanza per l'instaurazione del giudizio di merito; pone provvisoriamente a carico della convenuta le spese di Ctu, liquidate in € 78. Spese al definitivo.