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Associazione per gli Studi Giuridici sull'Immigrazione
 
 
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Tribunale di Trieste, ordinanza del 18 novembre 2002

 
est. Mitja Ozbic
 

Il giudice onorario letto il ricorso proposto ex art. 13, co. 8 d.lgs.286/98 da [...], nata a [...], cittadina jugoslava, avverso il decreto di espulsione [...] emesso nei suoi confronti dal prefetto di Trieste in data 4.10.2002 ai sensi dell'art. 13, co. 2 lett. b) e co. 5 d.lgs.286/98, ricorso depositato presso la cancelleria di questo ufficio in data 15.10.2002; verificata la regolare instaurazione del contraddittorio; sentite le parti in camera di consiglio; a scioglimento della riserva formulata in udienza;

rilevato come dall'impugnato decreto emerga che la ricorrente è entrata nel territorio italiano in data 12.8.2001 proveniente dall'Austria, con visto Schengen di tipo C emesso in data 6.8.2001 dall'Ambasciata italiana di Belgrado e con durata 11.8.2001 - 23.11.2001 per un periodo massimo di 90 giorni con n. 1 ingresso;

che era titolare di permesso di soggiorno rilasciato dalla questura di Trieste, scaduto il 12.11.2001 e mai rinnovato;

che dal passaporto prodotto in atti emerge come fosse in possesso di ulteriore visto Schengen di tipo C emesso in data 11.1.2002 con durata 11.1.2002 - 21.1.2002 per un periodo massimo di 7 giorni con n. 1 ingresso;

che in data 4.10.2002 si presentava presso l'Ufficio immigrazione della citata questura al fine di vedersi rilasciato il permesso di soggiorno per motivi di cure mediche, ai sensi della lett. c) del co. 1dell'art. 28 d.p.r. 394/99;

che, in seguito a tale richiesta la questura di Trieste inviava al prefetto di Trieste segnalazione Cat. A.12/2002/U.I.3^Sez.dd. 4.10.2002, evidenziando come la richiedente si trovasse in stato di gravidanza, risultante dal certificato specialistico, e richiedendo pertanto, contestualmente alla richiesta di valutare l'opportunità di emettere il provvedimento di espulsione, la sua sospensione ai sensi dell'art. 19 co. 2 d.lgs. 286/98 ed in riferimento al d.p.r. 394/99;

che in seguito alla segnalazione di cui sopra il prefetto provvedeva all'emanazione del sopra emarginato decreto ai sensi degli artt. 5 co. 2 e 13 co. 2 lett. b) d.lgs 286/98, sull'assunto che la ricorrente, entrata nel territorio dello Stato in data 12.8.2002, non aveva provveduto a rinnovare il permesso di soggiorno valido fino al 12.11.02;

che, nella medesima data, il prefetto della provincia di Trieste provvedeva ad emanare ulteriore decreto prot. n. 12/B/7- con il quale, visto l'art. 19 co. 2 lett. d) del d.lgs.286/98, anche in riferimento alle disposizioni del d.p.r. 394/99, decretava la sospensione del precedente decreto n. 922 fino al sesto mese successivo a quello di nascita del figlio, salvo che non intervengano motivi tali da permettere la concessione di un permesso di soggiorno per altro titolo;

considerato come la ricorrente ritenga illegittimo il primo dei due decreti di cui sopra - nonostante la presenza del secondo che ritiene non varrebbe a sanarne la nullità - in quanto contra legem fin dall'origine, come tale privo di efficacia sin dal momento in cui è venuto ad esistere e quindi non suscettibile di essere sospesa;

tutto ciò premesso, rilevata innanzitutto la contraddittorietà della motivazione dell'impugnato decreto, riferendosi da una parte al co. 2 dell'art. 5 d.lgs.286/98, ai sensi del quale il permesso di soggiorno deve essere richiesto entro otto giorni lavorativi dall'ingresso dello straniero nel territorio dello Stato, e dall'altra al mancato rinnovo del permesso in essere, pertanto non individuando con precisione la violazione commessa;

ritenuto inoltre preliminarmente che, per quanto riguarda il mancato rinnovo del permesso scaduto in data 12.11.2001, ci si debba richiamare alla consolidata giurisprudenza di legittimità, ai sensi della quale, in ragione delle istanze di solidarietà che il legislatore ha inteso privilegiare ex art. 2 Cost. nell'emanazione della legislazione concernente gli stranieri, l'art. 13 co. 2 lett. b) d.lgs. 286/98 deve essere interpretato nel senso che lo straniero, il quale abbia chiesto con ritardo il rinnovo del proprio permesso di soggiorno, anche dopo sessanta giorni dalla scadenza, non può essere automaticamente oggetto di un provvedimento di espulsione. Infatti, ai sensi di tali pronunce l'espulsione può essere deliberata solamente nel caso, previsto dall'art. 5 dello stesso decreto, di un eventuale rifiuto della richiesta di rinnovo per sopravvenuta mancanza dei requisiti di soggiorno;

che quindi il decreto di espulsione poteva venir legittimamente emanato solamente in seguito alla verifica dell'assenza dei requisiti richiesti;

considerato, inoltre, che ai sensi dell'art. 19 co. 2 lett. d) d.lgs. 286/98 l'espulsione non è consentita, salvo che nei casi previsti dall'art. 13, co. 1, nei confronti delle donne in stato di gravidanza o nei sei mesi successivi alla nascita del figlio cui provvedono; che, in merito, la Corte costituzionale, nella sentenza n. 376/2002 (con la quale tale disposizione è stata dichiarata incostituzionale nella parte in cui non estende il divieto al marito convivente) ha chiaramente affermato che "si tratta dunque, più che di un divieto assoluto di espulsione o di respingimento, di una temporanea sospensione del relativo potere fondata sulla particolare tutela che l'ordinamento, in questa come in altre materie, appresta per la donna in stato di gravidanza e nel periodo immediatamente successivo alla nascita del figlio";

che, pertanto, stante la temporanea sospensione del relativo potere di espulsione, il decreto è stato emesso in presenza di una temporanea carenza di potere e pertanto deve ritenersi illegittimo; ed a nulla rileva il successivo decreto di sospensione, essendo il primo provvedimento contra legem ab origine;

considerato, infine, in relazione al rilievo formale concernente l'eccepita mancata traduzione di cui agli artt. 2 co. 6 e 13 co. 7 d.lgs.286/98, che l'atto di notifica contiene la traduzione in lingua inglese, francese e spagnola del contenuto del decreto notificato; che, ai sensi dell'art. 3 co. 3 del d.p.r 349/99 di attuazione del citato decreto legislativo, il provvedimento, se lo straniero non comprende la lingua italiana, deve essere accompagnato da una sintesi del suo contenuto, anche mediante appositi formulari sufficientemente dettagliati, nella lingua a lui comprensibile o, se ciò non è possibile, in una delle lingue, inglese, francese o spagnola, secondo la preferenza indicata dall'interessato;

atteso che nella notifica del decreto di espulsione l'impossibilità di tradurre il provvedimento nella lingua del paese d'origine " del sig. (?) [...] " viene motivata in base all'impossibilità di reperire un interprete di lingua jugoslava; che inoltre nella stessa relata di notifica "si dà atto che lo stesso (?) comprende e parla la lingua italiana";

rilevato che - oltre al fatto che la frase si riferisce a persona di sesso maschile e non femminile, come l'odierna ricorrente, e pertanto presumibilmente risulta attinente ad altra persona - la mancata conoscenza della lingua italiana risulta comprovata dalla necessaria assistenza di un interprete di lingua serba in sede di udienza;

preso atto della giurisprudenza di cui alle sentenze della Corte costituzionale nn. 198 e 227/2000 e della Corte di cassazione n. 9266/2000, ai sensi delle quali la traduzione del decreto di espulsione è preordinata ad assicurare il diritto di difesa per cui, se il ricorso viene tempestivamente presentato al giudice competente, il medesimo avrebbe raggiunto il suo fine, non pregiudicato quindi dalla mancata traduzione del provvedimento in una lingua conosciuta allo straniero;

che, accogliendo la succitata giurisprudenza costituzionale e di legittimità, questo giudice ha in passato ritenuto che l'irregolarità della traduzione ovvero la mancata motivazione della non possibile traduzione in una lingua conosciuta dall'interessato rilevi quanto abbia recato pregiudizio al diritto di difesa dell'interessato, per cui l'irregolarità dovrebbe essere valutata alla luce di tale principio;

atteso che con sentenza n. 9138 del 6.7.2001 la Corte di cassazione (sez. I civile) ha modificato il proprio precedente orientamento affermando che l'obbligo di cui all'art 13, co. 7 d.lgs. 286/98 viene meno solo quando sia comprovata la conoscenza della lingua italiana da parte dell'interessato, poiché solo in tal caso resta irrilevante la mancata conoscenza delle altre lingua nelle quali il decreto di espulsione è stato tradotto;

che inoltre nella stessa sentenza la Cassazione ha rilevato come da ciò consegua che la mancata traduzione del provvedimento di espulsione nella lingua del paese d'origine dell'immigrato o in altra lingua da lui conosciuta lede il suo diritto di difesa, senza che tale lesione sia sanata dalla comunicazione del provvedimento con una traduzione in altra lingua senza la preventiva giustificazione dell'impossibilità di rendere compiutamente noto il provvedimento al suo destinatario, né che la sanatoria sia avvenuta per il raggiungimento dello scopo stesso;

che con recente pronuncia la stessa Corte di cassazione (sez. I 19.12.2001 n.16032) ha ritenuto che la mancata possibilità di una traduzione, anche sintetica, in una lingua nota all'interessato debba ritenersi sussistere quando non si riesca ad accertare la nazionalità dello straniero ovvero la lingua del paese d'origine sia scarsamente diffusa e non consenta l'agevole reperimento di un interprete;

considerato che nel caso di specie è stata accertata la cittadinanza jugoslava e che la lingua serba non risulta scarsamente diffusa nella città Trieste, tenuto conto delle forti comunità di cittadini dell'ex Jugoslavia ivi presenti e il conseguente agevole reperimento di un interprete, oltre al fatto - che la resistente Amministrazione, nello stesso modo in cui provvede in altri casi ad accompagnare i decreti di espulsione con sintetica traduzione in lingua serba ed altre, avrebbe potuto facilmente assicurarlo anche in questa occasione, avendo già a disposizione la relativa modulistica;

che, inoltre, con altra pronuncia la Suprema corte ha ritenuto che la comprovata conoscenza della lingua italiana da parte dell'interessato non si verifica in presenza della rudimentale comprensione della lingua italiana solo parlata e della accertata incapacità di lettura della lingua scritta, atteso che talli circostanze non sono in grado di garantire in concreto la piena conoscibilità del decreto di espulsione da parte del destinatario, con la conseguente grave compromissione del suo diritto di difesa (Cass. I 18.1.2002 n. 525);

considerato che, sia il richiamato d.p.r. di attuazione che la giurisprudenza di legittimità parlano di "traduzione, anche sintetica", per cui tale requisito non risulta soddisfatto nel caso di specie e sussiste pertanto violazione del diritto di difesa della ricorrente; che quindi l'impugnato decreto risulta illegittimo anche sotto tale aspetto; ritenuto dunque che, non sussiste la mancanza di interesse all'impugnazione, come affermato dall'Ufficio territoriale del Governo in sede di udienza, in quanto l'impugnato provvedimento deve ritenersi illegittimo sia dal punto di vista sostanziale - essendo stato emesso in violazione dell'art. 19 co. 2 lett. d) d.lgs. 286/98 e non essendo stati posti al vaglio eventuali altri requisiti per l'emissione di un permesso di soggiorno (quale quello di cui al comma 1°dell'art.28 del d.p.r. 394/99) - sia dal punto di vista formale per la mancata traduzione ex artt. 2, co. 6 e 13, co. 7 d.lgs 286/98; tutto ciò premesso.

P.Q.M.

il tribunale, nella persona del G.O., definitivamente pronunziando, ogni diversa istanza, difesa, eccezione, deduzione disattesa, accoglie il ricorso proposto ex art. 13 co. 8 d.lgs. 286/1998 da [...], cittadina jugoslava, avverso il decreto di espulsione [...] emesso nei suoi confronti dal prefetto di Trieste in data 4.10.2002 e conseguentemente annulla il decreto di espulsione [...].