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Associazione per gli Studi Giuridici sull'Immigrazione
 
 
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Tribunale di Roma, ordinanza del 12 novembre 2002

 
est. Ianniello
 

Letti gli atti del proc. pen. n. 46788/02 P.M. a carico di R. I., imputato del reato p. e p. dall'art. 14 comma 5 ter d.lgs. 286/98 nel testo modificato dalla l. 189/02, per essersi trattenuto senza giustificato motivo nel territorio dello Stato in violazione dell'ordine impartito dal Questore ai sensi del comma 5 bis;

Rilevato che in esito alla convalida dell'arresto non è stata richiesta dal P.M. l'applicazione di alcuna misura coercitiva nei confronti dell'imputato e ciò in ragione della pena edittale prevista per la fattispecie criminosa (arresto da 6 mesi ad 1 anno), inferiore ai limiti indicati dall'art. 280 c.p.p. per l'applicazione di dette misure;

Considerato che si procede nei confronti di imputato a piede libero che ha formulato richiesta di termini a difesa e che il processo, ex art. 558 comma 7 c.p.p., è stato rinviato alla prima udienza disponibile per questo Giudice, ovvero alla odierna udienza.

Osserva

Gli artt. 13 comma 13 e 14 comma 5 ter del d.lgs. 25.7.98 n. 286 nel testo modificato dagli artt. 13 co. 13 e 14 co. 5 ter del d.lgs. 25.7.98 n. 286 nel testo modificato dalla legge 30.7.02 n. 189 istituiscono due distinte ma analoghe ipotesi di reato per punire il cittadino straniero colpito da provvedimento di espulsione amministrativa che rientri illegalmente nel territorio dello Stato oppure illegalmente vi si trattenga senza ottemperare all'ordine di allontanamento.

In entrambi i casi è previsto l'arresto in flagranza di reato ed il processo deve svolgersi con rito direttissimo; è previsto inoltre che lo straniero illegalmente presente sul territorio dello Stato venga nuovamente espulso "con accompagnamento immediato alla frontiera" (art. 13 co. 13) e "con accompagnamento alla frontiera a mezzo forza pubblica" (art. 14 co. 5 ter). La legge non precisa se alla espulsione si debba procedere non appena l'imputato venga rimesso in libertà o se l'espulsione coattiva debba essere realizzata solo una volta esaurito il processo penale.

Tuttavia la prima soluzione sembra sostenuta sia dal tenore letterale degli articoli richiamati - i quali intendono impedire la prosecuzione della illegale permanenza nel territorio dello Stato ed assicurare la cessazione della condotta antigiuridica con l'esecuzione coattiva ed immediata della espulsione - sia dalla previsione contenuta nell'art. 17 della legge ("...lo straniero parte offesa ovvero sottoposto a procedimento penale è autorizzato a rientrare in Italia per il tempo strettamente necessario per l'esercizio del diritto di difesa, al solo fine di partecipare al giudizio o al compimento di atti per i quali è necessaria la sua presenza. L'autorizzazione è rilasciata dal Questore anche per il tramite di una rappresentanza diplomatica o consolare su documentata richiesta della parte offesa o dell'imputato...") nella quale si opera una precisa scelta di priorità tra l'esigenza di rendere effettivo l'allontanamento dal territorio dello Stato e l'esercizio del diritto di difesa.

Le previsioni richiamate non sembrano rispondenti ai principi affermati dagli artt. 24, 27, 104 e 111 della Costituzione.

E' innegabile che anche in presenza di reati di facile accertamento quali quelli in parola l'imputato abbia il diritto di scegliere i percorsi difensivi più adeguati, in primo luogo valutando l'opportunità, con l'ausilio del difensore, di accedere ai riti alternativi e in secondo luogo di predisporre una difesa articolata mediante la raccolta e l'indicazione di prove testimoniali o documentali volte a dimostrare, ad es., la sussistenza di un giustificato motivo alla permanenza nel territorio dello Stato che attesti la liceità della condotta e renda insussistente il reato contestato.

Con le sentenze 125/79 e 188/90 la Corte Costituzionale ha escluso che diritto alla difesa significhi, nel processo penale, oltre che diritto a farsi assistere da un difensore "tecnico" anche diritto alla autodifesa; è tuttavia innegabile che un imputato, allontanato dal territorio dello Stato prima della conclusione del processo, si verrebbe a trovare in condizione di grave disagio nel predisporre ed articolare una adeguata difesa, peraltro nei ristretti tempi del rito direttissimo, e che anche la difesa tecnica affidata al difensore non potrebbe non risentire ed essere fortemente condizionata dall'assenza dell'imputato dal territorio dello Stato.

Le ipotizzabili attività difensive potrebbero essere predisposte e sollecitate con evidente difficoltà da un imputato lontano dal territorio dello Stato e per il quale, a prescindere dal discrezionale provvedimento di autorizzazione del Questore, il rientro potrebbe essere ostacolato o reso impossibile dalla scarsezza o dalla mancanza di mezzi economici.

La formulazione dell'art. 17 della legge sembra quindi limitare la portata della norma ad una generica affermazione di principio senza assicurare nei fatti una concreta possibilità di effettiva difesa mentre l'art. 24 Cost. - affermando la possibilità per tutti di agire in giudizio a tutela dei diritti e degli interessi legittimi - mira a concretizzare il diritto di azione sul piano della effettività e della pratica operatività.

Né può eludersi il problema della esatta qualificazione del provvedimento di espulsione del quale si tratta ovvero della "nuova" espulsione disposta in caso di inottemperanza al provvedimento emesso dal Questore; la "nuova" espulsione - per la sua diretta connessione con un fatto-reato - sembra più correttamente definibile non quale provvedimento amministrativo ma quale misura di sicurezza: necessiterebbe perciò di precise garanzie di carattere giurisdizionale e dovrebbe essere disposta in sede giurisdizionale.

L'allontanamento immediato e coattivo dal territorio dello Stato si sostanzia nella anticipazione di effetti negativi in danno del cittadino extracomunitario a prescindere dall'esito del processo ed in particolare dalla possibilità che venga emessa una sentenza di assoluzione in esito al dibattimento.

L'art. 27 Cost. precisa che l'imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva, con la conseguenza che il legislatore ordinario ha l'obbligo di regolamentare i processi e gli istituti processuali in modo tale da evitare che il soggetto coinvolto nella vicenda processuale abbia a subire effetti negativi anticipati rispetto al momento dell'accertamento di specifiche responsabilità.

La normativa in esame invece, col prevedere l'esecuzione coattiva ed immediata della espulsione, sembra non tener conto almeno sul piano degli effetti della possibilità che l'imputato venga assolto dal reato ascritto e che venga di conseguenza affermata - ad espulsione già avvenuta - la legittimità della sua permanenza nel territorio dello Stato.

Non può infine non rilevarsi la dubbia costituzionalità della legge in esame anche con riferimento alle regole dettate dall'111 Cost, come di recente riformulato con lo scopo di parificare nel processo penale accusa e difesa, rendendo più incisivo il ruolo della difesa e più efficace l'esercizio del relativo diritto.

Giusto procedimento ai sensi del novellato art. 111 Cost. è quello che si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti ad un giudice terzo ed imparziale e nel quale la persona accusata di un reato dispone del tempo e delle condizioni necessarie per preparare la sua difesa, ha la facoltà davanti al giudice di interrogare o di far interrogare le persone che rendono dichiarazioni a suo carico, di ottenere la convocazione e l'interrogatorio di persone a sua difesa nelle stesse condizioni dell'accusa e l'acquisizione di ogni altro mezzo di prova a suo favore, è assistita da un interprete se non comprende o parla la lingua impiegata nel processo.

La procedura ipotizzata per lo straniero immediatamente espulso prima della conclusione del processo si pone, a parere di questo Giudice, in palese contraddizione con il modello di processo delineato nella norma costituzionale richiamata, stante l'eventualità della partecipazione al processo e l'impossibilità di articolare e realizzare una effettiva e tempestiva difesa e di farlo in condizioni di parità con l'accusa.

Ma vi è un ulteriore profilo che induce questo Giudice a dubitare della costituzionalità della legge richiamata: esso riguarda il rapporto ed il raccordo tra i provvedimenti della autorità amministrativa e quelli della autorità giudiziaria.

Stabilire che l'esercizio di facoltà processuali difensive è materia sottratta alla valutazione del giudice del processo e rimessa invece alla valutazione del Questore - organo dell'amministrazione e non della giurisdizione - è soluzione legislativa in evidente contrasto con il principio affermato dall'art. 104 Cost., che configura la Magistratura quale "ordine autonomo ed indipendente da ogni altro potere".

Con la sentenza n. 440/88 la Corte Costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 9 primo comma l. 20.11.71 n. 1062 (Norme penali sulla contraffazione od alterazione di opere d'arte) nella parte in cui venivano adoperate le parole "deve avvalersi" anziché le parole "può avvalersi".

La questione sottoposta all'esame della Corte riguardava l'obbligo per il giudice - stabilito dall'art. 9 della legge 1062/71 - di avvalersi di periti indicati dal Ministro per i beni culturali e ambientali fino alla istituzione dell'albo dei consulenti tecnici in materia di opere d'arte, obbligo che sottraeva al giudice del processo la possibilità di scegliere liberamente il perito al quale affidare la valutazione delle opere d'arte per accertarne la falsificazione.

Nella motivazione della sentenza richiamata si è affermato che "...il principio di indipendenza della magistratura sancito dal primo comma dell'art. 104 cost. - con riguardo ad ogni giudice, singolo o collegiale, in stretta correlazione all'autonomia dell'ordine giudiziario garantita dal medesimo comma ed in diretta derivazione dall'art. 101 co. 2 Cost. - non può considerarsi non scalfito da una norma che condiziona ad un atto vincolante di una autorità amministrativa l'esercizio della funzione giurisdizionale in un momento particolarmente delicato del processo, quale quello della scelta del perito. L'indipendenza del giudice penale risulta compromessa proprio dalla impossibilità di provvedere direttamente, una volta ritenuta necessaria la perizia artistica, alla nomina dell'esperto, stante l'obbligo di rivolgersi alla autorità amministrativa competente e di seguirne le indicazioni senz'alcun altro margine di discrezionalità se non quello, per giunta eventuale, di esprimere una preferenza quando la designazione ministeriale comprenda più nominativi in lista di attesa...".

La norma di cui all'art. 17 legge cit. preclude al giudice del processo la diretta esplicazione di attività volte all'acquisizione di prove, quali l'accompagnamento coattivo dell'imputato ex art. 490 c.p.p., e sottrae al medesimo giudice la possibilità di valutare la sussistenza di valide ragioni per assicurare la presenza dell'imputato nel processo stesso, per garantire l'esercizio effettivo del diritto di difesa, per consentire all'imputato di prospettare i mezzi istruttori necessari ad articolare la difesa ammissibili e rilevanti al fine di emettere una decisione giusta ,senza dimenticare che resterebbe paralizzato o limitato l'esercizio dei poteri ex art. 507 c.p.p., comunque subordinati e conseguenti all'esaurimento delle acquisizioni probatorie proposte dalle parti.

Il problema della forzata assenza dell'imputato dal processo quale delineato dalle norme in esame non sembra poter trovare adeguata soluzione attraverso una attività di interpretazione estensiva della legge in esame, che consenta di renderla più aderente ai valori costituzionali. In tale ottica potrebbe infatti ipotizzarsi che il giudice abbia il potere di consentire all'imputato di trattenersi nel territorio dello Stato per il tempo necessario alla trattazione del processo: una simile possibilità interpretativa sembra tuttavia preclusa dal regime dettato dal novellato art. 13 d.lgs. 286/98 .

Mentre il testo previgente prevedeva la possibilità per il giudice di negare il nulla osta alla espulsione "...per inderogabili esigenze processuali..." il testo modificato - nel regolare i rapporti tra attività amministrativa ed attività giurisdizionale nel caso in cui il prefetto debba procedere alla espulsione di un cittadino straniero libero o liberato, a carico del quale penda un procedimento penale - stabilisce che il giudice ha la possibilità di bloccare il provvedimento di espulsione nelle sole ipotesi di "... inderogabili esigenze processuali valutate in relazione all'accertamento della responsabilità di eventuali concorrenti nel reato o di imputati in procedimenti per reati connessi, e all'interesse della persona offesa...". Ne consegue che nei casi indicati dall'art. 13 il giudice - che il novellato art. 111 Cost. vuole "terzo ed imparziale" - può assicurare la presenza dell'imputato nel processo solo per garantire le esigenze dell'accusa pubblica o privata e non può invece farlo per assicurare l'esercizio del diritto alla difesa ed un effettivo contraddittorio tra le parti. [...].

P.Q.M.

Visto l'art. 23 legge 11.3.53 n. 87, ritenuto che ai fini del presente giudizio non appaiono manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 14 co. 5 ter del d.lgs. 286/98 nel testo modificato dalla l. 189/02 (e di conseguenza degli artt. 13 co. 13, 13 co. 3 e 17 della medesima legge) in relazione agli artt.24, 27, 104 e 111 Cost. Che le stesse sono rilevanti ai fini del decidere, sospende il giudizio in corso [...].