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Associazione per gli Studi Giuridici sull'Immigrazione
 
 
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Tribunale di Verona, ordinanza del 23 maggio 2003

 
est. Campo
 

Il giudice, sciogliendo la riserva espressa all'udienza del 23.5.2003, osserva quanto segue.

La materia concernente la partecipazione alla vita pubblica dello straniero residente in Italia è specificamente presa in considerazione dall'art.9 del decreto legislativo 286/1998 (testo unico sull'immigrazione). La norma prevede, per lo straniero regolarmente soggiornante in Italia e munito di carta di soggiorno, che viene rilasciata allo straniero regolarmente soggiornante in Italia da almeno sei anni (erano cinque prima della modifica introdotta dalla l.189/2002), la possibilità di "partecipare alla vita pubblica locale, esercitando anche l'elettorato quando previsto dall'ordinamento e in armonia con le previsioni del capitolo C della Convenzione sulla partecipazione degli stranieri alla vita pubblica a livello locale, fatta a Strasburgo il 5 febbraio 1992" (art.9 comma 4 lettera d) del testo unico). La Convenzione di Strasburgo del 5 febbraio 1992 si articola in distinti capitoli, riguardanti la libertà di espressione, di riunione e di associazione (capitolo A), gli organi consultivi volti a rappresentare i residenti stranieri a livello locale (capitolo B) e il diritto di voto alle elezioni locali (capitolo C). Questa convenzione è stata ratificata dall'Italia con legge 8 marzo 1994 n.203 limitatamente ai capitoli A e B, con esclusione del capitolo C, relativo appunto al riconoscimento del diritto di voto, e di eleggibilità, alle elezioni locali per lo straniero regolarmente residente in uno degli stati contraenti da almeno cinque anni, questo a parità di condizioni con i cittadini dello Stato. In mancanza di una ratifica, la Convenzione di Strasburgo del 1992 non può trovare diretta applicazione nell'ordinamento italiano.

Si tratta infatti di un comune trattato internazionale, che richiede, per la sua applicazione, l'attivazione del procedimento di attuazione, con i passaggi della legge di ratifica ed esecuzione da parte del Parlamento e la successiva ratifica da parte del Presidente della Repubblica. Questo procedimento è stato invece attivato solo per gli altri capi della convenzione. Alla materia non può applicarsi l'art.10 della Costituzione, che da applicazione diretta alle norme internazionali generalmente riconosciute e non alle norme del diritto internazionale cosiddetto speciale o convenzionale, per il quale occorre fare riferimento al procedimento di cui all'art.80 della Costituzione, con l'adozione dell'ordine di esecuzione.

Per avere attuazione nell'ordinamento nazionale, la Convenzione avrebbe dovuto seguire il procedimento dettato dagli art.80 e 87 della Costituzione, in base ai quali il Parlamento autorizza con legge la ratifica del trattato internazionale, che viene successivamente ratificato, sulla base di questa autorizzazione, dal Presidente della Repubblica. Il meccanismo di operatività del trattato nel diritto interno prevede poi il cosiddetto ordine di esecuzione, espresso solitamente con la formula "piena ed intera esecuzione è data a ...". Tutto questo naturalmente presuppone che le norme stabilite nei trattati siano immediatamente applicabili e non richiedano ulteriori adattamenti alle norme dell'ordinamento interno, essendo necessaria in quest'ultimo caso una apposita legge nazionale che risolva i problemi di adattamento dettando le norme di coordinamento.

Questa lunga premessa si è resa necessaria per evidenziare come il richiamo contenuto nell'art.9 del testo unico sull'immigrazione alla Convenzione di Strasburgo del 1992, non può essere inteso come una ratifica o ordine di esecuzione implicito del capitolo C del trattato, mancando la procedura costituzionale di ratifica e di ordine di esecuzione della convenzione.

Peraltro, la stessa formulazione dell'art.9 del testo unico porta a escludere un diretto riconoscimento del diritto di partecipazione alle elezioni locali riconosciuto ai stranieri titolari di carta di soggiorno. In questo senso, va rilevato che la norma rinvia espressamente ad una futura disciplina della materia, stabilendo espressamente che l'esercizio dell'elettorato dovrà avvenire "quando previsto dall'ordinamento". La norma, quindi, non contiene alcuna disciplina di immediata e diretta attuazione di questo diritto, che viene solo enunciato, ma non regolamentato. In questo senso, va rilevato, come elemento interpretativo, che anche quando si è trattato di dare attuazione alla direttiva dell'Unione Europea 94/80/CE, di riconoscimento del diritto di voto nelle elezioni comunali ai cittadini dell'Unione europea residenti in uno Stato membro, è stata necessaria una specifica legge nazionale di attuazione e di regolamentazione specifica delle modalità di accesso e di esercizio di questo diritto ( con il decreto legislativo n.197\1996) e questo nonostante la direttiva fosse sul punto molto più dettagliata e precisa della Convenzione di Strasburgo del 1992, che enuncia sul punto un principio di carattere generale senza specificare condizioni e modalità di esercizio del diritto di voto, rimessi alla legislazione nazionale degli stati contraenti. Proprio il riferimento al riconoscimento del diritto di voto dei cittadini UE costituisce un ulteriore argomento a sostengo della insufficienza della disposizione di cui all'art.9 del testo unico sull'immigrazione a fondare in concreto il diritto all'elettorato dello straniero regolarmente residente in Italia e titolare di carta di soggiorno.

In conclusione, l'art.9 comma 4 del testo unico sull'immigrazione si inserisce nell'ambito della disciplina dei fenomeni migratori diretta a favorire l'integrazione nel nostro paese degli stranieri regolarmente soggiornanti. In questo senso, il riconoscimento allo straniero dei diritti di partecipazione alla vita pubblica, anche attraverso l'esercizio del diritto di elettorato, attivo e passivo, costituisce uno dei passaggi fondamentali di questo percorso di progressivo riconoscimento dei diritti di cittadinanza. E tuttavia, la norma richiamata non attribuisce direttamente il diritto di voto allo straniero regolarmente residente e titolare della carta di soggiorno, rinviando ad una successiva legge, destinata a dare applicazione a questo principio.

In questo senso va intesa la formulazione dell'art.9, che riconosce la possibilità di partecipare al voto non direttamente, ma "quando previsto dall'ordinamento", oltre alla constatazione della mancata ratifica del capitolo C della Convenzione di Strasburgo del 5 febbraio 1992. Può discutersi se la disciplina specifica del diritto di voto da parte degli stranieri regolarmente residenti in Italia possa essere attuata con legge ordinaria, come appare preferibile, anche alla luce delle modifiche del titolo V della Costituzione intervenute con la legge costituzionale n.3\2001, o se sia necessaria una legge costituzionale, considerando che l'art.48 della Costituzione riconosce questo diritto ai soli cittadini. Ciò che risulta dal diritto positivo è l'assenza di una disciplina specifica diretta a regolamentare il diritto di voto dello straniero, che non può quindi essere ammesso al voto nelle consultazioni elettorali locali. A questo proposito, va rilevato che anche a seguito della modifica del titolo V della Costituzione attuata con la menzionata legge costituzionale n.3\2001, rientra pur sempre nelle competenze statali l'adozione di una disciplina generale di riferimento, per la espressa riserva contenuta nell'art.117 della Costituzione alle materie della immigrazione e alle leggi elettorali di Comuni, Province e Città metropolitane. È quindi evidente che si tratta di una materia sganciata dalle competenze del Comune e della Provincia, non essendo ammissibile che il diritto di voto sia riconosciuto a macchia di leopardo a seconda della decisione del singolo Comune. In questa prospettiva, rientra nelle potestà degli enti locali stabilire forme particolari di partecipazione dello straniero alla vita pubblica, come stabilito in via generale dall'art.2 del testo unico e dal capitolo B della Convenzione di Strasburgo del 5 febbraio 1992, ratificato con l.203\1994, attraverso, ad esempio, l'istituzione di consulte elettive, essendo diverse, e articolate su distinti piani normativi e di competenze, le modalità in cui può attuarsi la partecipazione alla vita pubblica. Discende da questa considerazione l'esclusione di qualsiasi profilo di illegittimità e di discriminatorietà del comportamento dell'ente resistente, trattandosi di comportamento conforme alle leggi vigenti nel nostro ordinamento.

Le considerazioni che precedono portano quindi al rigetto della domanda sotto un duplice profilo, soggettivo, non essendo la ricorrente titolare di carta di soggiorno, mentre l'art.9 del testo unico si riferisce, a proposito della partecipazione alle elezioni locali, ai soli titolari della carta, e oggettivo, per l'impossibilità di fondare un diritto di voto sulla base del diritto vigente.

P.Q.M.

Respinge la domanda per i motivi di cui in narrativa.