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Associazione per gli Studi Giuridici sull'Immigrazione
 
 
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Corte d'Appello di Firenze, ordinanza del 2 luglio 2002

 
est. Pezzuti
 

Nella causa iscritta al numero 281/2001 del ruolo degli affari di volontaria giurisdizione, vertente tra [...] e Azienda Ospedaliera Pisana reclamata e [...] appellata contumace, avente ad oggetto: reclamo in materia di atti di discriminazione, ai sensi del sesto comma dell'articolo 44 del decreto legislativo 25 luglio 1998 n. 286.

Svolgimento del processo

Con ricorso depositato il 21 settembre 2001 [...] esponeva di essere cittadino albanese regolarmente presente in Italia ed in possesso di regolare permesso di soggiorno e di avere frequentato con profitto nell'anno 1998 il corso di qualifica per Operatore Tecnico addetto all'Assistenza presso la scuola per infermieri professionali dell'Azienda Ospedaliera Pisana, conseguendo la relativa attestazione professionale. A seguito della pubblicazione del bando di selezione pubblica per titoli ed esami per la copertura di trentuno posti di Operatore Tecnico addetto all'Assistenza, sul Bollettino Ufficiale della Regione Toscana n. 48 del 29 novembre 2000, aveva presentato tempestiva domanda di ammissione. Con provvedimento n. 519 del 19 marzo 2001 il Direttore Generale dell'Azienda Ospedaliera Pisana aveva tuttavia deliberato la sua esclusione dalla partecipazione alla selezione perché "non in possesso della cittadinanza richiesta". Il [...] aveva allora richiesto la revoca del provvedimento in quanto discriminatorio e il 17 maggio 2001 l'Azienda Ospedaliera Pisana aveva deliberato la sua ammissione alla selezione, con riserva di riesaminare successivamente la sussistenza dei requisiti richiesti per la partecipazione all'esito della procedura concorsuale. Effettuate le prove selettive, l'Azienda Ospedaliera Pisana aveva approvato la graduatoria finale della selezione, nell'ambito della quale il [...] si era collocato all'ottantesimo posto, utile per l'ammissione in servizio, ma con la specifica dizione "da immettere in servizio previa verifica dell'equiparazione fra cittadinanza albanese e quella italiana".

Avverso questo provvedimento aveva quindi proposto ricorso straordinario al Capo della Repubblica, lamentando l'ingiustificata lesione del proprio diritto al lavoro ed il carattere discriminatorio della decisione assunta dall'Azienda Ospedaliera Pisana, ma il Direttore Generale, con provvedimento n. 1411 del 27 luglio 2001, aveva deliberato la sua esclusione dalla selezione, in quanto "non in possesso della cittadinanza italiana o equiparata", ritenuta "requisito essenziale per l'assunzione presso le pubbliche amministrazioni".

Ciò premesso, il [...] affermava che il provvedimento di esclusione dalla selezione era illegittimo perché emesso in violazione del principio di completa equiparazione del cittadini extracomunitari in possesso di regolare permesso di soggiorno ai cittadini italiani e comunitari, stabilito dal secondo comma e terzo comma dell'articolo 2 del decreto legislativo 25 luglio 1998 n. 286, e chiedeva al Tribunale di Pisa di disporne l'annullamento, ordinando all'Azienda Ospedaliera Pisana di procedere alla assunzione, tramite contratto di lavoro individuale alle condizioni di cui al bando di concorso. Il candidato che era stato assunto in luogo del [...], [...], rimaneva contumace, ed invece l'Azienda Ospedaliera Pisana si costituiva ritualmente e sollevava, in via preliminare, eccezione di difetto di giurisdizione del giudice ordinario, mentre nel merito chiedeva la reiezione del ricorso.

Il Tribunale di Pisa, con ordinanza del 25-26 ottobre 2001, respingeva il ricorso e dichiarava interamente compensate tra le parti le spese del processo.

Con ricorso depositato il 6 novembre 2001 il [...] ha proposto reclamo avverso la decisione del Tribunale di Pisa, chiedendo l'annullamento della deliberazione impugnata e le conseguenti statuizioni per l'assunzione in servizio. Si costituiva nuovamente soltanto l'Azienda Ospedaliera Pisana, che riproponeva l'eccezione di difetto di giurisdizione e le stesse contestazioni di merito alla richiesta del ricorrente, ed all'udienza in camera di consiglio del 26 aprile 2002 la Corte di Appello riservava la decisione.

Motivi della decisione

L'Azienda Ospedaliera Pisana ha preliminarmente eccepito il difetto di giurisdizione dell'autorità giudiziaria ordinaria, sostenendo che la controversia era inerente a procedure concorsuali per l'assunzione dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni ed era perciò devoluta alla cognizione del giudice amministrativo. Ritiene in particolare l'appellata che la controversia non ha per oggetto un comportamento discriminatorio dell'Azienda Ospedaliera Pisana, ma è relativa alla sussistenza di un requisito - la cittadinanza italiana o equivalente - necessario ai fini della legittima ammissione alla procedura concorsuale, ed è quindi attinente alla fase procedurale prodromica all'assunzione, caratterizzata dall'emissione di atti amministrativi da parte della pubblica amministrazione. La fattispecie, pertanto, sarebbe disciplinata dal quarto comma dell'articolo 63 del decreto legislativo n. 165 del 2001, secondo cui "restano devolute alla giurisdizione del giudice amministrativo le controversie in materia di procedure concorsuali per l'assunzione dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni".

Peraltro, sostiene l'Azienda Ospedaliera Pisana che, anche se si volesse qualificare la controversia come relativa al diritto del ricorrente all'assunzione, si sarebbe comunque dovuta negare l'esperibilità del ricorso al procedimento previsto dall'articolo 44 del decreto legislativo n. 286 del 1998, stante la competenza funzionale del giudice del lavoro.

L'eccezione non è fondata perché, a parere della Corte, la controversia rientra pienamente nel combinato disposto degli articoli 2 e 44 del decreto legislativo n. 286 del 1998, come dimostra agevolmente una lettura e un'interpretazione coordinata di queste disposizioni.

L'articolo 2, al punto n. 2), dispone che "lo straniero regolarmente soggiornante nel territorio dello Stato gode dei diritti in materia civile attribuiti al cittadino italiano" ed, al punto n. 3), aggiunge che "la Repubblica italiana (...) garantisce a tutti i lavoratori stranieri regolarmente soggiornanti nel suo territorio e alle loro famiglie parità di trattamento e piena uguaglianza di diritti rispetto ai lavoratori italiani". Il successivo articolo 44 specifica poi, al punto n. 1), che "quando il comportamento di un privato o della pubblica amministrazione produce una discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi, il giudice può, su istanza di parte, ordinare la cessazione del comportamento pregiudizievole e adottare ogni altro provvedimento idoneo, secondo le circostanze, a rimuovere gli effetti della discriminazione" e, al punto n. 2), che "la domanda si propone con ricorso depositato, anche personalmente dalla parte, nella cancelleria del pretore del luogo di domicilio dell'istante". Pertanto, al pari dei privati, tutte le volte che il comportamento di una pubblica amministrazione determina una violazione dei diritti in materia civile che sono riconosciuti allo straniero regolarmente soggiornante nel territorio dello Stato, a parità di trattamento e in condizioni di piena uguaglianza di diritti rispetto ai lavoratori italiani, questi può chiedere la cessazione del comportamento pregiudizievole e l'adozione di ogni altro provvedimento idoneo, secondo le circostanze, a rimuovere gli effetti della discriminazione, proponendo la domanda con ricorso depositato, anche personalmente dalla parte, nella cancelleria del pretore del luogo di domicilio dell'istante. Il decreto legislativo n. 286 del 1998 ha quindi introdotto un procedimento speciale per la cessazione di qualsiasi comportamento pregiudizievole dei diritti civili riconosciuti agli stranieri e/o di rimozione degli effetti delle discriminazioni poste in essere sia dai privati che dalle pubbliche amministrazioni. Nella legge non si rinviene alcuna distinzione tra la fase procedurale prodromica all'assunzione e la fase successiva concernente il rapporto di lavoro già instaurato perché la norma, nell'affermare la completa equiparazione tra i cittadini italiani e comunitari a quelli extracomunitari, ma regolarmente soggiornanti nel territorio dello Stato, pone un principio di carattere generale, relativo al diritto al lavoro, che rende illegittima qualsiasi discriminazione, sia nella scelta del dipendente, sia nella disciplina del rapporto lavorativo e, quale rimedio agli eventuali atti o comportamenti illegittimi, prevede il generale rimedio al procedimento speciale contestualmente introdotto.

D'altra parte, è ormai opinione comune che il diritto al lavoro, come gli altri diritti fondamentali previsti dalla carta costituzionale, ha natura di diritto soggettivo perfetto, che va affermato anche per lo straniero, stante l'equiparazione al cittadino italiano o comunitario, poiché non influiscono sulla natura del diritto le limitazioni che la regolamentazione positiva introduce di volta in volta in relazione alle differenze di fatto ritenute rilevanti (cfr., tra le altre: T.A.R. Calabria, sez. Reggio Calabria, 12 marzo 1998, n. 276, in Foro amm. 1998, f. 11-12). L'articolo 44, punto n. 2), del decreto legislativo n. 286 del 1998, ha poi espressamente attribuito la competenza a decidere non al pretore in funzione di giudice del lavoro ma al "pretore del luogo di domicilio dell'istante", cioè all'autorità giudiziaria competente in primo grado con rito ordinario. Naturalmente, a seguito della entrata in vigore, in data 2 giugno 1999, del decreto legislativo 19 febbraio 1998, che ha istituito il giudice unico di primo grado ed ha soppresso l'ufficio pretorile, abrogando l'articolo 8 del codice di procedura civile ed attribuendo al tribunale tutte le cause che non sono di competenza di altro giudice, anche le domande di cessazione e/o rimozione dei comportamenti e/o degli atti discriminatori vanno ora proposte davanti al tribunale.

Passando al merito della controversia, il primo giudice ha ritenuto che il decreto del Presidente della Repubblica 9 maggio 1994 n. 487 ed il successivo regolamento per la disciplina concorsuale del personale dirigenziale del Servizio Sanitario Nazionale, adottato con decreto del Presidente della Repubblica 27 marzo 2001 n. 220, che ad esso si uniforma, i quali prevedono esclusivamente la partecipazione di cittadini italiani o di altri paesi europei, siano perfettamente aderenti alla normativa di accesso al pubblico impiego. Ed invece è ormai principio pacifico che l'articolo 2 del decreto del Presidente della Repubblica 9 maggio 1994 n. 487, nella parte in cui preclude la partecipazione a pubblici concorsi ai cittadini stranieri, non appartenenti cioè allo Stato italiano o a Stati membri dell'Unione Europea, è da ritenere implicitamente abrogato da successive norme intervenute a disciplinare la posizione giuridica dello straniero, quali l'articolo 2 del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998 n. 286 (T.A.R. Liguria, Sez. II, 13 aprile 2001, n. 399, in Foro amm. 2001). Il primo comma dell'articolo 44 di questo decreto legislativo prevede che "quando il comportamento di un privato o della pubblica amministrazione produce una discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi, il giudice può, su istanza di parte, ordinare la cessazione del comportamento pregiudizievole e adottare ogni altro provvedimento idoneo, secondo le circostanze, a rimuovere gli effetti della discriminazione". Il precedente articolo 43 specifica che "costituisce discriminazione ogni comportamento che, direttamente o indirettamente, comporti una distinzione, esclusione, restrizione o preferenza basata sulla razza, il colore, l'ascendenza o l'origine nazionale o etnica (...) e che abbia lo scopo o l'effetto di distruggere o di compromettere il godimento o l'esercizio, in condizioni di parità, dei diritti umani e delle libertà fondamentali in campo politico, economico (...) e in ogni altro settore della vita pubblica". A questa definizione segue una elencazione di comportamenti che devono ritenersi in ogni caso discriminatori e, tra questi, è compresa anche la condotta di "chiunque illegittimamente imponga condizioni più svantaggiose o si rifiuti di fornire l'accesso all'occupazione (...) allo straniero regolarmente soggiornante in Italia soltanto in ragione della sua condizione di straniero (...) o nazionalità".

La lettera della norma non si presta ad alcuna possibilità di equivoco perché il legislatore ha univocamente specificato la natura discriminatoria di qualsiasi "distinzione, esclusione, restrizione o preferenza basata (...) sull'origine nazionale" e certamente il diritto al lavoro, cioè "l'accesso all'occupazione", può essere annoverato tra i "diritti umani fondamentali". E' perciò evidente che, in seguito all'entrata in vigore del decreto legislativo 25 luglio 1998 n. 286, ogni qualvolta la pubblica amministrazione precluda o renda più difficile ai cittadino extracomunitario l'accesso al settore pubblico o la partecipazione ai pubblici concorsi, compromettendo l'esercizio di un diritto fondamentale, esclusivamente per ragioni di cittadinanza, pone in essere una discriminazione che può essere denunciata al giudice per ottenere un provvedimento che la faccia cessare. Questa normativa, che ha esaustivamente ed integralmente disciplinato ex novo la materia, è assolutamente incompatibile con la precedente disciplina dettata dal decreto legislativo n. 487 del 1994, che deve perciò essere ritenuto implicitamente abrogato, secondo il criterio dell'incompatibilità stabilito dall'articolo 15 delle preleggi e stante l'inapplicabilità del principio di specialità previsto dall'articolo 15 del codice penale della deroga, alla norma generale, da parte della norma speciale.

E' noto che, ai fini dell'abrogazione implicita o tacita per incompatibilità tra le nuove norme e le precedenti, secondo il criterio stabilito dall'articolo 15 delle preleggi, perché vi sia incompatibilità tra una nuova legge ed una anteriore occorre che tra i due provvedimenti sussista contraddizione tale da rendere impossibile l'applicazione contemporanea, per cui dall'applicazione e dall'osservanza dell'ultimo derivi necessariamente la disapplicazione e l'inosservanza dell'altro.

Nel caso in esame, la nuova disciplina sull'immigrazione ha chiaramente indicato come discriminatorio il comportamento di "chiunque", e quindi anche della pubblica amministrazione, che "si rifiuti di fornire l'accesso all'occupazione (...) allo straniero regolarmente soggiornante in Italia ragione della sua condizione di straniero (...) o nazionalità".

Ha dunque assicurato ai lavoratori stranieri regolarmente soggiornanti in Italia Io stesso trattamento riservato ai lavoratori italiani, non solo allorché il rapporto sia già instaurato ma anche per quanto concerne l'astratta possibilità di instaurarlo.

La nuova disciplina, pertanto, determinando una perfetta equiparazione, anche ai fini dell'accesso ai pubblici concorsi, tra i cittadini di Stati membri dell'Unione Europea e i cittadini extracomunitari, purché in possesso di regolare permesso di soggiorno in Italia, non può essere applicata contemporaneamente all'articolo 2 del decreto del Presidente della Repubblica n. 487 del 1994, nella parte in cui invece preclude la partecipazione a pubblici concorsi ai cittadini stranieri, non appartenenti cioè allo Stato italiano o a paesi dell'Unione europea, e lo ha implicitamente abrogato.

Ciò posto, appare evidente la svista in cui è incorso il legislatore quando, all'articolo 38 del decreto legislativo 30 marzo 2001 n. 165, ha stabilito che "I (soli) cittadini degli Stati membri dell'Unione europea possono accedere ai posti di lavoro presso le amministrazioni pubbliche che non implicano esercizio diretto o indiretto di pubblici poteri". Questo articolo è meramente riproduttivo, dell'articolo 2 del decreto del Presidente della Repubblica n. 487 del 1994, senza alcuna innovazione al riguardo, e non tiene in alcun conto l'implicita abrogazione dello stesso, che si era venuta a determinare a seguito dell'entrata in vigore del decreto legislativo n. 286 del 1998.

Si tratta di un chiaro difetto di coordinamento tra normative sopravvenute, che ha provocato la mera riproduzione di una norma abrogata, senza alcuna intenzione di riproporne anche i concetti ormai superati dal dibattito politico, che aveva tenuto conto dell'esigenza di consentire anche ai cittadini extracomunitari la possibilità di accedere alla pubblica amministrazione, escludendo qualsiasi discriminazione con i cittadini di Stati appartenenti all'Unione Europea. La piena equiparazione tra cittadino comunitario e cittadino extracomunitario munito di permesso di soggiorno, ai fini del diritto alle pari opportunità in tema di occupazione è stato di recente affermato anche dalla Sesta Sezione del Consiglio di Stato, con l'ordinanza n. 4545 del 31 luglio 2001.

Principio inoltre recepito anche dalla legge delega n. 39 del 2002 che, all'articolo 29, ha richiamato espressamente come norme vigenti di riferimento proprio "gli articoli 43 e 44 del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286".  Con questa legge il governo è stato delegato ad emanare la nuova normativa contro le discriminazioni, assicurando "il rispetto del principio della parità di trattamento fra le persone, garantendo che le differenze di razza od origine etnica non siano causa di discriminazione" e prevedendo "l'applicazione del principio della parità di trattamento senza distinzione di razza o di origine etnica sia nel settore pubblico sia nel settore privato», garantendo in primis pari "condizioni di accesso all'occupazione e al lavoro sia dipendente che autonomo". Del resto, è ius receptum che, in presenza di due norme apparentemente contrapposte, il giudice deve fare sempre ricorso ai criteri ermeneutici fondamentali e deve perciò privilegiare la normativa conforme ai principi costituzionali ed alle normative e direttive comunitarie. E nel caso di specie, l'articolo 38 del decreto legislativo n. 165 del 2000, farebbe sì che la piena equiparazione fra lavoratori italiani e stranieri, precedentemente riconosciuta dall'articolo 2 del decreto legislativo n. 286 del 1998, anche ai fini dei diritto di assunzione, avrebbe un ambito operativo limitato al solo rapporto di lavoro privato e non anche al rapporto con la pubblica amministrazione, ponendo in essere un contrasto privo di valide ragioni per giustificare una riserva a favore dei cittadini italiani e comunitari e in controtendenza anche con l'evoluzione normativa in materia di privatizzazione del rapporto di pubblico impiego.

Inoltre, il diritto al lavoro, quale è disciplinato dall'articolo 4 della carta costituzionale, ha assunto una tale importanza nello sviluppo dei rapporti sociali da non poter mai essere suscettibile di interpretazioni restrittive, che non siano necessitate dal tenore letterale delle disposizioni, ed abbiano invece l'effetto di impedirne o comunque di comprimerne l'esercizio, creando ingiustificate disparità di trattamento esclusivamente sulla base della diversa nazionalità. Tanto che la Corte costituzionale, con la sentenza n. 454 del 30 dicembre 1998 (pubblicata in Riv. dir. internaz. priv. e proc. 1999, 55), ha riconosciuto ai lavoratori extracomunitari che fruiscono di idoneo permesso di soggiorno il godimento di tutti i diritti riconosciuti ai lavoratori italiani, affermando la piena parità di trattamento e la piena uguaglianza di diritti rispetto ai lavoratori italiani. La Direttiva 2000/43/CE del 29 giugno 2000 del Consiglio dell'Unione Europea, infine, stabilisce al punto n. 13 che "Qualsiasi discriminazione diretta o indiretta basata sulla razza o sull'origine etnica dovrebbe essere proibita in tutta la Comunità. Tale divieto di discriminazione dovrebbe applicarsi anche nei confronti dei cittadini dei paesi terzi".

Nel caso in esame non sussiste alcun interesse fondamentale o inderogabile dello Stato o della collettività perché il [...] non possa essere chiamato a ricoprire il posto di Operatore Tecnico addetto all'Assistenza presso l'Azienda Ospedaliera Pisana, avendone i requisiti tecnico professionali ed avendo questi superato la pubblica selezione in condizione di parità con gli altri concorrenti. La deliberazione n. 1411 del 27 luglio 2001, con la quale il Direttore Generale dell'Azienda Ospedaliera Pisana ha stabilito la sua esclusione dalla selezione concorsuale, ha pertanto prodotto una discriminazione illegittima e, ai sensi del primo comma dell'articolo 44 del decreto legislativo n. 286 del 1998, deve essere disapplicata dalla Corte.

La particolare natura della controversia ed il contrasto tra le disposizioni che si sono succedute nel tempo giustificano l'integrale compensazione delle spese processuali tra le parti.

P.Q.M.

La Corte di Appello, in riforma dell'ordinanza del 25-26 ottobre 2001 del Tribunale di Pisa, accoglie il reclamo proposto da [...] per la causale di cui in parte motiva e, per l'effetto, dichiara l'illegittimità della deliberazione n. 1411 del 27 luglio 2001, con la quale il Direttore Generale dell'Azienda Ospedaliera Pisana ha stabilito la sua esclusione dalla graduatoria per la selezione per la copertura di trentuno posti di Operatore Tecnico addetto all'Assistenza, il cui bando è stato pubblicato sul Bollettino Ufficiale della Regione Toscana n. 48 del 29 novembre 2000. Dichiara interamente compensate tra le parti le spese processuali.