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Associazione per gli Studi Giuridici sull'Immigrazione
 
 
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Tribunale di Verona, sentenza del 20 giugno 2002, n. 372

 
est. Angeletti
 
Svolgimento del processo

Con ricorso depositato il 19 settembre 2001 e ritualmente notificato, la ricorrente adiva il giudice per ottenere la restituzione dei contributi versati all'Inps dai suoi datori di lavoro, nel corso della permanenza nel territorio italiano. A tal fine evidenziava che aveva definitivamente lasciato l'Italia il 3.6.1999 ed aveva provveduto a restituire il permesso di soggiorno ed il libretto di lavoro. Si costituiva ritualmente l'Istituto evidenziando l'infondatezza della domanda. All'udienza fissata per la discussione, la causa veniva decisa ex art. 429 comma 1 c.p.c.

Motivi della decisione

La decisione della presente causa passa attraverso l'esame del disposto di cui all'art. 3 comma 13 della legge 335 del 1995 (abrogato e fatto proprio con identica formulazione dall'art. 22 comma 11 del d.lgs. 286/98) il quale al secondo periodo testualmente stabilisce: "I lavoratori extracomunitari che abbiano cessato l'attività lavorativa in Italia e lascino il territorio nazionale hanno facoltà di richiedere, nei casi in cui la materia non sia regolata da convenzioni internazionali, la liquidazione dei contributi che risultino versati in loro favore presso forme di previdenza obbligatoria maggiorati del 5 per cento annuo". Ritiene questo giudice che l'espressione della norma sia chiara nel richiedere quale unico requisito l'abbandono del territorio italiano che, nel caso di specie, è pacifico, dibattendosi semmai sull'inesistenza dell'ulteriore requisito, considerato dall'Istituto necessario, del ritorno in Patria. In realtà, nè in virtù di un'interpretazione letterale, nè attraverso un'interpretazione sistematica, appare ragionevole secondo il giudicante subordinare la restituzione dei contributi versati al ritorno nel paese di origine. La norma esaminata subordina espressamente il diritto di ottenere la liquidazione dei contributi unicamente alla condizione che i lavoratori "abbiano cessato l'attività lavorativa in Italia e lascino il territorio nazionale" e parrebbe arbitrario introdurre un ulteriore - restrittivo - requisito, chiaramente non previsto dalla disposizione riportata. Sostiene l'Inps che l'ulteriore requisito sarebbe stato introdotto dall'art. 22 comma 11 del d.lgs. 286/1998. Tale disposizione disciplina in effetti due distinte ipotesi: il caso del lavoratore extracomunitario che rimpatri ed il caso del lavoratore che invece si limiti al lasciare il territorio nazionale: nella prima ipotesi il lavoratore "conserva i diritti previdenziali e di sicurezza sociale maturati e può goderne indipendentemente da un accordo di reciprocità", nella seconda ipotesi invece ha semplicemente il diritto, di cui già si è detto, di ottenere la liquidazione dei contributi versati a suo favore. La previsione distinta delle due diverse ipotesi, il rimpatrio da un lato e l'abbandono del territorio nazionale dall'altro, e la disciplina di effetti differenziati in ciascuna di essi, conferma anche attraverso un'interpretazione sistematica, che ove il rimpatrio rappresenti un requisito necessario, la sua previsione risulta espressamente, mentre qualora esso non sia indicato non occorre verificarne la sussistenza ai fini della corresponsione del beneficio. Del resto, se anche nella seconda ipotesi fosse implicitamente necessario il rimpatrio, la norma assumerebbe un significato contraddittorio, perché farebbe conseguire a due situazioni identiche, il rimpatrio e l'abbandono seguito dal rimpatrio, effetti giuridici diversi.

Infine, in merito all'osservazione, correttamente svolta dall'Istituto, secondo cui il disposto in esame non opererebbe in presenza di convenzioni internazionali di diverso tenore, occorre aggiungere che non risultano convenzioni ratificate che regolino la materia previdenziale disciplinata dalle nonne nazionali indicate.

Per le ragioni esposte la domanda svolta dalla ricorrente deve essere accolta e stante la soccombenza della convenuta, la stessa deve essere condannata al pagamento delle spese di lite, liquidate d'ufficio.

P.Q.M.

definitivamente decidendo, ogni contraria istanza disattesa, visti gli art. 3 comma 13 della legge 335/1995, 22 comma 11 d.lgs 286/1998, condanna l'Inps in persona del legale rappresentante pro tempore a liquidare alla ricorrente i contributi versati, maggiorati del 5% annuo; condanna I'Inps al pagamento delle spese di lite[...].