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Associazione per gli Studi Giuridici sull'Immigrazione
 
 
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Tribunale di Alessandria, decreto del 16 aprile 2003

 
est. Gandini
 

Il Giudice letto il ricorso depositato in Cancelleria il 1 aprile 2003 da [...], meglio generalizzato in atti, [...]; visto il provvedimento del Presidente del Tribunale a mezzo il quale questo giudicante veniva delegato a conoscere del presente procedimento; a scioglimento della riserva di cui all'udienza del 9 aprile 2003; ha pronunciato il seguente decreto. Nel procedimento di opposizione intentato nei confronti della convenuta Prefettura della Provincia di Alessandria in persona del Prefetto pro tempore avverso il decreto di espulsione con contestuale accompagnamento coattivo alla frontiera [...] ed il conseguente provvedimento di notifica dello stesso del Questore della Provincia di Alessandria, entrambi emessi in data 31 marzo 2003 nei confronti del cittadino rumeno [...].

Ritenuto in fatto

Il ricorrente, cittadino extracomunitario, irregolare in quanto sprovvisto di permesso di soggiorno, risulta aver prestato il proprio lavoro alle dipendenze della Società "TGL Srl" [...]. In data il settembre 2002, il suo datore di lavoro presentava alla Prefettura - U.T.G. di Alessandria dichiarazione per la legalizzazione del lavoro irregolare ai sensi e per gli effetti del Decreto Legge 9 settembre 2002, n. 195, convertito in legge 9 ottobre 2002, n. 222.

Il ricorrente ed il datore di lavoro ricevevano quindi dalla Prefettura - U.T.G. di Alessandria invito a presentarsi, per la stipula del contratto di soggiorno per lavoro e per il rilascio del conseguente permesso di soggiorno, per il giorno 31 marzo 2003; in tale data, i convocati essendosi presentati, il Giurgiuveanu veniva invece prelevato e condotto da agenti della Polizia di Stato in Questura per accertamenti.

Successivamente, informati i difensori, si veniva a conoscenza dell'imminente espulsione con accompagnamento coattivo alla frontiera dello straniero stesso, senza però che nessuno, a detta del ricorrente, informasse circa la ragioni del provvedimento che colà si veniva nei suoi confronti ad adottare; in ragione di tanto, quindi, i nominati difensori, onde scongiurare l'esecuzione dell'espulsione in pendenza del procedimento che intendevano promuovere ex art. 13, comma 8, 13 bis d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 e successive modifiche, diffidavano formalmente la Questura dall'eseguire l'espulsione stessa in assenza di convalida dell'autorità giudiziaria, non conseguendo però il risultato in quanto il Giurgiuveanu, il giorno 1 aprile 2003, ormai giunto in Romania, solo allora riusciva ad inviare ai propri difensori copia del provvedimento nei suoi confronti adottato.

Come per legge, infine, con provvedimento del 3 aprile 2003, il Tribunale di Alessandria, in termini comunicato del decreto di espulsione con accompagnamento alla frontiera a mezzo della Forza Pubblica ed investito in ordine alla sua convalida, "Rilevato che in favore della persona di cui in precedenza, come da espressa menzione nel decreto del Prefetto della Provincia di Alessandria, risulta l'esistenza di datore di lavoro il quale ha presentato istanza di emersione-legalizzazione ai sensi e per gli effetti di cui alle leggi 189/02 e 222/02, e che la suddetta domanda è stata rigettata con provvedimento Prefettizio del 31 marzo 2003. Constatato che agli atti nessuna contezza a questo ufficio è pervenuta circa tale istanza e tantomeno agli atti è stato allegato il provvedimento, peraltro contestuale al decreto di espulsione e sua notifica, di rigetto della stessa; atteso che onere di allegazione dei fatti posti a fondamento di quanto richiesto risulta per principio fondamentale apposto alla parte richiedente; constata altresì, per i motivi di cui sopra, la mancanza dell'allegazione medesima; P.Q.M.; Visto l'art. 13 comma 5 bis d.lgs. 286/1998 e successive modifiche" rigettava l'istanza di convalida di accompagnamento alla frontiera eseguito in capo al Giurgiuveanu Constantin in quanto carente di prova in ordine alla sussistenza dei presupposti normativamente previsti.

Solo in seguito, come da documentazione in copia fotostatica esibita e prodotta dalla difesa del ricorrente all'udienza del 9 aprile 2003, il datore di lavoro veniva, in data 3 aprile 2003, raggiunto da raccomandata A.R. della Prefettura - U.T.G. di Alessandria, indirizzata al solo Giurgiuveanu, a mezzo la quale si comunicava il decreto Prefettizio di rigetto dell'istanza di regolarizzazione suo tempo presentata a motivo di non meglio specificato provvedimento di espulsione eseguito in data 10 luglio 2002 (come da ulteriore documentazione in copia prodotta risultando in effetti provvedimento di respingimento alla frontiera adottato dalla Polizia di frontiera, settore di Trieste, valico stradale di Fernetti in quanto il [...] versante "nelle altre condizioni previste dall'art. 4, comma 6, del d.lgs. 286 del 25 luglio 1998").

Tutte le circostanze sin qui dedotte risultando agli atti in esito alle produzioni documentali di parte ricorrente.

Ritenuto in diritto

Il primo motivo di doglianza sollevato dal ricorrente è fondato ed il ricorso deve pertanto essere accolto.

Il decreto legge 9 settembre 2002, n. 195, modificato in sede di conversione da legge 9 ottobre 2002, n. 222, all'art. 2, comma 1, espressamente statuisce che "fino alla data di conclusione della procedura di cui all'articolo 1, non possono essere adottati provvedimenti di allontanamento dal territorio nazionale nei confronti dei lavoratori compresi nella dichiarazione di cui allo stesso articolo, salvo che risultino pericolosi per la sicurezza dello Stato". La disposizione testè rammentata giustamente deve essere posta in relazione con la norma di cui all'art. 2 legge 7 agosto 1990, n. 241. In tal senso, ed a prescindere dai rilevanti riflessi della disposizione in questione sul problema inerente la potestà della P.A. di adempiere al proprio dovere provvedimentale oltre lo spirare dei termini normativamente previsti (si pensi alle circolari intervenute in materia già all'indomani dell'entrata in vigore della legge n. 241) in ordine all'ancor più spinoso problema della sua incidenza sul cd. silenzio-rifiuto inteso quale fictio juris per qualificare il comportamento omissivo della P.A. come provvedimento di diniego impugnabile davanti gli organi proposti al controllo di legittimità degli atti della P.A. stessa, vi è da sottolineare come nella fattispecie che occupa la presente decisione perfettamente applicabile sia, sotto ogni profilo, il disposto di cui all'art. 2 legge 241/1990.

Invero differenti sono le classificazioni operabili in ordine ai provvedimenti amministrativi: in base ai soggetti (atti semplici, collegiali, complessi); in base alla causa (categoria più controversa mutuata dal concetto civilistico stesso di "causa" e portante alla configurazione di nozioni a tal punto vaste da residuare scarso il loro contributo sistematico, si pensi alla figura degli atti a tutela dell'economia nazionale, potenzialmente ricomprendenti provvedimenti di controllo dei prezzi, di carattere valutario, d'incentivazione, etc...); in base al contenuto (provvedimenti che "ampliano" la sfera giuridica dell'interessato - autorizzazioni, concessioni, atti dottrinalmente cd. "intermedi" alle stesse - e provvedimenti che "restringono" la sfera giuridica dell'interessato medesimo - ordini, sanzioni, "provvedimenti ablatori").

Sol che si consideri, sotto differente angolo visuale, le posizioni giuridiche dei soggetti destinatari dei provvedimenti da ultimo citati, si evince come pregnante sia, non solo a livello teorico ma anche pratico, la distinzione degli atti amministrativi a seconda del loro contenuto come riverberante i suoi effetti sui mezzi di tutela approntati dall'ordinamento in favore dei soggetti "passivi": diritto soggettivo da un lato, interesse legittimo dall'altro, precipuamente articolato nelle, pur controverse in dottrina, figure derivate del "diritto in attesa di espansione" e del "diritto affievolito".

Ora: se sulla scorta dei principi generali testé succintamente posti in evidenza si viene a leggere la situazione giuridica "complessa" sottesa alle disposizioni oggi da applicarsi alla concreta fattispecie per cui è processo, ne deriva (e tenuto conto che si verte in tema di diritti soggettivi cui sono però applicabili le strutture proprie, del diritto amministrativo) che il, decreto Prefettizio di espulsione, si può agevolmente ricondurre alla categoria degli atti amministrativi in grado, senza dubbio, di restringere la sfera giuridica del soggetto destinatario (tipico rapporto tra potere e soggezione); ma se tale è l'effetto finale del procedimento amministrativo riguardante la posizione dello straniero extracomunitario in territorio nazionale, risulta evidente che il pregresso provvedimento di rigetto dell'istanza di emersione del lavoro irregolare, viceversa inquadrabile dogmaticamente nella categoria degli atti in grado di ampliare la sfera giuridica del soggetto destinatario (tipico rapporto tra aspettativa e potere), quale atto prodromico all'espulsione non può non ricondursi egualmente all'effetto finale dal procedimento amministrativo "complesso" conseguito (con tutto ciò che concerne in punto di doverosa conclusione dello stesso, conoscenza da parte del destinatario dei risultati, congrua motivazione).

Pertanto ne consegue la perfetta riconducibilità dell'art. 2, comma 1, d.lgs. 195/2002, convertito in legge 222/2002 all'art. 2, comma 1, legge 241/1990, ove si sancisce come doveroso il compimento della procedura relativa all'evasione dell'istanza di emersione del lavoro irregolare preliminarmente a qualsiasi provvedimento di allontanamento dello straniero extracomunitario dal territorio nazionale.

In altre parole: il testo di legge altro non fa che tradurre positivamente il principio di diritto formulato dalla legge 241 in materia di legalizzazione del lavoro irregolare così da venire ad escludere recisamente la valenza di un eventuale silenzio-rigetto da parte della pubblica amministrazione in ordine all'istanza di regolarizzazione medesima, togliendo qualsivoglia dubbio avesse dovuto sorgere in relazione al carattere "ampliativo" del provvedimento di accoglimento dell'istanza di regolarizzazione e rapportandolo al carattere "restrittivo" del provvedimento conclusivo dell'intero iter amministrativo concludentesi nell'espulsione. E questo, vieppiù, in relazione al fatto che al primo atto non può riconoscersi qualità di mero atto intermedio del procedimento amministrativo stesso nella sua globalità inteso (e a prescindere dalla complessa problematica della rilevanza esterna degli "atti intermedi"), bensì valenza esterna conclusiva di un procedimento differente ma collegato teleologicamente al successivo procedimento di espulsione che, nella loro confluenza all'unico risultato, vengono a costituire un procedimento, appunto, "complesso".

Sulla scorta delle considerazioni tutte sin qui eseguite, si deve pertanto affermare che per conclusione del procedimento amministrativo di cui all'art. 1 legge 222/2002 deve a sua volta intendersi il momento in cui il procedimento (pur "perfetto") si esplica in un atto capace di dispiegare i suoi effetti. Ed il momento di perfezione e di spiegamento degli effetti possono peraltro non coincidere qualora, come nel caso all'attenzione della presente decisione, l'atto de quo abbia carattere recettizio, così da divenire efficace in quanto ritualmente comunicato alla parte interessata.

Dalla documentazione in atti, al contrario, non sussiste piena prova in ordine all'effettiva comunicazione del provvedimento di diniego anteriormente alla notifica del provvedimento di espulsione: non solo perché tale atto presupposto non risulta essere stato comunicato all'interessato per sua stessa dichiarazione, ma anche perché lo stesso non è allegato al fascicolo comunicato al tribunale all'atto della richiesta di convalida dell'accompagnamento coattivo alla frontiera e oltremodo risulta invece notificato in data posteriore all'espulsione (3 aprile 2003) al lavoratore presso il di lui datore di lavoro, con procedura che (prescindendo dalla necessità di due distinte comunicazioni al lavoratore e al datore) non si potrebbe spiegare se non in relazione alla mancata notifica del provvedimento de qua agli interessati nel tempo debito, ovverosia anteriormente all'adozione dei provvedimenti stessi di allontanamento del cittadino extracomunitario dal territorio nazionale.

Sulle circostanze dedotte, d'altronde, parte convenuta ben avrebbe potuto argomentare a dimostrazione del contrario, apportando le prove delle intervenute regolari comunicazioni; la stessa però restando assente al procedimento intentato innanzi questo ufficio, e dovendosi riconfermare anche in questa sede il principio processuale di allegazione dei fatti ad opera delle parti, altro dovere non lascia al giudicante che decidere sulla scorta di quanto precedentemente appurato.

Questo essendo il chiaro quadro normativo all'interno del quale l'odierna fattispecie deve essere ricompresa, devesi altresì esaminare il differente profilo dell'onere motivazionale esistente in capo alla P.A. quale profilo di ulteriore illegittimità dell'espulsione del Giurgiuveanu.

L'art. 3 della legge 241 prescrive difatti che "ogni provvedimento amministrativo deve essere motivato" e che "la motivazione deve indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che determinano la decisione dell'amministrazione, in relazione alle risultanze dell'istruttoria".

Oltre a permettere o agevolare il sindacato ed il controllo dell'operato della P.A., la motivazione serve infatti come strumento ermeneutico dell'atto amministrativo e come estrinsecazione, sul piano dell'azione amministrativa, del principio costituzionale (art. 97 Cost.) di imparzialità e buon andamento. Allorquando è preceduto da una complessa serie procedimentale il provvedimento deve pertanto contenere, in modo succinto e intellegibile, i presupposti che la norma richiede, i risultati dell'istruttoria compiuta, la valutazione comparativa degli interessi, il fine che si intende perseguire con l'atto medesimo.

La legge 241 traducendo positivamente i principi appena evidenziati, ha provveduto a stabilire sia gli atti per i quali la motivazione è necessaria, sia ciò che essa deve indicare. Ed il novero degli atti stessi che la legge impone come da motivarsi è assai ampio, sostanzialmente restandone esclusi, la ratio appare evidente, gli atti normativi e quelli a contenuto generale.

Come acutamente attenta dottrina peraltro pone in luce, si deve sottolineare che lo schema di disegno di legge predisposto dalla Commissione Nigro (sottocommissione di studio operante nell'ambito della commissione per la delegificazione e per la semplificazione dei rapporti fra stato e cittadini, costituita presso la Presidenza del consiglio dei ministri) non esigeva la motivazione per gli atti non pregiudizievoli nei confronti dei destinatari.

L'adunanza generale del Consiglio di Stato, nel parere n. 7187 del 17 gennaio 1987, criticò però tale impostazione, adducendo due rilievi: in primo luogo poiché la motivazione è garanzia di verifica di legittimità sia in sede contenziosa che di controllo amministrativo; in secondo luogo perché atta a garantire la partecipazione al procedimento anche da parte di soggetti non titolari di posizioni sostanziali tutelate dall'ordinamento, sia rendendo trasparenti le scelte dell'amministrazione, sia permettendo l'accesso a documenti amministrativi da parte di ogni cittadino.

E le considerazioni qui svolte altro significato non possono avere, ragionando "a contrario", che quello di avvalorare la tesi di cui supra in ordine alla necessaria conclusione del procedimento di rigetto avverso l'istanza di emersione del lavoro irregolare con provvedimento esplicito (come preteso dalla legge), in quanto non solo nel caso di specie si verte in tema di diritti soggettivi (ed il principio "lavorista" addirittura è posto a cardine dell'ordinamento sociale e giuridico italiano dall'art. 1 Cost.), ma anche perché qualora si consentisse la vieta fictio juris del silenzio-rigetta, l'onere di motivazione sarebbe totalmente frustrato assieme alle finalità cui lo stesso è preposto.

Ma nella fattispecie che occupa oggi questo ufficio, inoltre, si somma un'altra serie di problematiche, in quanto il provvedimento di espulsione qui impugnato risulta bensì motivato, ma con riferimento al provvedimento, appunto, di rigetto dell'istanza di regolarizzazione più volte menzionata, configurando pertanto una forma di motivazione ob relationem.

Questa specifica forma motiva non è tralasciata dalla legge 241/1990, in quanto al suo art. 3, comma 3 precipuamente è dato leggere che "se le ragioni della decisione risultano da altro atto dell'amministrazione richiamato dalla decisione stessa, insieme alla comunicazione di quest'ultima deve essere indicato e reso disponibile, a norma della presente legge, anche l'atto cui essa si richiama", e va da sé che il richiamo. oltreché ad un atto intermedio del procedimento, può essere riferito ad un atto finale, o a sua volta intermedio, di un procedimento diverso, purché, lo si ripete, sia a sua volta esternato e reso conoscibile.

Da questo però deriva che se l'atto costitutivo della fattispecie seriale è motivato incongruamente (come oggi appare: il successivamente notificato provvedimento di rigetto di regolarizzazione essendo motivato con riferimento ad un precedente decreto di espulsione anziché, come correttamente dovevasi fare, ad un precedente provvedimento di respingimento alla frontiera), le ragioni che lo sorreggono possono essere ricercate in qualsiasi altro atto del procedimento, sempreché quelle ragioni tra loro non risultino contraddittorie. Non interessa, in altre parole ed in ultima analisi, conoscere i motivi che la P.A. ha esternato nel provvedimento finale, ma piuttosto conoscere che cosa il provvedimento ha voluto e compiuto: di qui la necessità di ripercorrere l'intero procedimento in quanto "conta ciò che si è fatto e non tanto ciò che si e dichiarato di voler fare".

Ne derivano due ordini di considerazioni: in primo luogo, lo si ripete, che la mancata allegazione del provvedimento non solo consente di ritenere, per le ragioni supra poste in evidenza, come concluso il procedimento amministrativo relativo alla regolarizzazione del lavoro irregolare, ma anche consente di ritenere il provvedimento di espulsione privo di adeguata motivazione e pertanto afflitto da vizio di violazione di legge (così meglio configurato rispetto al vizio di eccesso di potere) in relazione al combinato disposto di cui all'art. 3, commi 1 e 3, legge 7 agosto 1990, n. 241; in secondo luogo che del tutto ininfluente risulta viceversa: l'erronea indicazione nel provvedimento di rigetto dell'istanza di regolarizzazione (successivamente notificata) di un precedente decreto di espulsione anziché del precedente atto di respingimento alla frontiera.

In effetti, dalla documentazione a questo ufficio pervenuta e per le ragioni poco sopra esposte, appare comunque congruo a motivare il rigetto dell'istanza di regolarizzazione l'atto di respingimento medesimo (ex art. 1, comma 8, lett. b), legge 222, esplicitamente sancente l'inapplicabilità della "sanatoria" del lavoro irregolare al cittadino extracomunitario che risulti segnalato, anche in base ad accordi o convenzioni internazionali in vigore in Italia, ai fini della non ammissione nel territorio dello Stato, perfettamente ricalcante il disposto di cui all'art. 4, comma 6, ultima parte, d.lgs. 286/1998 ed espressamente richiamato nel provvedimento di respingimento alla frontiera del 10 luglio 2000 al Giurgiuveanu applicato), qualora ovviamente, regolarmente accluso al primo e debitamente portato a conoscenza del destinatario in forma, a sua volta, di motivazione ob relationem.

In definitiva, si deve quindi concludere per l'accoglimento del presente ricorso in quanto il decreto del prefetto della provincia di Alessandria Cat. A.11/03/Str. emesso in data 31 marzo 2003 nei confronti del cittadino rumeno Giurgiuveanu Constantin (pur in prospettiva fondato nel merito, qualora allo stesso fossero stati allegati i documenti presupposti di rigetto della regolarizzazione del lavoro, di respingimento e, anche, di segnalazione rilevante ex art. 4, comma 6, ultima parte, d.lgs. 286/1998), risulta per motivi procedurali illegittimo per violazione di legge accertatane la sua emanazione in carenza di motivazione ed in violazione delle norme procedurali stesse previste e pretese dall'art. 2, comma 1, d.lgs. 195/2002 come convertito con modifiche in legge 222/2002.

Stante l'accoglimento del primo motivo di doglianza dedotto dal ricorrente, ne risulta per gli effetti essere assorbito il subordinato secondo motivo.

Trattandosi di procedimento di giurisdizione volontaria, nel quale si viene a vertere in materia di diritti soggettivi ed è configurabile una vera e propria soccombenza, si reputa equo compensare le spese di procedura tra parte attrice e resistente.

P.Q.M.

Visti gli artt. 13, comma 2, comma 8, 13 bis d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286; 737 e ss. c.p.c., dichiara in accoglimento dell'opposizione proposta, l'annullamento e di conseguenza la cessazione di ogni efficacia del provvedimento Cat. A./11/03/Str., e di ogni altro provvedimento conseguenziale, emesso in data 31 marzo 2003 dal Prefetto della Provincia di Alessandria nei confronti del cittadino rumeno [...] in quanto illegittimo per violazione di legge, compensando tra le parti le spese di lite.