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Associazione per gli Studi Giuridici sull'Immigrazione
 
 
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Tribunale di Pordenone, decreto del 13 agosto 2003

 
est. Velletti
 
Premesso

che con ricorso depositato in data 30.7.2003, [...] ha chiesto in via preliminare la sospensione dell'efficacia dell'atto impugnato, e nel merito l'annullamento del decreto di espulsione emesso nei suoi confronti dal Prefetto della provincia di  Pordenone in data 18.8.1995. [...].

La domanda di regolarizzazione è stata rigettata per essere il ricorrente "stato accompagnato in frontiera a seguito dell'espulsione emessa in data 18.8.1995 dalla prefettura di Pordenone, fatto ostativo alla regolarizzazione ai sensi dell'art. 1, comma 8, lett. A), del d.l. 195/2002 convertito in l. n. 222/20002". A tale provvedimento è seguito l'accompagnamento del Sig. [...] presso il Centro di Permanenza Temporanea "Brunelleschi" di Torino. In sede di convalida del trattenimento il Giudice del Tribunale di Torino, non ha convalidato tale provvedimento sul presupposto dell'illegittimità del decreto di espulsione emesso il 18.8.1995, poiché tale atto risultava tradotto in lingua inglese "laddove in sede di convalida è emerso che lo straniero non conosce la lingua inglese e con difficoltà comprende e parla la lingua italiana, il che a maggior ragione deve intendersi alla data di notifica del decreto di espulsione, adottato pochi giorni dopo l'ingesso nel territorio dello Stato". [...].

Aderendo all'orientamento già espresso, in punto di diritto, da questo tribunale (cfr. decreto del tribunale di Pordenone 30.5.2000,  al quale si rimanda), il decreto di espulsione è stato sospeso in considerazione della sussistenza dei requisiti del fumus boni iuris quanto alla fondatezza del ricorso, per essere stato l'atto impugnato emesso in una lingua sconosciuta al ricorrente, e del periculum in mora stante il pregiudizio potenzialmente derivabile all'istante in caso di esecuzione del provvedimento di espulsione nelle more del giudizio.

In via preliminare, deve essere analizzata l'eccezione di difetto di giurisdizione sollevata dall'amministrazione resistente. L'art. 5 l. n. 39/90, al comma 3, stabiliva la competenza del tribunale amministrativo regionale in caso di impugnazione di provvedimenti di espulsione dal territorio dello Stato. Secondo le norme attualmente in vigore, art. 13 comma 8, l. n. 286/1998 come modificato dalla l. n. 189/2002, "avverso il decreto di espulsione può essere presentato unicamente il ricorso al tribunale in composizione monocratica del luogo in cui ha sede l'autorità che ha disposto l'espulsione". L'apparente conflitto tra le due norme deve essere risolto applicando l'art. 5 c.p.c., secondo il quale la giurisdizione e la competenza si determinano con riguardo alla legge vigente (ed allo stato di fatto esistente) al momento della proposizione della domanda. Pertanto, poiché il ricorso è stato presentato nel vigore della legge n. 286/1998 come modificata dalla legge del 2002, sarà questa la norma applicabile, secondo la quale la giurisdizione per l'impugnazione della espulsione è devoluta al giudice ordinario.

Quanto all'eccezione di incompetenza territoriale, nessuna norma del d. lgs. n. 286/1998, come modificato dalla legge n. 189/2002, attribuisce la competenza a decidere sulla legittimità del decreto di espulsione, al tribunale in composizione monocratica chiamato a decidere ex art. 14, della citata legge, sulla convalida del provvedimento del questore di trattenimento presso un Centro di permanenza temporanea. Né tale competenza può ricavarsi, come evidenziato in udienza dal rappresentante dell'autorità convenuta, dalla lettura dell'art. 13 bis, d.lgs. n. 286/1998 laddove attribuisce all'autorità che ha emesso il decreto di espulsione la facoltà di stare in giudizio anche nel procedimento di convalida del provvedimento di "trattenimento". Ratio di tale norma va ravvisata, infatti, nella facoltà concessa all'amministrazione di perorare le proprie ragioni a sostegno della validità del decreto di espulsione, atto, che in molti casi, come in quello analizzato in questa sede, è presupposto della validità del provvedimento, e non nella volontà da parte del legislatore di attribuire una competenza specifica in capo a tale giudice. Infatti ai sensi dell'art. 13 comma 8, d.lgs. n. 286/1998, competente a giudicare dei ricorsi avverso il decreto di espulsione è il Giudice del luogo in cui ha sede l'autorità che ha disposto l'espulsione , nella specie il tribunale di Pordenone .

Preliminare all'esame nel merito dei motivi di ricorso è la valutazione della tempestività del ricorso. Il citato comma 8 dell'art. 13, stabilisce, infatti come termine per l'impugnazione sessanta giorni dalla data del provvedimento di espulsione. Il ricorrente ha chiesto la remissione in termini, rilevando che la tardività dell'impugnativa è da ravvisare nella mancata conoscenza del contenuto dell'atto, a causa delle lingue utilizzate nella stesura dello stesso, (italiano con traduzione in lingua inglese) entrambe sconosciute al ricorrente. Tale censura è fondata in quanto la mancata intelligibilità del contenuto dell'atto e pertanto dei termini di impugnativa risulta valido motivo per la remissione in termini della parte. Dagli atti risulta che il ricorrente ha avuto modo di conoscere l'effettivo contenuto del provvedimento di espulsione, emesso il 18.8.1995, soltanto a seguito del rigetto di domanda di regolarizzazione, della emissione di provvedimento di trattenimento e della conseguente udienza di convalida, fatti a accaduti tra il 14 ed il 16 luglio del 2003. La presentazione della domanda il 30.7.2003, impone di ritenere tempestivo il ricorso poiché proposto entro 60 giorni dalla conoscenza del suo contenuto.

Venendo all'esame del merito, il decreto di espulsione impugnato deve essere annullato. L'univoca giurisprudenza di legittimità (per tutte cfr. Cass. Sez. I, sent. n. 9138 del 6.7.2001) e di merito (cfr. il richiamato decreto di questo tribunale), cui si intende aderite, ha ritenuto che l'art. 13 comma 7 d.lgs. n. 286/1998, prevede l'obbligo per l'autorità amministrativa di comunicare l'atto di espulsione e le modalità di sua impugnazione in una lingua conosciuta dallo straniero e sole ove ciò non sia possibile in una lingua "veicolare" (inglese, francese, spagnolo). Nel caso di specie, è risultato che il ricorrente non conosceva, all'epoca della notifica del decreto di espulsione, né la lingua italiana né la lingua inglese, come si evince dalla lettura del verbale dell'udienza di convalida del provvedimento di "trattenimento. Né l'Amministrazione, sulla quale grava l'onere della prova, ha dimostrato il contrario. Infondata è peraltro l'eccezione formulata dall'amministrazione resistente della necessità di interpretare la validità ed i requisiti di legittimità dell'atto sulla base della legge n. 39/90, normativa nel cui vigore è stato emanato il provvedimento di espulsione oggi impugnato. Se, infatti, è indubbiamente fondato il richiamo a tale norma, perché se per quanto riguarda gli aspetti processuali è alla disciplina attuale che occorre riferirsi, per quanto invece riguarda la validità dell'atto occorre richiamare la legge vigente all'epoca della sua emanazione, non si possono condividere le conclusioni interpretative formulate da parte resistente. L'art. 5 della l. n. 39/1990 infatti prevedeva al comma 1: "L'autorità emanante i provvedimenti concernenti l'ingresso, il soggiorno, e l'espulsione degli stranieri deve comunicare o notificare all'interessato l'atto che lo riguarda unitamente all'indicazione delle modalità di impugnazione e ad una traduzione in lingua da lui conosciuta, ovvero, ove non sia possibile in lingua francese, inglese e spagnola". Pertanto, anche tale norma prevedeva solo come eventualità residuale la traduzione in una delle tre lingue richiamate. Infine, a sostegno della tesi dell'amministrazione non può neppure invocarsi l'interpretazione di tale norma fornita dai giudici amministrativi (competenti a quel tempo in ordine all'impugnazione dei decreti di espulsione) che ritenevano sufficiente la traduzione in lingua "universale". Infatti, la traduzione del provvedimento in lingua intelligibile alla parte che ne è la destinataria, non trova il suo fondamento esclusivamente nella norma citata ma anche nei sovraordinati principi costituzionali a garanzia del diritto di difesa, sul punto è sufficiente richiamare le pronunce della Corte Costituzionale citate anche da parte ricorrente (sent. n. 2278 del 22.6.2000), e pertanto una lettura costituzionalmente orientata della disposizione imponeva di richiedere la traduzione dell'atto in lingua comprensibile anche nel vigore della l. n. 39/1990. Infine, dalla lettura del provvedimento impugnato emerge che la Prefettura non ha dato atto delle ragioni che abbiano impedito la traduzione in una lingua comprensibile dal ricorrente. "Ritiene il giudice che tale omissione comporti un vizio della motivazione dell'atto, poiché, secondo l'unanime consenso di dottrina e giurisprudenza, l'autorità amministrativa ha l'obbligo di illustrare, nei suoi provvedimenti, le ragioni fattuali e giuridiche costituenti l'iter logico che sorregge di volta in volta le scelte amministrative. Se tale dovere vale, ex art. 3 legge 241/90, per gli atti di esercizio di poteri discrezionali, a fronte dei quali gli interessati vantano interessi legittimi, a maggior ragione esso ricorre allorché si verta in materia di diritti soggettivi, come nella fattispecie" (decreto tribunale di Pordenone, cit.).

La complessità delle questioni affrontate giustifica la compensazione delle spese di lite.

P.Q.M.

in accoglimento del ricorso proposto da [...] il 30.7.2003, annulla il decreto di espulsione emesso nei confronti del ricorrente dal prefetto di Pordenone in data 18.8.1995 e notificato in pari data. Spese compensate.