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Associazione per gli Studi Giuridici sull'Immigrazione
 
 
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Tribunale di Rimini, sentenza del 13 settembre 2003

 
rel. Talia
 

Nel processo penale contro [...], nato il 12.3.1970 a [...] (Senegal), di fatto in Rimini s.f.d; alias [...], nato [...] (Senegal); [...], arrestato 8.7.03 - rilasciato 8.7.03. Libero - presente. Imputato per il reato p. e p. dall'art. 14 comma 5 ter d.lgs. 286/98 così come modificato dalla legge 189/2002, perché colpito da decreto di espulsione del Prefetto di Rimini emesso il 6.12.2002 e notificato in pari data, e da ordine di lasciare il territorio dello Stato entro cinque giorni, emesso dal questore di Rimini in data 6.12.2002 e notificato in pari data, con invito a presentarsi alla frontiera per l'allontanamento definitivo dal territorio nazionale, violava tale ordine e si tratteneva nel territorio dello Stato senza giustificato motivo. Con la recidiva specifica di cui all'art. 99 c.p. (...).

La sera del 7 luglio 2003 [...], sedicente, già noto agli agenti operanti, veniva sorpreso in Rimini ed arrestato ai sensi dell'art. 14 quinquies t.u. 286/98 quale contravventore all'ordine di allontanamento emesso, in esecuzione del decreto del Prefetto di Rimini del 6.12.2002, dal questore di Rimini in pari data. Condotto davanti al giudice a norma dell'art. 558 c.p.p., subito dopo la convalida dell' arresto il procedimento era rinviato, su richiesta di termine a difesa, all'udienza del 15 luglio 2003 in apertura della quale il difensore munito di procura speciale, formulava richiesta di giudizio abbreviato. Il giudice disponeva la prosecuzione secondo tale rito e l'acquisizione del fascicolo del pubblico ministero. All'esito le parti concludevano entrambe con richiesta di assoluzione.

Nei confronti di [...] era pronunziata, il 6 dicembre 2002, sentenza di applicazione di pena per la contravvenzione di cui all'art. 14, comma 5 ter d.lgs. 286/98 con riferimento a decreto prefettizio di espulsione in data 30.10.2001 emesso nei confronti della medesima persona fisica sotto le generalità Diene Bassirou nato il 2.4.68, e relativo ordine di allontanamento per intimazione emesso dal questore di Rimini il 27.11.2002 ai sensi dell'art. 14, comma 5 bis (rif. certificato del casellario e decreto del prefetto in data 6.12.2002). Il medesimo giorno 6 dicembre 2002 il prefetto di Rimini, evidenziate le circostanze di fatto sopra richiamate ed indicata quale fonte dei suoi poteri la disposizione di cui all'art. 14 comma 5 ter e quater d.lgs. 286/98 decretava (nuovamente) l'espulsione del prevenuto. Con provvedimento in pari data il questore, in esecuzione del nuovo decreto di espulsione, verificata l'indisponibilità tanto di un vettore quanto di un posto in un Centro di permanenza temporanea e assistenza (c.p.t.a.); dato atto del nulla osta dell'autorità giudiziaria; richiamati gli art. 14, commi 5 bis e ter d.lgs. citato, reiterava l'ordine di allontanamento per intimazione di cu all'art. 5 bis.

Mbacke Souhaibou viene quindi chiamato per la seconda volta a rispondere della contravvenzione di cui all'art. 14 comma 5 ter d.lgs. 286/98 sotto il profilo dell'essersi trattenuto (rectius dell'avere continuato a trattenersi, stante la natura permanente del reato) nel territorio dello Stato senza giustificato motivo in violazione (anche) di tale (seconda) intimazione.

Si pone per l'interprete la questione di diritto della legittimità di provvedimenti di allontanamento "a catena", adottati, in difetto di ogni elemento di novità (tali non potendosi considerare l'arresto e la sentenza di primo grado in quanto già previsti nella schema normativo ), in ottemperanza del disposto di cui all'art. 14, comma 5 ter, e della influenza di tale previsione sulla schema tipico della contravvenzione ascritta.

La disposizione citata disciplina in unico contesto tanto la condotta integrante gli estremi della fattispecie di reato quanto il comportamento che la pubblica amministrazione è tenuta ad adottare subito dopo la conclusione del giudizio direttissimo. Recita infatti il comma 5 ter: "Lo straniero che senza giustificato motivo si trattiene nel territorio dello Stato in violazione dell'ordine impartito dal questore ai sensi del comma 5 bis è punito con l'arresto da sei mesi ad un anno. In tale caso si procede a nuova espulsione con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica."

L'ultima parte del comma 5 quinquies prevede poi che "al fine di assicurare l'esecuzione dell'espulsione, il questore può disporre i provvedimenti di cui al comma 1 del presente articolo", ossia il trattenimento dello straniero presso il Centro di permanenza temporanea e assistenza più vicino. Alla luce del dato letterale si evince innanzitutto che il legislatore ha previsto un comportamento della pubblica amministrazione, e segnatamente una ben determinata modalità esecutiva (si procede, e non già si "provvede"), ponendolo come doveroso e non meramente facoltativo (l'uso dell'indicativo, in assenza di verbo ausiliare "può") ed indicando, per il caso di difficoltà esecutive, lo specifico rimedio di cui all'art. 14, comma l, senza peraltro operare alcun rinvio al comma 5 bis, fonte per il Questore della facoltà di opzione per l'ordine di allontanamento per intimazione.

Corollario alla prima considerazione, la superfluità di un nuovo decreto prefettizio, adottato nella prassi da numerose prefetture che valorizzano viceversa l'utilizzo dell'espressione "nuova espulsione", che sembra invece far riferimento, nella previsione in esame, all'uscita materiale dall'ambito territoriale dello Stato. Sotto un profilo penalistico l'adozione di tale nuovo decreto, che ha nella sostanza natura di atto reiterativo dell'originario provvedimento prefettizio - idonea a ingenerare non pochi problemi sul diverso versante civilistico (per la possibile, e già verificatasi proposizione di ricorso ex art. 13 t.u. e l'allegazione di sopravvenienze rispetto a situazioni già consolidate) - e gli eventuali vizi allo stesso afferenti ad esempio in materia di notifica e traduzione in lingua alloglotta) saranno di regola irrilevanti, in applicazione del principio "utile per inutile non vitiatur".

Dalle ulteriori osservazioni discende poi l'osservazione di cogenza, nella situazione di fatto data come presupposta (straniero inottemperante all'intimazione, arrestato e processato per direttissima), della modalità esecutiva indicata dal legislatore. Tale scelta si pone peraltro in piena convergenza con il sistema, quale introdotto dalla novella 189/2002, e con la voluntas legis, di perseguire l'effettività di esecuzione dei provvedimenti di espulsione nell'ambito di una scelta progettuale di gradazione delle sanzioni. Da un lato sono state infatti introdotte, con carattere di novità, la immediata esecutività del decreto di espulsione (art. 13.3) e la regola dell'accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica (art. 13.4), prevedendosi quale eccezione l'espulsione per intimazione (regola generale nel sistema antecedente) e si è previsto appunto in caso di violazione quale modalità obbligatoria l'accompagnamento a mezzo della forza pubblica (in linea con scelte già adottate nelle materie analoghe di cui all'art. 151 t.u.l.p.s. previgente e 2 l. 1423/56). Dall'altro non si evidenzia dai lavori preparatori alcuna volontà di introduzione di nuovi istituti che sanzionino penalmente, eventualmente tramite meccanismi indiretti, la condizione di clandestinità e di presenza irregolare sul territorio dello Stato in quanto tale.

Particolare valenza, in tale ottica, assume l'inserimento, addirittura all'interno della norma che pone il precetto, della indicazione del comportamento dovuto dalla pubblica amministrazione (all'esito del giudizio direttissimo e della ineludibile liberazione dello straniero arrestato), pur non previsto quale pena accessoria o sanzione amministrativa.

Si ritiene pertanto, anche alla luce di un'interpretazione costituzionalmente orientata (che diversamente opinando si porrebbero seri dubbi sia con riferimento alla tipicità dell'illecito che al limite di pena astrattamente comminabile, stante la reiterabilità, a distanza temporale mediamente di sette giorni, di arresti e condanne per una condotta rimasta immutata nella sostanza), che tale elemento, quand'anche in forza di una costruzione strutturale inusuale in quanto concernente un post factum, entri a far parte della tipicità della fattispecie contravvenzionale con riferimento all'eventuale (di certo non imprevedibile) protrazione della condotta inottemperante, nell'ipotesi in cui la forza pubblica abbia omesso, per qualsiasi motivo, l'adozione dei provvedimenti dovuti (si veda, per un orientamento giurisprudenziale sotto molti profili analogo, Trib. Foggia, 4.11.2002, che evidenzia "la rigida sequenza procedimentale quanto ai provvedimenti adottabili dal questore", in Diritto, immigrazione e cittadinanza, n. 1/2003, pag. 156 ss.).

Se si considera infatti che l'ordine di allontanamento per intimazione consiste nell'ordine di "presentarsi presso una frontiera per essere espulso", e che, secondo il sistema vigente, in caso di indigenza, le spese per il viaggio si considerano formalmente anticipate dall'ufficio della questura che tale ordine ha emesso, rimane di tutta evidenza che il problema attiene all'esatta identificazione, con regolari documenti, della persona che deve essere coattivamente allontanata: infatti quand'anche si tratti, come è la regola, di persona sedicente, la stessa ha comunque dichiarato le generalità e l'appartenenza ad un determinato Stato estero recepite nel provvedimento prefettizio di espulsione. Il trattenimento presso il C.P.T.A. ha infatti, quale scopo primario, proprio quello di consentire detta identificazione, eventualmente grazie all'ausilio delle competenti rappresentanze diplomatiche o consolari presso le cui sedi lo straniero potrà essere accompagnato sempre a mezzo della forza pubblica (si veda, sul punto l'art. 14, comma 1, d.lgs. citato, nonché l'art. 21, comma 5 del Regolamento di attuazione di cui al d.p.r. 31 agosto 1999, n. 394).

Qualora il questore competente all'esecuzione dell'allontanamento non possa eseguire immediatamente l'accompagnamento a mezzo della forza pubblica, ovvero non vi sia disponibilità di posti presso un CPTA, si verifica una situazione di oggettiva (ed incolpevole) impossibilità di adempimento, da parte dell'Amministrazione, a un onere impostole dalla legge. Poiché in detta ipotesi non è normativamente previsto il potere di reiterazione della misura esecutiva eccezionale dell'ordine di allontanamento per intimazione, consegue il verificarsi di una situazione che, con valutazione ex ante in astratto, da un lato ben potrebbe di regola rientrare tra le ipotesi di inadempimento incolpevole (si pensi ai casi, non infrequenti, in cui l'extracomunitario espulso produca una fotocopia di un documento asseritamente smarrito o sottratto, ovvero alleghi il precedente rilascio di un permesso di soggiorno da anni revocato o scaduto), dall'altro potrebbe essere sanato con l'ausilio, oneroso, della pubblica amministrazione che non solo non è in condizione di fornirlo ma neppure ha predisposto alcun sistema di priorità per l'accettazione nei centri di permanenza temporanea e, ancor meno, è organizzata sulla base di protocolli uguali per tutti con le diverse rappresentanze estere. Si ritiene pertanto che, tramite il particolare sistema delineato dal legislatore quale modalità esecutiva cogente, si sia in realtà prevista ex ante ed in astratto, per il caso di impossibilità di esecuzione da parte della forza pubblica, una particolare situazione di "giustificato motivo" conforme a principi di eguaglianza e ragionevolezza, preclusiva di un assoggettamento a pena, tendenzialmente all'infinito, di una condotta di mera inottemperanza ad un (unico) provvedimento di espulsione nella sostanza identica.

L'imputato andrà pertanto assolto dalla contravvenzione ascritta perché il fatto non costituisce reato. Si rileva infine, ad abundantiam, che il fatto non integra gli estremi della diversa fattispecie delittuosa di cui all'art. 14, comma 5 quater, per difetto del presupposto dell'espulsione materiale "ai sensi del comma 5 ter".

P.Q.M.

visti gli artt. 442, 530 c.p.p. assolve [...] dal reato ascritto perché il fatto non costituisce reato. [...].