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Associazione per gli Studi Giuridici sull'Immigrazione
 
 
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Tribunale di Nuoro, decreto del 28 novembre 2003

 
est. Cazzato
 

Il giudice letto il ricorso tempestivamente presentato il 25.11.2003 da [...], cittadino nigeriano, avverso il decreto di espulsione amministrativa, disposto nei suoi confronti in data 24.11.2003 dal Prefetto di Nuoro osserva quanto segue.

a)[...] ha eccepito preliminarmente l'inefficacia del suddetto decreto, allegando la violazione dell'art. 13, c. 7, d.lgs. 25 luglio 1998 n, 286, per non essere stato tradotto in una lingua da lui conosciuta;

L'amministrazione resistente ha dedotto la piena sussistenza dei presupposti di forma e di merito per la emissione del provvedimento impugnato, concludendo per il rigetto del ricorso;

L'eccezione di parte ricorrente, per i motivi di seguito indicati, non può essere accolta.

L'art. 13 c. 7 d.lgs. 286/1998 prevede la comunicazione del decreto di espulsione all'interessato unitamente ad una traduzione "in lingua a lui conosciuta, ovvero, ove non sia possibile, in lingua francese, inglese o spagnola".

Nel caso di specie il decreto impugnato risulta emesso esclusivamente in lingua italiana, mentre la relata di notifica, attestata l'impossibilità di rintracciare un interprete della lingua del paese di origine del ricorrente e la conoscenza della lingua italiana da parte di Ukachukwu, reca una completa traduzione in lingua inglese;

Per quanto riguarda la conoscenza della lingua italiana, attestata in sede di notifica del decreto impugnato, non vi sono elementi, neppure indiziari, tali da fornire un'adeguata prova in merito. Tuttavia il decreto di espulsione non è stato notificato solo in italiano, ma è stato tradotto in inglese e detta traduzione ha riportato pressochè per intero il contenuto del medesimo.

Bisogna altresì considerare che l'inglese è lingua ufficiale della Repubblica federale di Nigeria e che tale elemento, estremamente sintomatico, ad avviso di chi scrive, sembra far presumere - in difetto di emergenze contrarie - che il ricorrente parli e comprenda in maniera adeguata l'inglese (la lingua cioè con cui nel suo paese di origine si esprimono tra loro gli interlocutori di etnie diverse, i mass media, le pubbliche autorità).

D'altra parte, la premessa giustificativa dell'impossibilità di procedere ad una traduzione in lingua nigeriana (rectius, uno dei molteplici idiomi usati in Nigeria) rappresenterebbe comunque, secondo la maggior parte dei commentatori, un esempio paradigmatico di impossibilità, non imputabile che giustifica la traduzione in una delle tre lingue europee più diffuse.

Dal riconoscimento anche allo straniero, a prescindere dalla legittimità o meno del suo soggiorno nel territorio dello Stato, del pieno esercizio del diritto di difesa (sancito dall'art. 24 della cost. e tutelato altresì sia dall'art. 13 del Patto internazionale sui diritti civili e politici, stipulato a New York il 19 dicembre 1966, ratificato e reso esecutivo in Italia con la legge 25.10.77, n. 881, sia dall'art. 1 del Protocollo n. 7 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, adottato a Strasburgo il 22 dicembre 1984, ratificato e reso esecutivo con la legge 9 aprile 1990, n. 98) discende che qualsiasi atto proveniente dalla pubblica amministrazione, diretto ad influire nella sfera giuridica dello straniero, debba essere concretamente conoscibile da questi e quindi anche il decreto di espulsione. Tale provvedimento deve essere redatto anche nella lingua del destinatario ovvero, se non sia possibile, in una di quelle lingue che - per essere le più diffuse - si possono ritenere presumibilmente più accessibili al destinatario, dando atto che a tali principi si è conformato il legislatore nell'art. 13, comma 7, del d.lgs. 286/98 (Corte cost., sentenza 16.6.2000 n. 198).

Deve ritenersi che, per i motivi sopra esposti, Ukachukwu, sia stato posto nella possibilità di comprendere il provvedimento a lui notificato. La preliminare eccezione d'inefficacia del decreto di espulsione deve essere quindi rigettata.

b) Per quanto riguarda il secondo motivo di impugnativa dedotto dal ricorrente, esso deve ritenersi fondato per i motivi di seguito indicati.

[...], è, infatti, titolare, cosi come affermato dallo stesso Prefetto nel suo provvedimento, di valido documento d'identificazione (passaporto rilasciato dallo Stato nigeriano il 1.3.1994) e di permesso di soggiorno scaduto il 15.3.2002. L'espulsione è stata emanata sulla base del combinato disposto degli art. 4, c. 3 e 13, c. 2 lett. b) d.lgs. 286/98: il ricorrente si è trattenuto nel territorio dello Stato con permesso di soggiorno scaduto da più di sessanta giorni. In tali ipotesi l'art. 13 c. 2 lett. b) devono consistere "nell'intimazione a lasciare il territorio dello Stato entro il termine di quindici giorni". Viene prevista la possibilità di disporre l'accompagnamento coattivo alla frontiera solo laddove il prefetto rilevi il concreto pericolo che lo straniero si sottragga all'esecuzione del provvedimento. Nel caso di specie il prefetto non ha addotto nel proprio provvedimento alcun motivo di concreto pericolo, anzi sul punto il provvedimento risulta carente di motivazione.

Non può ritenersi sufficiente la condanna, ormai espiata, per il reato di associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti. Infatti, tale profilo riveste una sua rilevanza per quanto riguarda l'art. 4 c. 3 d.lgs. 286/98 e quindi, come ragione ostativa alla concessione del visto d'ingresso e non come elemento di pericolo, che in ogni modo, sarebbe comunque astratto. La norma è infatti chiara nel momento in cui richiede un concreto pericolo e, quindi, non una mera oggettivazione e presunzione dello stesso, ma l'allegazione di elementi dai quali desumersi la concretezza dello stesso.

c) In relazione al terzo motivo d'impugnativa, esso non appare fondato in quanto il provvedimento del Questore, disponendo il trattenimento presso il centro di permanenza temporanea, ha sufficientemente motivato in merito, riferendosi all'indisponibilità del vettore, causa prevista specificatamente all'art. 14 c. 1 d.lgs. 286/98.

d) Con riferimento al quarto motivo d'impugnativa, occorre considerare che il decreto di espulsione si fonda sull'art. 13 c. 2 lett. b) d.lgs. 286/98, e quindi non sulla lett. c), non è quindi richiesto, ai fini della sua emanazione, l'accertamento del requisito della pericolosità sociale dello straniero, ma è sufficiente la mancata richiesta di rinnovo del permesso di soggiorno.

e) In riferimento al quinto motivo d'impugnativa bisogna tener conto che il combinato disposto dell'art. 4 c. 3, 13 c. 2 lett. b) comporta l'espulsione nei confronti di chi non abbia rinnovato il permesso di soggiorno entro 60 giorni dal giorno in cui è scaduto ed il divieto di concedere visto d'ingresso e, conseguentemente, ex art. 5 c. 5 d.lgs. 286/98, permesso di soggiorno, a chi risulti condannato per i reati previsti dall'art. 380 c. 1 e c. 2 c.p.c. ovvero per i reati concernenti gli stupefacenti. Il legislatore non ha previsto l'esame della pericolosità sociale dello straniero, ma ha collegato automaticamente alla condanna per determinati reati il divieto di entrare - e quindi di permanere - sul territorio dello stato. Non è conferente il richiamo del difensore del ricorrente alla sentenza della Corte Costituzionale 58/95 in quanto la corte aveva deciso, nel caso di specie, sull'illegittimità dell'art. 86 d.p.r. 309/1990 nella parte in cui non prevedeva l'accertamento da parte del giudice della pericolosità ai fini dell'emissione dell'espulsione. Si trattava, infatti, non dell'espulsione amministrativa oggetto del presente giudizio, ma dell'espulsione penale, qualificata da dottrina e giurisprudenza dominante quale misura di sicurezza e, come tale, soggetta ai principi in materia, tra i quali l'accertamento della pericolosità.

Relativamente alla circolare del Ministero dell'interno 300/C del 9.9.2003, prodotta in oggi dal difensore del ricorrente, essa indica la necessità di procedere ad un accertamento della pericolosità nel caso di richiesta di rinnovo del permesso di soggiorno. Nel caso di specie non vi è stata la richiesta da parte del ricorrente di rinnovo del permesso di soggiorno, già scaduto da più di un anno, con rigetto da parte della P.A. e conseguente impugnativa. Vi è stato, invece, un decreto di espulsione fondato sul potere di respingimento dell'amministrazione in presenza di condanna per determinati reati: circostanza, questa, che, come indicato dalla stessa circolare, è caratterizzata da automatismo e perentorietà.

f) Parte ricorrente ha meramente asserito il pericolo di essere sottoposto a trattamenti degradanti, nonché l'applicazione della pena di morte nel paese d'origine, non ha però giustificato per quale motivo Ukachukwu dovrebbe essere assoggettato nel suo paese di origine a pena per un reato commesso in Italia e per il quale vi è già stata espiazione. Non appare, dunque, possibile - in parte de qua - provvedere alla convalida del provvedimento di cui alle premesse.

Tenuto conto della soccombenza reciproca, nonché del fatto che l'amministrazione resistente è stata in giudizio avvalendosi di funzionario appositamente delegato, non risultando dagli atti che essa abbia dovuto sostenere esborsi di alcun tipo, sussistono giusti motivi per compensare le spese tra le parti.

Visto l'art. 13 d.lgs. 286/98,

P.Q.M.

Non convalida il decreto di espulsione amministrativo emesso dal Prefetto di Nuoro in data 24.11.2003 relativo a [...], nella sola parte in cui si dispone che l'esecuzione del medesimo provvedimento debba avvenire mediante accompagnamento alla frontiera dell'interessato a mezzo della forza pubblica e non, invece, mediante intimazione allo stesso a lasciare il territorio dello Stato entro il termine di 15 giorni e ad osservare le prescrizioni per il viaggio e per la presentazione all'ufficio di polizia di frontiera, convalida per il resto, compensa tra le parti le spese di causa.