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Associazione per gli Studi Giuridici sull'Immigrazione
 
 
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Tribunale di Torino, ordinanza del 18 ottobre 2003

 
est. Rispoli
 

Il Giudice, nello scioglimento della riserva assunta nel procedimento n. 1934/00; letti gli atti di causa,

osserva

Va premesso che il procedimento trae origine da riassunzione a seguito di rinvio per accoglimento di ricorso proposto dalla ricorrente contro il rigetto del ricorso originariamente presentato avverso il decreto di espulsione emesso ai sensi dell'art. 13, 2 comma, lett. c) d.lgs 286/98: in particolare la Corte ha stabilito che il controllo giurisdizionale - le volte in cui lo straniero lo solleciti in sede di opposizione alla adottata misura espulsiva - debba essere condotto alla stregua degli stessi criteri che il giudice applica le volte in cui venga in rilevo una proposta di applicazione di una misura di prevenzione.

Il provvedimento impugnato si fonda sull'appartenenza della Halivovic ad una delle categorie di cui all'art. 1 della legge 1423/56, a sua volta desunta dall'essere stata la stessa deferita all'A.G. per reati contro il patrimonio (ed in particolare condannata per furto aggravato ed estorsione per cui era stata tratta in arresto in data 17.7.1991) unitamente all'assenza di attività lavorativa in regola con la normativa di settore, considerati quali sintomi di probabile sostentamento tratto da proventi illeciti. Al riguardo giova premettere che, seppure deve ritenersi, nella considerazione del tipo di atto, pienamente legittima una motivazione sintetica del provvedimento, limitata alla mera elencazione dei presupposti rilevanti per la valutazione, è necessario che da essa si traggano gli elementi che posti in correlazione tra loro, conducano ad un giudizio di pericolosità sociale. Ma soprattutto, nel momento in cui sorge contestazione circa l'operato dell'Amministrazione, spetta alla stessa fornire la prova di aver attentamente riscontrato e valutato ogni singolo elemento posto a base della decisione. In proposito va posto in rilievo come requisito di legittimità essenziale dell'operato amministrativo sia costituito dalla sua idoneità a soddisfare un interesse pubblico che si presenti come attuale al momento dell'emanazione dell'atto autoritativo, il che si traduce nella necessità del riscontro della persistenza e della valenza dei fattori giustificativi (elementi di fatto posti a base del giudizio di pericolosità sociale) dell'esercizio del potere. Nel caso di specie ciò significa che rappresenta onere dell'amministrazione verificare la consistenza delle informazioni ricevute e lo sviluppo dei procedimenti penali: la giustificatività dei precedenti penali postula infatti una verifica che abbracci un ragionevole lasso di tempo, esteso anche all'epoca prossima al provvedimento. Nel caso di specie l'amministrazione, pur specificando attraverso le note fatte pervenire in udienza le singole segnalazioni poste a base della decisione (indagata per furto in data 15.7.1991, indagata per reati contro la famiglia in data 5.8.1994, arrestata per furto in data 2.3.1995, indagata per utilizzo di minori o incapaci per commettere reati e per furto in data 16.5.1995, indagata per contrabbando in data 13.7.1996) nulla ha dedotto in ordine alla evoluzione degli stessi: se è vero che gli esiti dei procedimenti penali non appaiono decisivi per la valutazione della pericolosità sociale, valendo come meri sintomi - che pertanto devono accompagnarsi ad altre circostanze - di una condotta di vita, è pur vero che la specifica evoluzione che gli stessi hanno avuto può assumere, in concreto, diverso valore, determinando la necessità di un maggiore approfondimento da parte dell'amministrazione in ipotesi, come nel caso di specie, della relativa risalenza dei fatti indicati nel decreto, tutti salvo il primo, verificatosi nel 1991 - indicati come allo stadio di indagini preliminari - ed alla circostanza che la ricorrente, nonostante un periodo di "clandestinità", avesse ottenuto il premesso di soggiorno e tentato successivamente di ottenerne il rinnovo e poi comunque di regolarizzare la propria posizione. Anche il peso ponderale dell'assenza di attività lavorativa avrebbe dovuto costituire oggetto di maggiore attenzione, potendo con evidenza essere giustificata dal ruolo svolto dalla ricorrente nell'ambito della famiglia e della comunità nomade in cui ha vissuto ed in particolare dall'essere ella coniugata con soggetto responsabile del mantenimento della famiglia.

Per quanto sopra il decreto deve ritenersi illegittimo ed il ricorso accolto. Preso atto della necessità di provvedere in ordine alle spese, anche del giudizio di legittimità, ritiene questo giudice doversi applicare il principio della soccombenza, e condannare pertanto l'amministrazione alla rifusione delle stesse a favore della ricorrente, nella misura di cui al dispositivo.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso annullando il decreto di espulsione emesso dal Prefetto di Torino in data 13.6.2000 nei confronti di [...]. Condanna il Ministero dell'Interno alla rifusione a favore della ricorrente delle spese del giudizio di legittimità [...].