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Associazione per gli Studi Giuridici sull'Immigrazione
 
 
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Tribunale di Firenze, sentenza del 17 dicembre 2003, n. 47

 
est. Gatta
 

[...] A scioglimento della riserva di cui al verbale di udienza del 26 novembre 2003;

rilevato che vi è giurisdizione di questa a.g.o. sull'accertamento del riconoscimento dello status di rifugiato (cfr. Cass. sez. un. 17.12.1999, n. 907, in regime antecedente alla conferma di cui all'art. 1 ter del d.l. 30.12.1989 n. 416, convertito in legge con modificazioni, con l. 28 febbraio 1990, n. 39 e come aggiunto dall'art. 32, comma 1, l. 30 luglio 2002, n. 189);

rilevata altresì la competenza per territorio di questo tribunale, essendo la ricorrente domiciliata in Pontedera (PI) e dovendosi, trattandosi nella specie di questione di Status, stabilire la competenza in relazione al luogo di domicilio del ricorrente; secondo la norma del fondo erariale, di cui all'art. 25 c.p.c., e pertanto competente questo Tribunale, essendo parte del procedimento un'amministrazione dello Stato;

rilevato altresì che;

la Commissione centrale per il riconoscimento dello status di rifugiato, sez. III, nella seduta del 16.l0.2002, ha emanato la decisione n. 109995-3-2002 con la quale non ha riconosciuto lo status di rifugiato alla ricorrente, cittadina eritrea;

la decisione della Commissione Centrale è così motivata: "- ritenuto che la ricerca di migliore occupazione lavorativa deve ritenersi prevalente e assorbente rispetto agli altri moventi cui va ricondotto l'espatrio, conferendo a quest'ultimo carattere di emigrazione ad aspetto prettamente economico; - ritenuto che alla luce del mutato contesto politico realizzatosi nel suo Paese, le argomentazioni adottate devono essere considerate, oltre che superate e non più attuali, non riconducibili alle previsioni di cui alla Convenzione di Ginevra 28.7.1951;

- considerato che, in ordine al ritardo tra l'ingresso in Italia e la presentazione della domanda, non vengono fornite giustificazioni plausibili e che la richiesta di riconoscimento dello status di rifugiato riveste carattere strumentale essendo stata prodotta al fine di poter prolungare, in assenza di altre opportunità, il soggiorno in Italia in attesa della decisione della Commissione Centrale; decide di non riconoscere lo status di rifugiato;

rilevato che la ricorrente ha contestato il provvedimento della suddetta Commissione:

- per violazione dell'art. 2, del d.p.r. 136/90 in relazione alla irregolare composizione della Commissione;

- per violazione degli art. 2, comma 6, e 13, comma 7, d.lgs. 286/98 per essere stato il provvedimento impugnato redatto in italiano e non nella lingua madre della ricorrente (nella specie: tigrino), ovvero, ove ciò fosse stato impossibile, in inglese, francese o spagnolo, secondo la preferenza indicata dall'interessata;

- per l'erronea valutazione circa la sussistenza del proprio status di persona rifugiata:

osserva: l'art. 2 del d.p.r .15.5.1990, n. 136 così recita: "La Commissione centrale per il riconoscimento dello status di rifugiato (...) è presieduta da un prefetto ed è composta da un funzionario dirigente in servizio presso la Presidenza del consiglio dei ministri, da un funzionario del Ministero degli affari esteri con qualifica non inferiore a consigliere di legazione, da due funzionari del Ministero dell'interno; di cui uno appartenente al Dipartimento della pubblica sicurezza ed uno alla Direzione generale dei servizi civili, con qualifica non inferiore a primo dirigente o equiparata. Alle riunione della Commissione partecipa, con funzioni consultive, un rappresentante del Delegato in Italia dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati";

nel caso di specie la ricorrente non ha espressamente lamentato che l'atto della commissione sia stato pronunciato da un organo collegiale irregolarmente composto, per difetto nel numero dei suoi componenti, ma soltanto che non vi sia stata coincidenza fra il componente della stessa, il relatore, che ha svolto, monocraticamente, l'attività istruttoria - come risulta dai verbali - e l'organo che ha emanato la decisione finale - la cui collegialità, pur nella mancata ostensione del nome e della qualifica dei componenti, può comunque desumersi dalla sottoscrizione del provvedimento sia da parte del relatore che da parte del presidente; il che tuttavia non comporta che vi sia stata irregolarità della deliberazione; tenuto da un lato conto che l'art. 2, comma 4, d.p.r. cit. prevede che il consiglio di presidenza della Commissione fissa le direttive e i criteri di massima per le attività delle sezioni e dall'altro che, il ruolo attribuito al rappresentante Acnur è soltanto di natura consultiva;

in ordine all'asserita violazione degli artt. 2, comma 6, e 13, comma 7, d.lgs. 286/98, questo Tribunale osserva che la traduzione in lingua del provvedimento riguardante l'interessata è funzionale all'esercizio del diritto di difesa da parte di quest'ultima; non avendo la ricorrente dato dimostrazione che detta mancata traduzione abbia in concreto impedito l'esercizio di detto diritto (non essendo peraltro la ricorrente incorsa in alcuna decadenza) la doglianza va rigettata;

nel merito la ricorrente ha dichiarato:

- che pur essendo cittadina eritrea, è vissuta per molti anni in Etiopia ove la sua famiglia è vissuta per vari periodi seguendo i trasferimenti lavorativi del padre;

- che dal 1999, è vissuta a Gibuti con il timore di essere reclutata per il servizio militare in parte perché conosceva la sorte delle donne nei campi militari eritrei, in parte perché non desiderava prestare servizio per il governo eritreo, del quale avversava la politica autoritaria e antidemocratica;

che dopo lo scoppio della guerra fra Eritrea ed Etiopia nel 1998, le autorità etiopiche avevano avviato una sistematica opera di imprigionamento e deportazione dei cittadini eritrei; che in quel periodo il padre e la sorella della ricorrente erano stati arrestati, perché il primo appartenuto alla comunità eritrea e la seconda per non aver svolto il servizio militare in Eritrea;

- che, temendo di essere costretta a tornare  in Eritrea come stava accadendo via via a tutti i suoi compatrioti e come poi era effettivamente successo alla sua famiglia, ha deciso di scappare;

- di avversare profondamente il regime repressivo del suo governo, sapendo che in Eritrea significava per lei essere arrestata e costretta a svolgere il servizio militare; che nel suo paese ella era infatti considerata un'oppositrice politica, non essendosi presentata dopo aver ricevuto la lettera di reclutamento di cui si è più sopra dato atto;

- che conoscendo delle disumane condizioni che sono riservate nelle prigioni eritree agli oppositori politici e a coloro che comunque hanno manifestato il loro dissenso verso il governo nonché le altrettanto pari condizioni cui sono costrette le donne nei campi militari eritrei, nel 1999 essa ricorrente è fuggita dall'Etiopia riuscendo ad arrivare a Gibuti;

- di essere vissuta per circa due anni a Gibuti, temendo continuamente di essere rimpatriata in Eritrea dal governo etiopico, le cui autorità., utilizzando abitualmente il porto della città di Gibuti, potevano in ogni momento trovarla e rimpatriarla così come avevano fatto con molti suoi compatrioti;

- che nell'estate del 2001 essa ricorrente, pagando 2000 dollari, è riuscita ad imbarcarsi su una nave diretta in Turchia, da dove, dopo una sosta di circa due settimane, ha ripreso il viaggio e il 27 settembre 2001 è sbarcata sulle coste calabresi, vicino a Crotone;

- di essere, in Italia, divenuta membro del p.d.f.l.e. - sagem (peoples democratic front for the liberation of Eritrea), organizzazione che combatte contro il regime eritreo assieme alle organizzazioni di opposizioni eritree, nell'ambito dell'a.e.n.f. (Alliance of Eritrean National Forces);

- di temere di essere perseguitata, ove faccia ritorno in Eritrea, a causa delle sue opinioni politiche, della sua appartenenza al p.d.f.l.e. - sagem nonché per il fatto di non essersi presentata a fare il servizio militare ed essere fuggita dall'Etiopia e da Gibuti, pur di non far ritorno nel suo Paese, oltrechè per aver presentato in Italia domanda per il riconoscimento dello status di rifugiato, circostanze tutte conosciute dalle autorità eritree che tengono sotto controllo le famiglie rimpatriate dall'Etiopia e quindi sanno bene se una persona appartenente a un nucleo familiare che è tornato in Eritrea, si è sottratta al rimpatrio;

- la Convenzione di Ginevra del 28.7.51, ratificata con 1egge 24 luglio 1954, n. 722 definisce rifugiato, all'art. 1 colui che "temendo a ragion di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un certo determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche si trova fuori dal Paese di cui è cittadino e non può o non vuole, a causa di questo timore, avvalersi della protezione di questo Paese;

comprende il Tribunale come non sia agevole fornire la prova di fondato timore di persecuzione specificatamente diretta alla propria persona da parte di colui che richiede l'accertamento dello status di rifugiato ma che tuttavia ciò non esonera il richiedente da fornire una compresenza di indizi quanto meno ragionevoli (elementi documentali indiretti, fatti notori territorialmente connessi al luogo di provenienza etc.) di quanto si assume non potendo infatti l'organo giudicante, secondo i principi in materia di onere della prova, fondare la propria decisione sulle sole dichiarazioni del ricorrente, e a loro volta non sono supportabili nemmeno attraverso il mezzo istruttorio del giuramento suppletorio, non ammesso (secondo quanto emerge dagli artt. 2737 e 2731 c.c.) in materia di diritti indisponibili;

- nel caso di specie la ricorrente non ha offerto elementi di prova nel senso sopra precisato (in particolare della sua chiamata al servizio militare, dimostrata la quale poteva presumersi la renitenza; delle vicende di propri familiari; della pregressa appartenenza a formazione politica osteggiata dalle locali autorità);

- va pertanto rigettato il ricorso nella parte in cui viene richiesto lo status di rifugiato e l'annullamento del provvedimento con cui la Commissione centrale per il riconoscimento dello status di rifugiato ne ha rigettato la relativa istanza;

- deve però accogliersi la ulteriormente subordinata domanda di asilo politico, essendo fatto notorio (e comunque documentato nel caso di specie: vd. docc. 2-5 della ricorrente) che l'Eritrea non ha ancora dato attuazione al principio del rispetto delle libertà democratiche garantite dalla nostra Costituzione italiana;

- segnatamente del diritto di associazione, di libera partecipazione alla vita democratica, di espressione; in Eritrea vi è infatti attualmente un regime di transizione in cui è riconosciuto un solo partito politico, il People's Front for Democracy and Justice (pfdj);

da numerosi comunicati di Amnesty International (cfr. docc. 3-5 ricorrente) emerge una situazione di non perfetto rispetto dei diritti umani; nel paese permane inoltre la pena di morte e continuano le violazioni dei diritti umani, legate in particolar modo alla situazione di instabilità politica del paese; la stessa Commissione UE ha avuto modo di rappresentare di recente al Consiglio e al Parlamento europeo la grave situazione, anche sotto il profilo delle libertà civili, in cui versa detto paese;

- va infine dichiarata assorbita la ulteriore subordinata domanda di rilascio di permesso umanitario ai sensi e per gli effetti degli art. 19, comma 1, del T.U. 286/98 e 28 del relativo regolamento di attuazione;

in relazione alla particolarità della situazione trattata e sussistendo giustificati motivi le spese di lite del presente grado del procedimento debbono dichiararsi compensate; per le medesime ragioni le spese dell'interprete, che sono state poste in via provvisoria a carico solidale delle parti; vengono poste in frazioni uguali a carico di parte ricorrente da un lato e dell'amministrazione convenuta dall'altro;

P.Q.M.

rigetta l'istanza di [...] in ordine al riconoscimento dello status di rifugiato; dichiara il diritto di [...] all'asilo politico ai sensi e per gli effetti dell'art. 10, comma 3, cost.; dichiara assorbita la subordinata domanda di rilascio di permesso umanitario ai sensi e per gli effetti degli art. 19, comma 1, del T.U. 286/98 e 28 del relativo regolamento di attuazione; dichiara integralmente compensate le spese di lite del presente grado di giudizio; pone le spese dell'interprete in frazioni uguali a carico di parte ricorrente da un lato e dell'amministrazione convenuta dall'altro.