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Associazione per gli Studi Giuridici sull'Immigrazione
 
 
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Tribunale di Torino, ordinanza del 17 marzo 2004

 
est. Bersano Begey
 

Nel procedimento n. 12504/03 R.N.R. e 19260/03 R.G. GIP Trib. Torino, a carico di Mita Ion + 6; previa separazione della posizione di quest'ultimo dal procedimento principale, definito con il rito abbreviato in udienza preliminare, in relazione al solo addebito a lui elevato al capo C della richiesta di rinvio a giudizio; ha pronunciato la seguente ordinanza ex art. 23 legge 11.3.1953

Ritenuto in fatto

Mita Ion è imputato di violazione in concorso dell'art. 12 comma 3 d.lvo 286/98, in concorso con il gruppo di ‘passeurs' Calin Gheorghe, Calin Ilie e Malacu George (alias Topriceanu Mihaita, detto Turi Mihai). Dagli atti si evince però unicamente un suo coinvolgimento per far espatriare clandestinamente verso l'Inghilterra (paese extra-Schengen) alcuni conoscenti, ed in tale veste avrebbe (richiedendo informazioni a persone rimaste estranee al procedimento) prima ottenuto il consiglio di rivolgersi al gruppo Neascu/Gherghisan; fallito l'esperimento, perché i ‘passeurs' non si erano presentati all'appuntamento avrebbe poi ottenuto un appuntamento con il gruppo dei Calin; avrebbe quindi accompagnato i conoscenti nel luogo stabilito perché potessero salire clandestinamente sul treno nei pressi del bivio della Pronda. Fin dalle prime battute delle indagini è emerso il coinvolgimento del Mita in ‘un solo episodio' (ord. GIP 24.7.2003, di attenuazione della misura cautelare da custodia in carcere in quella degli arresti domiciliari; in seguito è stata poi revocata ogni misura, a differenza che per i coimputati ‘passeurs'). E' evidente dallo svolgersi degli accadimenti (documentati probatoriamente dalle intercettazioni telefoniche e paralleli appostamenti di P.G.) che Mita si è attivato per agevolare la partenza di quattro persone che dovevano partire insieme, e solo di quelle. In atti - e tenuto conto delle puntuali spiegazioni che egli ha reiteratamente fornito in sede di interrogatorio in relazione agli elementi a suo carico (conversazioni telefoniche intercettate e concomitanti appostamenti di P.G.) - a carico del Mita non vi è altro; in specie non vi è alcun elemento che smentisca l'occasionalità della condotta di favoreggiamento, legata ad una situazione specifica e in relazione alla quale egli stesso ha dovuto rivolgersi a terzi ‘professionisti' (che venivano pagati per questo), per agevolare parenti o persone a lui legate e senza che vi sia alcun elemento per ritenere che egli abbia percepito a propria volta denaro in cambio dell'aiuto prestato.  Anche dai colloqui telefonici pare evincersi l'estraneità di Mita all'attività dei ‘passeurs', che ha contattato da estraneo e per favorire familiari/utenti a lui vicini.  Ne è spia sintomatica già l'opzione dell'accusa di elevare l'addebito di cui all'art. 12 d.lgs. 286/98 in concorso, al capo C con il c.d. gruppo dei Calin e non invece in concorso, al capo A, con il gruppo Neascu/Gherghisan, pure da lui contattato; e ciò perché solo a mezzo dei Calin egli era infine riuscito nel suo unico scopo, che era di far espatriare le quattro persone che a lui avevano chiesto aiuto.

Sulla rilevanza

Da ciò consegue, come correttamente evidenziato dalla difesa, che:

a) l'addebito anche a carico di Mita Ion di favoreggiamento dell'immigrazione (‘atti diretti a favorire l'ingresso in Italia') appare nel suo caso dovuta unicamente alla formulazione unitaria e indistinta del capo C, che riguarda anche i presunti correi Calin Gheorghe, Calin Ilie e Malacu George; formulazione priva di elementi individualizzanti e che in ogni caso non trova corrispondenza alcuna in atti per quanto attiene a Mita Ion, a quanto si desume dalla stessa ricostruzione che dei fatti ha evidenziato il pubblico ministero in sede di discussione del rito abbreviato;

b) Mita non può essere ritenuto concorrente nel reato previsto dall'art. 12 comma 3 d.lgs. 286/98, ma al più soggetto che individualmente ha commesso ‘atti diretti a procurare l'ingresso illegale in altro Stato del quale la persona non è cittadina o non ha titolo di residenza permanente', condotta sanzionata autonomamente dal comma 1° dello stesso articolo.

Il capo C è contestato ‘da epoca non precisata posteriore all'estate del 2002'; è pacifico che l'attivazione di Mita per agevolare l'espatrio risale al marzo 2003.

Ne consegue che Mita è chiamato a rispondere della violazione della disciplina dell'art. 12 nuova formulazione, ex l. 30.7.2002 n. 189: quindi, secondo l'opinione che pare ormai prevalente - nonostante un contrario obiter iniziale in Cass., sez. III, 28.11.2002, ric. Hoxha, pronuncia che peraltro non affronta direttamente la questione bensì la sufficienza e idoneità degli ‘atti diretti' al fine della rilevanza penale della condotta - quale titolo di reato autonomo e non più quale circostanza aggravante della condotta ‘base' delineata al comma 1°. Addirittura in relazione alla vecchia norma, richiamandosi alla ratio e alla storia normativa sottese alle norme penali incriminatici contenute nel d.lgs. 286/98, già si era prospettata una sostanziale autonomia tra fattispecie, in effetti del tutto diverse tra loro; prospettazione non accolta dalla Corte di Cassazione a fronte dell'indubbio e primario ostacolo costituito dal tenore letterale della formulazione del vecchio art. 12 (per tutte, Cass. pen. sez. I°, 4.12.2000, ric. Vishe).  L'incipit del vecchio terzo comma (‘se il fatto di cui al comma 1 è commesso a fine di lucro o da tre o più persone in concorso'), letteralmente delineante una circostanza aggravante ad effetto speciale, è stato, e non certo casualmente, abbandonato nella nuova formulazione novellata dell'art. 12.

Ne consegue altresì che, perché Mita possa essere ritenuto concorrente nel più grave reato previsto dall'art. 12 comma terzo d.lgs. 286/98, dovrebbero ritenersi integrati i seguenti elementi che lo compongono:

1) l'aver commesso una pluralità di atti diretti a favorire l'ingresso illegale in altro stato in un contesto organizzato;

2) avere agito per scopo di lucro.

I due profili assurgono pacificamente, nell'interpretazione corrente, a elementi integrativi della fattispecie novellata. La singolarità della formulazione di quest'ultima, infatti, pare il frutto della volontà legislativa di combattere un fenomeno sociale che ha assunto caratteristiche criminali proprio in quanto ‘mercato' di flussi clandestini, e risulta quindi caratterizzato dal perseguimento di scopo di lucro in un contesto di attività di favoreggiamento, se non professionale, non certo occasionale. Solo tale lettura permette, infatti, di comprendere l'equiparazione in punto pena (‘...la stessa pena si applica...') prevista dalla seconda parte del comma terzo in relazione a fattispecie che dichiaratamente connotano la condotta in termini di professionalità e di inserimento in un quadro dotato di un certo grado di organizzazione (concorso di tre o più persone, utilizzo di servizi internazionali di trasporto ovvero a mezzo di documenti contraffatti). Lo stesso P.M., nelle conclusioni in sede di rito abbreviato, ha espressamente rilevato che solo la peculiare struttura dell'art. 12 comma terzo d.lgs. 286/98 ha indotto l'accusa a non formulare, nel presente procedimento, alcuna imputazione di reato associativo, e ciò perché gli elementi che tipicamente compongono quest'ultimo sono in sostanza sottesi alla formulazione del reato contestato.

A ciò consegue che Mita Ion non può essere considerato concorrente nel reato contestato sub C, perché non vi è prova che egli abbia agito per scopo di lucro (anzi, il rapporto personale che lo lega ai soggetti da espatriare parrebbe elemento positivo di segno contrario); e può addirittura ritenersi vi sia in atti la prova negativa di una sua appartenenza ad una seppur rudimentale organizzazione. In altri termini, egli non fa parte né dell'uno né dell'altro dei due gruppi di coimputati, tanto che, per favorire l'espatrio dei connazionali già in Italia, deve ricorrere a contatti con persone terze ed estranee per ottenere indicazioni su come contattare i ‘passeurs'.  La struttura del reato, sopra delineata, nemmeno permette di concludere per una sua partecipazione concorsuale sulla base di un mero ragionamento logico di tipo semplificato, ritenendo, cioè, che Mita debba ritenersi concorrente perché procurando clientela ‘comunque' alimenterebbe il mercato dei flussi clandestini: pacifico essendo che chi ha procurato utenti effettivi o potenziali per i gestori del ‘mercato', per di più in un'unica occasione, non per ciò soltanto ha avuto una qualche influenza sulla condotta dei ‘passeurs' in termini di rafforzamento del proposito criminoso.  Si tenga altresì conto del fatto che il fenomeno dei ‘passeurs' da contattare, per espatriare, per poter salire clandestinamente sul treno Eurotunnel per Francia e Inghilterra in località Bivio della Pronda (fenomeno che comprendeva attività di supporto - dietro pagamento - ulteriori, quali la preorganizzazione di attività di manomissione dei segnali ferroviari e l'eventuale agevolazione mediante documenti falsificati nell'ipotesi non infrequente in cui in Francia vi fossero ‘intoppi' dovuti ai controlli di polizia sui treni) era sostanzialmente noto alla comunità rumena torinese e che, a quanto ben emerge dalla lunga e attenta attività di osservazione della P.G. che ha svolto le indagini, era in corso da tempo, con flussi di veri e propri gruppi che venivano accompagnati - ogni notte o quasi - sulla ferrovia per salire non visti sui treni in sosta. E' quindi pacifico che Mita si era rivolto ad una struttura organizzativa che autonomamente e a scopo di lucro comunque operava già da tempo e che avrebbe continuato ad operare al di là del fatto che Mita l'avesse una tantum contattata per agevolare propri conoscenti.

Ciò premesso, è però indubbio che la condotta del Mita - ricerca di indicazioni su chi fossero i ‘passeurs', contatto con questi ultimi per ottenere un appuntamento per gli espatriandi, accompagnamento di questi ultimi sul luogo dell'appuntamento - integra a pieno titolo la fattispecie autonoma di cui al comma 1° dell'art. 12 del citato decreto, per avere posto in essere atti diretti a procurare l'ingresso illegale in altro Stato di persone sfornite di documenti, a titolo occasionale, individuale e senza scopo di lucro: quindi, della sola seconda parte (la cui autonomia dalla prima è sancita dalla disgiuntiva ‘ovvero') del reato di cui al comma 1 dell'art. 12.

Sulla non manifesta infondatezza

Individuata la norma incriminatrice da applicare nel caso di specie, sorgono, in ordine alla legittimità costituzionale della stessa, perplessità che non paiono poter essere risolte in sede interpretativa in sede di giudizio di merito.  Si tratta di perplessità che sono già state espresse in dottrina e che, a parere di questo giudice, debbono essere condivise alla luce delle considerazioni che seguono.

Va premesso - senza entrare nel merito della articolata vicenda normativa che ha infine condotto alla formulazione dell'attuale art. 12 d.lgs. 286 - che l'introduzione della figura autonoma del favoreggiamento in Italia dell'ingresso illegale di migranti in altro Stato estero pare evidentemente dovuta alla volontà di colmare un vuoto che impediva di attrarre nella sfera della rilevanza penale condotte censurabili in quanto attività assolutamente tipiche di chi gestisce il traffico di migranti clandestini. In altri termini, l'assenza di previsione di fattispecie punitiva del favoreggiamento dei flussi clandestini ‘verso l'estero' impediva che venissero sanzionate le condotte di "intermediazione di movimenti illeciti, o comunque clandestini, di lavoratori migranti, che non si risolvono nel favorire materialmente il loro ingresso o la loro permanenza nello Stato" (Cass. sez. VI, 22.11.2000, ric. P.M. in proc. Durante); e, soprattutto, lasciava in una sorta di zona grigia le attività (non autonomamente costituenti reato, quali invece, ad es., l'approvvigionamento di documenti falsificati, o altre attività penalmente rilevanti in via autonoma) poste in essere sul territorio nazionale comunque favorenti i flussi di migrazione clandestina ‘in transito' verso l'estero: attività aspecifiche, non tipizzate né tipizzabili, ritenute meritevoli di sanzione perché comunque a) potenzialmente pericolose per l'ordine pubblico e b) parimenti espressione di sfruttamento del corposo fenomeno della migrazione clandestina.  Vi è traccia espressa nel presente procedimento di quanto si va qui affermando, in relazione però ad imputazione di cui all'attuale comma terzo dell'art. 12, nel provvedimento con il quale il Tribunale della Libertà in sede di riesame ha confermato l'ordinanza del GIP applicativa della misura cautelare per i coindagati Neascu e Gherghisan (ove si rileva in via preliminare che la nuova formulazione dell'art. 12 ha tolto ogni spazio alle questioni, sollevate dalla giurisprudenza in relazione alla vecchia norma, in allora risolte ‘inequivocabilmente nel senso che non integravano il reato in questione le condotte successive all'ingresso in Italia dei clandestini e dirette al trasporto degli stessi "da frontiera a frontiera" e alla loro uscita dal territorio dello Stato', ord. T.L. cit.).  Ma proprio la verifica della ratio della nuova formulazione rende evidente che quest'ultima è chiaro frutto della volontà legislativa di colpire in tutte le sue forme la gestione del traffico di clandestini ‘allargando' la normativa penale in modo tale da farvi rientrare anche quelle situazioni fattuali che andavano in precedenza esenti da sanzione solo perché non vi era prova di un aggancio della condotta posta in essere dal soggetto che favoriva il migrante nel transito e/o nuova fuoruscita con la condotta di chi ne aveva favorito l'ingresso clandestino in Italia.

Situazioni fattuali, si noti, che non sono assimilabili a quella del Mita Ion, del quale risulta solo l'attivazione per contattare chi era in grado di far clandestinamente espatriare persone che già si trovavano e permanevano sul territorio italiano e che non risulta vi fossero giunti grazie ad una qualche attivazione del Mita medesimo.

Va però rilevato che la fattispecie di cui al comma terzo dell'art. 12 novellato è frutto di una tecnica normativa che privilegia la descrizione di un ‘fenomeno', ottenendo un risultato descrittivo non lontano da quello di una fattispecie di reato associativo speciale.  Il risultato è stato quello di evidenziare connotazioni antigiuridiche chiare perché riferentesi ad un mercato clandestino di immigrazione e/o emigrazione ed a modalità organizzative che conferiscono autonomia alla fattispecie, sia sotto il primo che sotto il secondo profilo (immigrazione/emigrazione) e così giustificandosi sia la criminalizzazione ‘a tutto campo' che la scelta sanzionatoria elevata. 

Tutto ciò manca, invece, nella norma incriminatrice di cui al comma primo poiché questa - parimenti individuante una figura di reato a soglia di tutela anticipata e a condotta libera - ha quale unico elemento tipizzante quello dell'illiceità speciale, che diventa quindi l'elemento centrale per identificare l'antigiuridicità di una condotta che altrimenti si risolverebbe in mera agevolazione all'esercizio di un diritto della persona, quello di emigrare dal territorio italiano verso altri Stati.

E' evidente, al riguardo, che il presupposto di illiceità speciale della "violazione delle disposizioni del presente testo unico" può riferirsi al favoreggiamento dell'immigrazione ma non anche a quello dell'emigrazione, che non trova (né si vede come potrebbe trovare) in esso alcuna regolamentazione, posto che si tratta di un corpo di norme "concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero" in Italia. 

Unico presupposto di illiceità speciale con funzione di tipizzazione risulta allora essere quello della ‘illegalità' dell'ingresso procurato (o meglio favorito) dall'Italia nello stato estero di destinazione del migrante clandestino: dizione che non a caso, nei reati di favoreggiamento, si trova associata solo all'ipotesi di ‘ingresso in altro Stato del quale la persona non è cittadina'.

Ma sotto tale profilo è altrettanto evidente che il contenuto dell''illegalità' andrebbe individuato facendo riferimento alla normativa del paese estero di destinazione, e ciò, oltretutto, dando per scontato - circostanza che scontata non è affatto - che nella fattispecie alla quale la norma debba applicarsi si possa individuare con certezza un paese estero di destinazione del migrante clandestino; compito non certo facilitato dalla struttura della norma incriminatrice, che punisce anche soltanto gli ‘atti diretti', indipendentemente dall'ottenimento di un qualsiasi risultato. 

Se, però, l''illegalità' va intesa (e non può non essere intesa, poiché in caso contrario il favoreggiamento dell'ingresso illegale in Stato straniero non si verificherebbe mai, e la norma incriminatrice sarebbe di conseguenza del tutto priva di contenuto) nel senso della contrarietà ad un complesso di norme regolatrici emesse da un paese straniero, ne consegue che ci si trova di fronte ad una fattispecie penale in bianco il cui precetto è descritto attraverso il rinvio ad una legge straniera: e ciò in violazione della riserva di legge sancita dall'art. 25 della Costituzione. Risulta palese il problema del mancato rispetto del principio di tassatività e determinatezza delle norme penali incriminatrici.

La Corte di Cassazione (sez. I, udienza 8.5.2002, depositata il 3.6.2002, ric. Galgano) aveva già motivato nel senso della aderenza dell'art. 12 al principio suddetto e quindi del rispetto dell'art. 25 della carta costituzionale. Ciò però avveniva: 1) ante-novella operata con la l. 189/2002 e in un contesto del tutto diverso, nel quale la figura del favoreggiamento dell'ingresso in Stato estero non esisteva ancora; 2) in riferimento ad un presupposto di illiceità speciale, la "contrarietà alle norme del testo unico", che abbiamo visto essere inapplicabile alla nuova fattispecie incriminatrice di cui all'art. 12 comma 1 ultima parte.

La verifica del requisito di illiceità  della ‘contrarietà al testo unico', argomentava infatti la Suprema Corte nel motivare perché dovesse ritenersi manifestamente infondata la questione, poteva al massimo comportare "una maggiore difficoltà di individuazione e ricostruzione della fattispecie concreta ma non anche un difetto di tipicità della fattispecie astratta, in sé compiutamente definita e comprendente, al suo interno, ogni possibile combinazione della prevista attività diretta a favorire l'ingresso di stranieri in Italia con la violazione di ciascuna delle specifiche disposizioni, attinenti alla materia, del decreto legislativo in esame". Per contro, in altra pronuncia la Suprema Corte ha affrontato incidentalmente la medesima questione concludendo per l'aderenza del vecchio art. 12 al principio di determinatezza e tassatività (problema che la Corte si poneva data ‘la genericità della locuzione "violazione delle disposizioni del presente testo unico"...' e rilevato il concreto rischio che ‘...potrebbero essere incriminati comportamenti concretamente non lesivi attraverso un "modello estremo di anticipazione di tutela...'), salvo che per quei ‘casi marginali' che "trovano il loro limite nella necessità della sussistenza del dolo" (Cass. Sez. III° , 18.6.2002, dep. 9.8.2002, ric. Tolkachov).

Le modifiche legislative hanno poi conferito piena autonomia alla fattispecie di cui al comma terzo dell'art. 12, strutturandolo in termini tali da rispecchiare (e sanzionare) il nucleo centrale del disvalore sotteso alle condotte di mercificazione dei flussi migratori, e ciò in corrispondenza con entrambi gli obiettivi perseguiti dal testo unico a mezzo della tutela penalistica: quello marcatamente afferente alla tutela dell'ordine pubblico (e connessa esigenza di controllo onde evitare la clandestinità dei flussi in ingresso) e quello relativo alla tutela dei diritti inviolabili della persona di chi diventa oggetto di mercificazione solo perché migrante (e connesso obiettivo di perseguire comunque il traffico di clandestini, in entrata, in uscita o in transito, di rilievo penale in quanto mercato, organizzato e a scopo di lucro). 

Pare innegabile che, in questo quadro, la figura del favoreggiamento (ex ‘semplice', quindi non in contesto organizzato e non a scopo di lucro) dell'ingresso di ‘persone' in Stato estero si ritrovi in situazione eccentrica, isolatamente preso, rispetto al sistema incriminatorio delineato nel testo unico dopo la novella. Ciò però rende ben più problematica la sua compatibilità con il principio di riserva di legge e di tassatività della fattispecie penale. Gli argomenti addotti dalla Corte di Cassazione nelle citate sentenze (in specie nella prima, che ha affrontato direttamente la questione) non paiono, infatti, in alcun modo mutuabili oggi per risolvere la questione che viene a profilarsi  a seguito dell'introduzione della nuova figura di reato, se non altro perché il presupposto di illiceità speciale è oggi tutt'altro e non può che riferirsi alla normativa dello Stato estero di destinazione.

Né varrebbe obiettare, a parere di questo giudice, che un recupero della determinatezza della fattispecie potrebbe avvenire attraverso la valorizzazione delle modalità in concreto di attuazione della condotta incriminata: procedimento ‘sostitutivo' che comunque non pare corretto e il cui utilizzo in sede giurisprudenziale che non farebbe che evidenziare l'ambiguità di fondo della norma incriminatrice.

Non solo: è procedimento interpretativo che porterebbe ad una pericolosa confusione di piani, posto che l'emigrazione in condizioni di ‘illegalità' (visto dall'ottica della legge italiana, e quindi l'emigrazione dall'Italia di chi si ritrova ad essere clandestino in Italia) non è affatto di per sé significativa di clandestinità ‘comunque' e in qualsiasi paese.

Si tratta di terreno, com'è evidente, che rende ancor più palese la violazione del principio di determinatezza, poiché l'agevolazione - anche con modalità evidentemente ‘clandestine', quali quella evidenziatasi nel presente procedimento - a lasciare il territorio italiano è condotta già di per sé sufficiente a far ricadere la fattispecie concreta in quella astratta incriminatrice, poiché, indipendentemente da che cosa accada una volta lasciato tale territorio, già si è consumato il reato con l'apposizione in essere degli atti diretti a favorire l'ingresso in Stato estero, dato che è stata riprodotta dal legislatore la struttura a consumazione anticipata già letteralmente contenuta nel vecchio art. 12 per il favoreggiamento all'emigrazione; scelta di politica legislativa consapevolmente e volontariamente mirata a dare più efficacia allo strumento penale (per tutte, la già citata Cass. sez. I, 8 maggio 2002, ric. Galgano, che espressamente sussume la norma nella categoria dei c.d. delitti di attentato).

Appare allora evidente che all'attività già ritenuta dal legislatore di per sé sola integrante la fattispecie criminosa - perché a consumazione anticipata - può allora conseguire, a seconda di dove il migrante sia in definitiva diretto ovvero riesca ad approdare, una situazione che può essere di illegalità per lo stato estero oppure no; e ciò, ad esempio, solo perché in un determinato paese egli è in grado di azionare determinati diritti e in altri no.  Si tratta, quindi, di illegalità eventuale e futura, ancora sottoposta a determinate condizioni sia fattuali che giuridiche nel momento in cui però già dovrebbe ritenersi perfezionata a carico del favoreggiatore la consumazione (anticipata) del reato di cui all'art. 12 comma 1 d.lgs. 286/98.

Vi è poi un ulteriore profilo per cui non può ritenersi conforme alla Costituzione una norma che risulti ‘comunque' violata ogniqualvolta le caratteristiche dell'espatrio (o dei meri atti diretti a favorirlo: ed è evidente che l'opzione legislativa della soglia avanzata di incriminazione rende ancor più pregnante il problema del difetto di determinatezza) siano tali da poter semplicemente affermare che tale espatrio è avvenuto, o era programmato, ‘in modo clandestino'. 

Già si è detto, infatti, della difficoltà concettuale di prevedere una norma che sanzioni chi favorisce chi si muova dall'Italia (e quindi, in ipotesi, per restare in ambito dei paesi Schengen; ovvero per mutare rotta una volta fuori dall'Italia in modo imprevedibile), e quali sono i motivi che hanno indotto il legislatore a prevederla: peraltro in una chiara ottica di repressione del fenomeno della mercificazione dei flussi di migrazione clandestina. 

Il fatto, però, che non vengano utilizzati - ove necessari - documenti validi per l'espatrio è conseguenza inevitabile dello status di clandestino in Italia; per cui, così ragionando, qualsiasi atto diretto ad agevolare l'emigrazione di chiunque si trovi ad essere non in regola (o non più in regola) sul territorio italiano sarebbe passibile di sanzione penale: situazione evidentemente in contrasto con il diritto all'emigrazione garantito dall'art. 35 comma 4 della Costituzione, che lo Stato ‘riconosce' come diritto della persona, e non ‘concede' in relazione a situazioni o a precondizioni. 

Si noti che la norma che qui si intende sottoporre all'attenzione della Corte comporterebbe, se applicata nel suo insuperabile dettato letterale, l'attrazione nella sfera di rilevanza penale anche delle condotte che in definitiva permettano al soggetto ‘favorito', senza essere costretto ad autodenunciarsi alla pubblica autorità come clandestino, di rientrare nella propria patria di origine.

E' evidente che proprio per evitare tale situazione paradossale - situazione che il legislatore non può certo avere voluto in sede di novellazione dell'art. 12 - che la giurisprudenza è stata già costretta a singolari oscillazioni nelle prime applicazioni della normativa nuova. Si ricordano, sul punto, Cass. sez. I, 23.10.2003, ric. P.M. in proc. Kutepov, che ha ritenuto non integrare il reato in questione la condotta di chi agevola l'ingresso in Stato straniero ‘allorchè tale ingresso si connoti come momentaneo e provvisorio e non come soggiorno stabile e permanente'; nello stesso senso, Cass. Sez. I°, 24.11.2003, ric. Nesterenko; di segno opposto e indubbiamente maggiormente aderente alla lettera della norma, in fattispecie di cui all'art. 12 comma primo, e non terzo, del d.lgs.. 286/98, Cass. sez. I, 19.12.2003, ric. Botnaru, per la quale, testualmente, per l'integrazione di tale fattispecie "deve ritenersi necessaria e sufficiente la mancanza di un titolo atto a legittimare il solo "ingresso" nel territorio di un altro Stato, nulla rilevando che tale ingresso sia asseritamente finalizzato non ad una permanenza più o meno stabile...ma solo al suo attraversamento per raggiungere il paese d'origine", poiché, altrimenti, l'integrazione della fattispecie penale per il soggetto favoreggiatore verrebbe a dipendere dalle asserzioni del soggetto favorito, senza, afferma testualmente la Corte, che "vi sia modo di controllare la serietà di tale intenzione né la sua effettiva realizzazione" (sottolineature di questo giudice).  

Ma questa è un'ulteriore ragione che induce, a parere di questo giudice, a ritenere più che necessario un intervento della Corte costituzionale.

Le pronunce da ultimo citate, infatti, non fanno che rendere palese una difficoltà di applicazione della norma che nell'incertezza rischia di indurre a pericolosi divari interpretativi, in realtà legati non alla valutazione dell'ambito nel quale si muove la condotta del soggetto agente, bensì dell'ambito della vicenda concreta del soggetto favorito: situazione che già sul piano della tassatività e determinatezza della fattispecie risulta con ogni evidenza inaccettabile.

Pare, infine, che debba essere affrontato anche il profilo della possibile non conformità della norma di cui all'art. 12 comma 1 seconda parte rispetto al principio costituzionalmente garantito di cui all'art. 35 comma 4 Cost.. E' vero che il 35 comma 4 Cost. contiene una riserva di legge, ma proprio il fatto che la Corte Costituzionale la abbia in passato invocata, in materia di diritto dell'immigrazione e di disciplina della condizione dello straniero - essenzialmente, va detto, in sede di rigetto delle questioni di legittimità costituzionale sollevate in relazione alla disciplina dell'espulsione dello straniero dal territorio italiano - parrebbe evidenziare che la stessa Corte ha inteso sottolineare con chiarezza che proprio e soltanto in presenza di condizioni eccezionali, espressamente richiamantesi a concetti quali la pericolosità e l'ordine pubblico, può ritenersi legittima la compressione (di fatto tale, nel momento in cui viene sanzionata penalmente l'attività del soggetto agevolatore) del diritto all'emigrazione; condizioni che possono ritenersi integrate per quanto attiene alla nuova formulazione del comma terzo art. 12 d.lgs. cit. proprio per la duplice ratio ad essa sottesa, di tutela dell'ordine pubblico e di strumento di politica legislativa per stroncare il fenomeno della mercificazione dei flussi migratori e quindi dell'agevolazione ‘professionale' e a scopo di lucro, ma non invece nella fattispecie che qui si vuole sottoporre all'attenzione della Corte, di cui all'art. 12 d.lgs. 286/98 comma primo.

P.Q.M.

Visto l'art. 23 legge 11.3.1953, dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale sollevata dalla difesa di Mita Ion in ordine all'art. 12, comma primo, d.lgs. 25 luglio 1998 n. 286, come modificato dalla legge n. 189/2002, nei limiti sopra indicati e cioè in relazione alla fattispecie di favoreggiamento dell''ingresso illegale in altro Stato del quale la persona non è cittadina o non ha titolo di residenza permanente', per violazione degli artt. 25 e 35 comma 4 della Costituzione.

Sospende il giudizio a carico di Mita Ion in relazione alla imputazione elevata a suo carico sub C) nel procedimento penale sopra emarginato e dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale.

Ordina la notificazione, a cura della Cancelleria, della presente ordinanza al Presidente del Consiglio e ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.