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Associazione per gli Studi Giuridici sull'Immigrazione
 
 
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Corte d'Appello di Bari, decreto del 16 aprile 2004

 
est. Cirillo
 

Sciogliendo la riserva formulata il 16.04.2004 nel procedimento camerale n.3033/04 RGAC promosso da Latifa El Broji ([...]    

osserva

Con ricorso depositato il 17 febbraio 2004 il difensore della cittadina marocchina Latifa El Broji esponeva:
a) che, con sentenza n.270 del 5 febbraio 2003, il Tribunale di prima istanza di Casablanca (Marocco) aveva omologato l'atto di custodia del minore marocchino Hamza El Broji, "in modo irrevocabile";
b) che le autorità italiane avevano negato al minore Hamza El Broji il "visto per il ricongiungimento familiare" presso la istante Latifa El Broji;
c) che il suddetto provvedimento di omologazione della custodia, pronunciato dell'autorità giudiziaria marocchina, aveva natura di provvedimento di "volontaria giurisdizione", non era contrario all'ordine pubblico ed era soggetto all'art.66 L.n.218/1995;
d) che la ricorrente intendeva far valere in Italia l'affidamento o custodia irrevocabile, ovvero anche l'adozione;

pertanto, col precitato atto, chiedeva il riconoscimento del predetto provvedimento e la sua efficacia in Italia.

Il P.G., nel suo parere scritto, chiedeva l'accoglimento del ricorso della Latifa El Broji. All'udienza camerale del 16 aprile '04, sentito il difensore della istante, la Corte si riservava per la decisione.

Preliminarmente va rettificata la ricostruzione dei fatti, così come emergente dalla documentazione (informale) versata in atti dalla difesa:
a) Il 28 agosto 1990 Latifa El Broji conseguiva in Italia il rilascio del libretto di lavoro n.298/90, poi vistato dalla questura di Bari il 9 giugno 2000 (v. fotocopia informe in atti).
b) In data 17 febbraio 1999, con atto notarile di "kafala" Leila Marhoum [nata a El Qualida, il 2 giugno 1978; residente a Bloc.130 n.08, Bernoussi, Casablanca] affidava la custodia del figlio Hamza El Brojy [nato da padre ignoto il 14 gennaio 1999; atto n.451 del 17 febbraio 1999 della circoscrizione di Idriss I, Casablanca] a Latifa El Broji, affinché quest'ultima lo prendesse a suo carico e provvedesse al suo mantenimento: ossia vitto, vestiario, istruzione, cure mediche ed altro. La madre naturale autorizzava l'affidataria a portare il minore all'estero ed a farsi rilasciare tutti i documenti necessari. Contestualmente Latifa El Broji accettava l'atto di "kafala" (v. traduzione del documento esibita in udienza della difesa, in assenza dell'atto medesimo).
c) Con provvedimento del 18 giugno 2001 il Consolato Generale d'Italia in Casablanca rifiutava all'affidataria Latifa El Broji il "visto" per il minore Hamza El Brojy. Nella nota consolare si affermava: "Il ricongiungimento familiare si concretizza secondo l'art.29 del d.lgs. 286/98 anche con minori adottati o affidati o sottoposti a tutela, in quanto equiparati ai figli. La documentazione qui presentata, relativa all'affidamento di cui sopra, consiste in una dichiarazione di "kafala" a carattere assolutamente reversibile, e senza alcun carattere legittimante. Nella fattispecie chiunque può presentarsi ad un notaio di diritto islamico e produrre detta dichiarazione "kafala", che tradotta significa "consegna di minori" ad un terzo con facoltà in qualsiasi momento da parte degli interessati, di richiedere l'annullamento. Tale atto non è equiparabile all'istituto dell'affidamento secondo la legislazione italiana" (v. fotocopia informe in atti).
d) Il 9 gennaio 2003 Latifa El Broji, denunciando che le autorità italiane le avevano negato il visto d'ingresso per il minore Hamza El Brojy, chiedeva al Tribunale di prima istanza di Casablanca Anfa l'omologazione del predetto atto di custodia (n.65, foglio 48, registro 10, ricevuta n.59/26). Il Vice-Presidente di quell'Ufficio Giudiziario, in qualità di "giudice degli affari per direttissima", verificato che dall'atto in questione erano preservati gli interessi del minore in custodia e che anzi il predetto atto era stato stipulato nei suoi interessi, così provvedeva: "Il Tribunale, in seduta plenaria, in primo grado ed in contraddittoria: ordina l'omologazione dell'atto di custodia...; accerta la custodia del minorenne El Brojy Hamza ... da parte della ricorrente in modo irrevocabile; ordina che la presente ordinanza va eseguita per direttissima".
e) Latifa El Broji si rivolgeva, quindi, inutilmente al Tribunale per i Minorenni di Bari per ottenere il riconoscimento in Italia del suddetto provvedimento del Tribunale di Casablanca. L'autorità giudiziaria minorile, nel motivare il suo diniego, affermava che non v'era materia devoluta alle attribuzioni di quel Tribunale (decr.15 gennaio 2004), fatte salve le diverse prerogative della Corte territoriale, poi adìta col ricorso in esame.

Tanto premesso, va osservato in via preliminare che la richiesta di riconoscimento del provvedimento col quale il Tribunale di prima istanza di Casablanca  ha omologato l'atto di "kafala" del minore marocchino Hamza El Brojy stipulato in forma notarile dall'affidataria Latifa El Broji e dalla madre naturale del minore Leila Marhoum non è corredato da idonea documentazione. Secondo consolidati principi, la parte che invochi l'autorità di una decisione giudiziaria straniera, della quale domandi il riconoscimento in Italia, deve quanto meno produrre: una copia conforme della decisione fornita dei requisiti che ne garantiscano l'autenticità; un certificato del cancelliere o di altro funzionario competente, secondo la legge processuale straniera, attestante che nessuna forma d'impugnazione sia stata esercitata contro la decisione; la prova del rispetto, dinanzi all'A.G. straniera, dei diritti essenziali di difesa di chi sia eventualmente controinteressato; la traduzione di tutta la suddetta documentazione munita di certificazione di conformità da parte di un traduttore giurato. Nella specie, gran parte della documentazione normalmente  richiesta per l'exequatur dei provvedimenti giudiziari in materia di famiglia, manca del tutto oppure non è autenticata, ovvero è incompleta oppure è tradotta in forma non giurata. Manca del tutto anche l'atto notarile di "kafala" in lingua araba ed esso è stato prodotto solo in traduzione informale e senza alcun requisito d'autenticità. Si aggiunga che manca del tutto pure la prova che la pronunzia del Tribunale di Casablanca, che avrebbe omologato l'atto, sia divenuta definitiva.

Tutto ciò sarebbe di per sé sufficiente a rendere inammissibile l'istanza avanzata da Latifa El Broji, per difetto d'allegazione. Si aggiunga che costei non ha neppure allegato alcun documento avente data certa e  recente, dal quale desumere che la medesima dimori attualmente e regolarmente in Italia.

Sotto altro profilo, comunque pregiudiziale ed anch'esso assorbente, va osservato che il provvedimento del quale s'invoca il riconoscimento (qualificato nella traduzione talvolta come sentenza e talvolta come ordinanza), sembra essere stato emesso "tra ... la sig.ra El Broji Latifa ... da una parte e a chi dovere dall'altra". Ne deriva la ragionevole conclusione che si sia trattato forse di un provvedimento emesso con forme in qualche modo assimilabili a quelle dei decreti nei procedimenti unilaterali di volontaria giurisdizione. Sennonché i provvedimenti stranieri di volontaria giurisdizione, in materia di diritti di famiglia e della persona, sono riconosciuti efficaci "ex lege" nell'ordinamento italiano (artt.65/66 L.218/95). L'exequatur da parte dell'A.G. italiana è richiesto unicamente in caso di mancata ottemperanza o di contestazione del riconoscimento straniero (art.67 L.cit.). Nella specie il provvedimento del 18 giugno 2001, col quale il Consolato Generale d'Italia in Casablanca rifiutava all'affidataria Latifa El Broji il "visto" per il minore affidatole Hamza El Brojy, riguardava l'atto notarile di "kafala" in data 17 febbraio 1999. Solo il 9 gennaio 2003 - e cioè dopo che le autorità consolari italiane le avevano negato il visto d'ingresso per il minore- Latifa El Broji chiedeva al Tribunale di prima istanza di Casablanca Anfa l'omologazione del predetto atto di custodia, poi effettuata col provvedimento del 5 febbraio 2003. Sicché non risulta allegata (e provata) alcuna mancata ottemperanza o contestazione del riconoscimento del provvedimento straniero che abiliti la parte beneficiaria di esso ad avviare, dinanzi alla Corte d'Appello, la procedura di "exequatur" prevista dall'art.67 L. cit.

Né diversi requisiti procedimentali emergono dalla "Convenzione sui diritti del fanciullo", firmata a New York nel 1989, che espressamente prevede all'art.20 la "kafala" islamica come istituto idoneo a garantire la protezione sostitutiva del minore (v. Indagine conoscitiva in tema di adoz. e affid., audiz.sottosegr.26.06.2003), pur essendo una sorta di mero affidamento del bambino "sine die" fino alla maggiore età (v. Atti parlamentari, 11.11.2003, pag.5). Invero l'ordinamento marocchino non contempla l'istituto dell'adozione piena o legittimante. Il Marocco infatti, essendo un Paese musulmano, si limita ad ammettere ristrette forme d'affidamento (kafala) dal momento che, per motivi religiosi, l'unica forma di genitorialità considerata è quella biologica. Il "Code di Statut Personel Marocain", all'alinea 3 dell'art.83, pare stabilire che l'adozione non ha alcun valore giuridico, essendo del tutto vietata dalla "Charia" ("l'adoption n'a aucune valeur juridique et n'entraîne aucun des effets de la filiation"). Di qui il ricorso alla "kafala" di diritto mussulmano, da taluni assimilata ad una sorta di tutela ovvero di delegazione dell'autorità genitoriale. Il "dahir" marocchino del 10 settembre 1993 precisa: "La personne assurant la kafala ou l'institution concernée veille à l'exécution des obligations relatives à la protection de l'enfant abandonné et doit assurer son éducation dans une ambiance familiale saine, tout en subvenant à ses besoins essentiels jusqu'à ce qu'il atteigne l'âge de la majorité" (cfr.«La Gazete du Maroc», 1°aprile 2002 n.257). In sostanza la procedura di "kafala" sembra consistere nell'impegno a farsi carico della protezione, dell'educazione e del sostentamento di un minore e non determina alcun legame di filiazione tra il minore e l'affidatario e/o la famiglia d'accoglienza. La verifica delle eventuali analogie e/o diversità tra la "kafala" con affidamento unipersonale ed il c.d. "affidamento familiare consensuale a persona singola", ai fini dei rilievi d'ordine pubblico (art.65 L.218/1995) tanto interno in materia d'affidamento (artt.2, 4/1°comma L.184/1993), quanto internazionale (art.20 Convenzione cit.; art.28/3°comma d.Lgs.286/1998), non può dunque trovare ingresso, non risultando allegata (e provata) alcuna mancata ottemperanza o contestazione del riconoscimento del provvedimento del 5 febbraio 2003 del Tribunale di prima istanza di Casablanca. Del resto è palese che l'interesse della cittadina marocchina Latifa El Broji, alla delibazione in Italia dell'omologa dell'atto di "kafala" del minore marocchino Hamza El Brojy, sia unicamente finalizzato al conseguimento del "visto per il ricongiungimento" di cui all'art.29/2°comma d.Lgs.286/1998. Sulla scorta dell'art.29/7°comma d.Lgs.286/1998, la domanda di nulla osta al ricongiungimento deve essere avanzata, allo sportello unico per l'immigrazione presso la prefettura (o alle rappr. consolari), da chi vi abbia interesse, il quale - in caso di diniego- può proporre ricorso al tribunale civile di cui all'art.30/6°comma d.Lgs.286/1998. Il tribunale, in caso di contestazione del riconoscimento, pronuncia in merito con efficacia limitata al giudizio (art.67/3°comma L.218/1995).

P.T.M.

dichiara inammissibile l'istanza indicata in premessa