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Associazione per gli Studi Giuridici sull'Immigrazione
 
 
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Tribunale di Genova, ordinanza del 14 maggio 2004

 
est. Mazza Galanti
 

Nel proced. n. 100220/2004 R. V., il Giudice monocratico, sentiti il legale di parte ricorrente ed il rappresentante dell'Amministrazione; a scioglimento della riserva di cui al verbale che precede; ha pronunciato la seguente ordinanza.

Con ricorso in data 10.1.2004, il cittadino ecuadoriano, signor [...], ha chiesto a questo tribunale l'accertamento dell'illegittimità del decreto di espulsione emesso nei suoi confronti, in data 17.11.2003, dal prefetto di Genova, nonché di ogni atto ad esso collegato, e conseguentemente la declaratoria di nullità del suddetto decreto. Dopo avere premesso che gli era stato contestata l'omessa richiesta del permesso di soggiorno entro gli otto giorni lavorativi dall'ingresso in Italia, si doleva innanzi tutto il ricorrente dell'erroneità dei presupposti in fatto posti a base del decreto impugnato (non essendo egli privo di residenza in Italia), e della circostanza che nessuna prova era stata fornita dall'autorità amministrativa (in ordine al momento del suo ingresso in Italia) se non il richiamo a quanto da lui asseritamente dichiarato, "senza l'ausilio di un interprete". Sul punto il difensore evidenziava il fatto che il proprio rappresentato non era in grado di parlare e di scrivere la lingua italiana, da cui la recisa contestazione delle dichiarazioni scritte che a lui venivano attribuite, definite " prive di supporto ed inveritiere". Secondo quanto sostenuto in ricorso l'unico dato certo emerso dalla visione del suo passaporto era l'ingresso negli Stati Uniti in data 20.5.2003, mentre nessuna attestazione vi era in ordine al suo ingresso in Area Schengen. In realtà, a dire dello straniero, solo da pochi giorni egli si trovava in visita presso la propria madre, regolarmente residente in Italia, avendo nella propria disponibilità un'abitazione in cui essa convive con i propri figli (fratelli del ricorrente). In secondo luogo la difesa del ricorrente lamentava l'omessa comunicazione dell'avvio del procedimento amministrativo di espulsione, in violazione del principio di carattere generale di cui all'art. 7 della legge n. 241/1990, non ricorrendo le esigenze di celerità affermate dall'amministrazione e non avendo, per le ragioni indicate, lo straniero alcuna ragione di rendersi irreperibile. Infine il ricorrente affermava che il decreto opposto avrebbe violato le norme in materia di unità famigliare (artt. 29 e 30 della Costituzione, l'art. 8 della legge 4 agosto 1955, n.848 e l'art. 13 della Convenzione OIL del 24 giugno 1975, n. 143, ratificata in Italia con legge 10 aprile 1981, n.158). Secondo le argomentazioni esposte i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio, ed in particolare quelli di mantenere, istruire, educare i figli, non potevano considerarsi cessati con la maggiore età, con la precisazione che nella specie sarebbe stato violato il diritto alla vita familiare del ricorrente e, segnatamente, al mantenimento della relazione con la madre ed i fratelli, in una situazione in cui la misura dell'espulsione non trovava giustificazione nei superiori interessi pubblici (ad es. la sicurezza nazionale, il benessere economico del paese, la difesa dell'ordine pubblico, la prevenzione dei reati, la tutela della salute o della morale,...).

Nel corso della presente procedura l'Amministrazione versava in atti il contestato modulo plurilingue, apparentemente sottoscritto dal ricorrente in data 16.11.2003, ove la data dell'ingresso in Italia veniva individuata nel 21.5.2003.

All'esito della prima udienza questo giudice disponeva la sospensione, in via cautelare, dell'efficacia esecutiva del decreto di espulsione impugnato, ed invitava il difensore del ricorrente a documentare l'inserimento del ricorrente presso la famiglia d'origine, la regolarità della presenza in Italia dei suoi congiunti, e lo svolgimento di attività lavorativa, o la frequentazione della scuola, da parte dei parenti presenti in Italia. Successivamente lo stesso difensore veniva autorizzato a depositare una memoria al fine di meglio approfondire la questione di costituzionalità prospettata con il ricorso introduttivo. All'udienza del 26.4.2004 il difensore del ricorrente insisteva, in principalità, per l'accoglimento del ricorso, in subordine affinché fosse sollevata la questione di costituzionalità dell'art. 29, comma 1, del d.lgs. 286/1998, nonché dell'art. 19, comma 2, dello stesso testo normativo atteso il contrasto con gli artt. 2, 3, 10, 29, 30 Cost., quanto alla prima norma in quanto essa non prevede siano ricongiungibili i figli maggiorenni a carico, se non nel caso in cui essi non siano in grado di provvedere al proprio mantenimento per ragioni di salute, e in ordine alla seconda norma, in quanto essa non prevede il divieto di espulsione anche degli stranieri titolari di un diritto all'unità familiare, conviventi con parenti regolarmente soggiornati con i quali potrebbero essere ricongiunti. Il rappresentante dell'amministrazione concludeva, invece, per la reiezione del ricorso stante l'irregolarità della posizione dello straniero sul territorio nazionale.

Venendo al merito della decisione rileva questo giudicante che il primo motivo del ricorso, inerente alla mancanza di prova circa il momento dell'ingresso in Italia dello straniero, non appare fondato. Ed infatti, premesso che il ricorrente non ha disconosciuto la firma da lui apposta sul modulo plurilingue della questura di Genova (c.d. dichiarazione d'identità personale) versato in atti dell'amministrazione, in relazione alla compilazione dello stesso non si pone un problema di comprensione o meno della lingua italiana, in quanto il modulo in questione contiene anche la traduzione in lingua spagnola dell'informazione che viene richiesta a chi è chiamato a compilarlo. Non vi è pertanto motivo di dubitare della veridicità di quanto affermato dal signor Laniz Rodriguez nel punto in cui egli ha dichiarato di essere entrato nel nostro paese il 21.5.2003. Ciò comporta l'essere pienamente integrata la fattispecie di cui all'art.13,2° comma, lett. b)  del d.lgs. n. 286/1998, relativa al fatto di essersi lo straniero trattenuto nel territorio dello Stato senza avere richiesto il permesso di soggiorno nel termine previsto (otto giorni lavorativi dall'ingresso, ai sensi dell'art. 5, comma 2, del citato testo normativo). In ordine all'ipotesi di un ritardo dovuto alla forza maggiore il ricorrente non solo non ha offerto alcuna prova in tal senso, ma neppure ha fatto cenno a tale problematica.

Quanto al secondo motivo del ricorso, vale a dire il mancato avviso dell'avvio della procedura di cui il ricorrente si duole, la giurisprudenza di questo Ufficio è consolidata nel senso che, a fronte del nuovo quadro normativo determinato dall'entrata in vigore della legge n.189/2002, l'avvenuta tipizzazione delle ipotesi di espulsione amministrativa dello straniero esclude l'esercizio di poter discrezionale  da parte dell'autorità competente, la quale infatti, accertata la ricorrenza di una delle ipotesi previste dalla legge, è tenuta alla automatica emissione del decreto di espulsione, senza necessità di ulteriori indagini volte a verificare caso per caso la sussistenza di ulteriori circostanze. In sostanza, proprio in ragione del carattere obbligatorio e vincolato sopra delineato del provvedimento di espulsione, previsto ai sensi dell'art. 13,2° e 3° comma, della c.d. legge Bossi-Fini, l'amministrazione può dirsi esonerata dall'obbligo di cui all'art. 7 della legge 241/1990, fermo restando la possibilità di differire il pieno contraddittorio tra l'organo che emette il provvedimento e chi ne è destinatario nel giudizio avanti al giudice ordinario.

Devono a questo punto essere affrontati i profili di incostituzionalità della normativa in materia di stranieri evidenziati dal difensore del ricorrente che, sia pure in via subordinata, ha posto al giudicante, come si è anticipato, una serie di questioni inerenti al presunto contrasto del provvedimento impugnato con il diritto all'unità della famiglia. Al fine di una migliore comprensione di tali aspetti appare preliminare dare atto delle risultanze di fatto emerse nel corso della presente procedura per quanto concerne il nucleo parentale di riferimento del Laniz Rodriguez. Risultano essere presenti sul territorio nazionale la madre del ricorrente, signora Delia Mariana Rodriguez Perez, collaboratrice domestica, munita di regolare permesso di soggiorno, titolare di contratto di locazione ad uso abitativo in Genova, il fratello Christian Alberto, diciottenne, pure munito di permesso di soggiorno, e titolare di una ditta individuale di ponteggi, la sorella Fanny, che frequenta la scuola elementare Ghersi di Pontedecimo, ed è indicata come "persona a carico convivente" sul permesso di soggiorno della madre. In definitiva il ricorrente è un giovane ecuadoregno, che all'età di soli 21 anni ha raggiunto in Italia i suoi familiari, evidentemente nella speranza di potere ricostituire nel nostro paese l'unita del nucleo parentale esistente nella nazione di origine. Per completezza è il caso di aggiungere che appare fuori discussione lo stato di dipendenza, anche economica, del ricorrente dal suo nucleo familiare, atteso che non risulta svolgere attività lavorativa e, in quanto irregolare in Italia, egli non può aspirare a lavori regolari.

Tutto ciò precisato in linea di fatto, va ricordato in punto di diritto il contenuto dell'art.2 del d.lgs. n.286/1998 il quale prevede che allo straniero "comunque presente sul territorio dello Stato" sono riconosciuti "i diritti fondamentali della persona umana previsti dalle norme di diritto interno, dalle convenzioni internazionali in vigore, e dai principi di diritto internazionale generalmente riconosciuti". Non può essere poi contestato il fatto che tra i diritti fondamentali della persona, riconosciuti dall'art. 2 della Carta costituzionale, rientri a pieno titolo "il diritto all'unità familiare". Lo stesso Giudice delle Leggi ha avuto modo di affermare la piena equiparazione degli stranieri ai cittadini italiani per quanto concerne il godimento dei diritti in materia di famiglia (si v. ad es. le sentenze n. 28/1995, n. 203/1997). In particolare la Corte, più recentemente (cfr. sent. n. 376/2000), ha ribadito che la più ampia protezione riconosciuta alla famiglia "non può non prescindere dalla condizione, di cittadini o di stranieri (dei genitori), trattandosi di diritti umani fondamentali, cui può derogarsi solo in presenza di specifiche e motivate esigenze volte alla tutela delle stesse regole della convivenza democratica." Proprio nella pronuncia da ultima citata è evidenziato come i principi di protezione dell'unità familiare trovino riconoscimento, non solo nella nostra Costituzione, ma anche in svariate disposizioni dei trattati internazionali ratificati dall'Italia ( gli art.8 e 12 della legge 4 agosto 1955, n. 848 che ha reso esecutiva la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali; l'art. 10 del Patto internazionale relativo ai diritti economici, sociali e culturali; l'art. 23 del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, resi esecutivi dalla legge 25 ottobre 1977, n. 881). In particolare va sottolineato che il diritto all'unità della famiglia secondo la prospettiva delineata dall'art.8 della CEDU, risponde all'esigenza che la vita famigliare di un soggetto, anche non cittadino, possa soffrire ingerenza da parte della pubblica autorità solo quando ciò si riveli necessario "per la sicurezza nazionale, l'ordine pubblico, il benessere economico del paese, la prevenzione dei reati, la protezione della salute o della morale, la protezione dei diritti e delle libertà altrui". In argomento non pare irrilevante ricordare che le norme della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, fatte salve quelle il cui contenuto è di genericità tale da non delineare fattispecie sufficiente puntualizzate, hanno valore precettivo, secondo l'interpretazione che ne ha dato la Suprema Corte (cfr. Cass. S.U. 8 maggio 1989, n. 15), nel senso che esse sono di "immediata applicazione nel nostro paese e vanno concretamente valutate nella loro incidenza sul più ampio complesso normativo che si è venuto a determinare in conseguenza del loro inserimento nell'ordinamento italiano".

Tornando alla fattispecie in esame, va evidenziato il fatto che il nucleo familiare del giovane ricorrente sta provvedendo al suo mantenimento e alla sua assistenza nel pieno rispetto della previsione dell'art. 30 della Costituzione (e dell'art. 147 del nostro codice civile) che afferma, tra l'altro, il diritto  e il dovere dei genitori "di mantenere i figli". Tale diritto - dovere, che ha a che vedere con la maggiore età ma si protrae sino a che il figlio non sia in grado di rendersi autonomo, a meno che egli non sia responsabile per il mancato raggiungimento dell'indipendenza economica. Sotto questo profilo, in considerazione della giovane età del Lanitz Rodriguez, tenuto conto della normativa costituzionale e internazionale in materia, non pare possibile, in linea di principio, negare il diritto del predetto a convivere con la propria famiglia legittima in Italia, atteso che solo all'interno del suo nucleo parentale originario può soddisfare non solo i suoi bisogni materiali, ma prima ancora quelli di natura affettiva e, quindi, morale. In altre parole, ciò che qui si vuole sottolineare è che il globale inserimento, lavorativo e scolastico, dei congiunti del Lanitz Rodriuguez in Italia, rende del tutto astratta e, come tale, non proponibile l'ipotesi che l'unità familiare possa essere realizzata dal ricorrente e dai suoi familiari in un altro paese diverso dal nostro (in questa prospettiva cfr. Trib. Genova, decreto 22 marzo 2004, est. Martinelli, ric. Pico Diaz Mercy Elena). Inoltre, avuto riguardo al fatto che quella vissuta dall'opponente è proprio la condizione in cui, di norma, versa una gran parte dei giovani adulti italiani ancora conviventi con la propria famiglia d'origine, non appare contestabile che sottoporre un ragazzo straniero ad un diverso trattamento comporterebbe una discriminazione non giustificabile sulla base dei principi di diritto in precedenza esposti.

Con riguardo alla vigente normativa in tema di stranieri viene in rilievo l'art.19 del d.lgs. n. 286/1998, il quale nel disciplinare i divieti di espulsione, si limita a fare riferimento ai figli minori di stranieri espulsi, senza prendere minimamente in considerazione la posizione dei giovani adulti, titolari del diritto all'unità familiare, nella misura in cui si tratta di soggetti ancora a carico di parenti coabitanti, questi ultimi in regola con il permesso di soggiorno, con i quali potrebbero essere ricongiunti. Ma, sempre con riferimento allo stesso testo normativo, è pure rilevante il contenuto dell'art.29, comma 1 lett. b-bis),in forza del quale, proprio con riguardo all'ipotesi di figli maggiorenni "a carico", lo straniero può richiedere il ricongiungimento con i predetti soltanto "qualora non possano per ragioni oggettive provvedere al proprio sostentamento a causa del loro stato di salute che comporti invalidità totale". Tale previsione fortemente restrittiva appare irragionevole e gravemente lesiva di quel diritto all'unità familiare di cui, sussistendo determinati presupposti, dovrebbe poter godere anche lo straniero, presente sul territorio di uno Stato estero, ove si tratti di un giovane adulto ancora a carico dei suoi familiari, per ragioni di carattere oggettivo indipendenti, quindi, dalla volontà del soggetto.

La rilevanza dei riferimenti normativi che precedono, ai fini della risoluzione della presente decisione, appare indiscutibile in quanto, come si è accennato, il Prefetto di Genova ha potuto pronunciare l'espulsione in esame proprio per la portata estremamente riduttiva delle disposizioni esaminate, le quali non appaiono conformi al quadro costituzionale e alle convenzioni internazionali in materia. In definitiva per tutte le ragioni indicate nella motivazione che precede le due norme da ultimo citate sembrano porsi in contrasto con gli articoli 2, 3, 10, 29 e 30 della nostra Costituzione. Conseguentemente, in quanto ritenute non manifestamente infondate, si ritiene di dover sollevare la questione di costituzionalità dell'art.19, comma 2°, del d.lgs. n. 286/1998, nella parte in cui non prevede il divieto di espulsione per giovani adulti stranieri, titolari del diritto all'unità familiare, conviventi con parenti regolarmente soggiornati e a loro carico, nonché dell'art.29,1 comma, lett. b-bis) del decreto legislativo citato (cosi come modificato dalla legge 30.7.2002, n.189), nella parte in cui, come si è visto, limita la possibilità di ricongiungimento familiare ai soli figli maggiorenni "a carico" in ragione di uno stato di salute che comporti "invalidità totale", senza estendere tale previsione anche ai giovani adulti, ancora a carico dei familiari per ragioni oggettive.

P.Q.M

Visti gli artt. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1 e 23 della legge 11 marzo 1953, n.7, dichiara la rilevanza e la non manifesta infondatezza della questione di costituzionalità dell'art. 19 del d.lgs. n. 286/1998, in relazione agli artt. 2, 3, 10, 29 e 30 della costituzione, nella parte in cui, nel disciplinare i divieti di espulsione, non prende minimamente in considerazione la posizione dei giovani adulti, titolari del diritto all'unità familiare, nella misura in cui si tratta di soggetti ancora a carico di parenti coabitanti, questi ultimi in regola con il permesso di soggiorno, con i quali potrebbero essere ricongiunti, nonché dell'art. 29, 1 comma, lett. b-bis) del decreto legislativo citato (così come modificato dalla legge 30.7.2002, n.189), sempre in relazione agli artt. 2, 3, 10, 29 e 30 della Costituzione, nella parte in cui limita la possibilità di ricongiungimento familiare ai soli figli maggiorenni a carico, qualora non possano provvedere al proprio sostentamento a causa del loro salute che comporti invalidità totale, senza estendere tale previsione anche ai giovani adulti, ancora a carico dei familiari, per ragioni oggettive. Dispone la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e sospende il giudizio in corso. Ordina che a cura della Cancelleria la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa, al Presidente del Consiglio dei Ministri, nonché comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.