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Associazione per gli Studi Giuridici sull'Immigrazione
 
 
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Tribunale di Treviso, sezione distaccata di Conegliano, ordinanza del 19 maggio 2004

 
est. Deli
 

Nel procedimento penale nei confronti di [...] residente [...] e con domicilio eletto c/o la ditta [...] - libera-presente, opponente a decreto penale n. 692/02 revocato in apertura di dibattimento - imputata del reato di cui all'art. 22, 10° comma del d.lgs. 25.07.1998 n. 286 perché, in qualità di legale rappresentante dell'associazione sportiva [...] e quindi di datore di lavoro, occupava alle proprie dipendenze il cittadino extracomunitario [...] privo di permesso di soggiorno.

Accertato in Vittorio Veneto il 13.11.2001. [...].

L'imputata - nella memoria depositata dal difensore - contesta che il cittadino ecuadoregno, che, come si legge nel rapporto degli agenti della Guardia di finanza, nella mattinata del 13 novembre 2001 si trovava nei locali dell'associazione sportiva [...], fosse un dipendente dell'associazione stessa attesa la casualità ed estemporaneità della sua presenza in loco chiedendo, sia pure in via subordinata di essere ammessa a provare tale circostanza.

La difesa ha peraltro evidenziato che il contegno addebitato alla sig.ra Piccin non sarebbe comunque riconducibile alla fattispecie incriminatrice (art. 22, comma 10, d.lgs. 286/1998).

La tesi appare fondata. Se partiamo dal dettato letterale dell'art. 22, co.10, d.lgs. n. 286/1998 risulta palese che viene sanzionata la condotta "del datore di lavoro che occupa alle proprie dipendenze lavoratori stranieri privi del permesso di soggiorno previsto dal presente articolo, ovvero il cui permesso di soggiorno sia scaduto, revocato o annullato...".

Nella norma il contegno sanzionato viene descritto ed individuato con l'impiego del termine "lavoratori stranieri", e, quindi, con un termine espresso al plurale.

Le regole proprie dell'interpretazione delle norme penali codificate dall'art. 2 del c.p. e dall'art. 14 delle preleggi, non consentono una interpretazione analogica, ma impongono una interpretazione secondo il principio di tassatività dei fatti di reato: ne consegue che il reato de quo sussiste quando vi sia l'assunzione di "lavoratori stranieri" irregolari e, quindi, di almeno due persone e non quando invece sia assunta una sola unica persona.

Tale conclusione è a fortiori confermata da un esame comparativo con la norma di cui all'art. 24, comma 6, della medesima legge che sanziona l'assunzione di cittadini stranieri irregolari per lavori di carattere stagionale: "Il datore di lavoro che occupa alle sue dipendenze, per lavori di carattere stagionale, uno o più stranieri privi del permesso di soggiorno per lavoro stagionale, ovvero il cui permesso sia scaduto, revocato, annullato, è punito ai sensi dell'art. 22, comma 10".

Nella descrizione di altra fattispecie criminosa connessa all'impiego di stranieri irregolari il medesimo legislatore ha quindi utilizzato l'espressione "uno o più stranieri", non limitandosi all'impiego del termine lavoratore al plurale come nell'art. 22.

Si può dunque ritenere che la diversità terminologica sia l'espressione della precisa volontà del legislatore di sanzionare penalmente solo l'assunzione di due o più lavoratori stranieri.

Diversamente si sarebbe descritto il fatto penalmente rilevante utilizzando anche nell'art. 22, come nel successivo art. 24, l'espressione "uno o più stranieri".

Del resto, sia detto per inciso, l'assunzione di un solo lavoratore si verifica quasi sempre in situazioni particolari (si pensi al noto fenomeno della assistenza degli anziani, malati, ect..) in cui il "datore di lavoro" non persegue esigenze di profitto.

Queste situazioni, salvi eventuali illeciti amministrativi, giustificano un minor rigore nella disciplina legislativa, rispetto ad altri fenomeni di sfruttamento, tipici della produzione industriale o artigianale, che il legislatore ha invece ritenuto di perseguire anche con la sanzione penale.

In definitiva l'assunzione per un'attività lavorativa di carattere non stagionale di un solo straniero irregolare, non rientra nella fattispecie incriminatrice, quale espressa dal suo dettato letterale, anche comparato con il dettato dell'art. 24, comma 6, della medesima legge.

P.Q.M

Visto l'art. 129 e 530 c.p.p. assolve l'imputata dal reato a lei ascritto perché il fatto non è previsto dalla legge come reato. Revoca il decreto penale opposto. Fissa termine di gg. 30 per la motivazione.