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Associazione per gli Studi Giuridici sull'Immigrazione
 
 
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Corte d'Appello di Perugia, decreto del 25 marzo 2004

 
est. Santilli
 

Svolgimento del processo

Con ricorso depositato il giorno 19 dicembre 2003 il ministero dell'interno ed il ministero degli affari esteri hanno proposto reclamo, nei confronti di [...] contro il decreto del 9 dicembre 2003, reso tra le parti dal tribunale di Perugia, con il quale quest'ultimo aveva accolto l'impugnazione proposta dalla [...] contro il diniego del visto di ingresso consolare per I propri figli minori. Costituito il contraddittorio, [...] ha resistito al gravame. Il reclamo è stato discusso e deciso all'udienza camerale del giorno 26 febbraio 2004.

Motivi della decisione

[...] cittadina marocchina residente in Italia, ha chiesto il ricongiungimento con due figli minori residenti in Marocco. Il questore della provincia di Perugia ha concesso il nulla osta. L'ambasciata d'Italia a Casablanca [...] viceversa, ha negato ai menzionati figli minori il visto di ingresso. La [...] ha proposto ricorso ex art. 30, comma 6, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286. Il tribunale di Perugia ha accolto il ricorso ed ha così statuito: «tenuto conto che le persone per cui si chiede il ricongiungimento sono i figli minorenni della richiedente, rilevato il principio dell'unità familiare, dispone il rilascio del visto di ingresso per ricongiungimento familiare a favore di entrambi i figli minorenni».

I reclamanti, a fondamento del reclamo, hanno dedotto violazione e falsa applicazione dell'articolo 29, comma l, lettera b), del decreto legislativo n. 286 del 1998, nonché degli artt. 136, 147, 148 e 149 della [...], ossia il codice dello stato delle persone e delle successioni vigente nel regno del Marocco, richiamati dal criterio di collegamento indicato dall'articolo 36 della legge n. 218 del 1995 sul diritto internazionale privato. Osservano i reclamanti che l'articolo 29, comma 1, lettera b), del decreto legislativo n. 286 del 1998 condiziona il ricongiungimento familiare dei figli minori alla circostanza che essi siano «a carico» del genitore istante. Nel caso di specie, il presupposto della vivenza a carico mancherebbe per la ragione che, secondo il diritto marocchino richiamato, la madre dei minori non ne avrebbe la rappresentanza. Ed invero - ricordano le amministrazioni reclamanti - l'articolo 136 della [...], stabilisce che «le persone incapaci [...] sono sottoposte alle regole della tutela paterna, testamentaria o dativa»; l'articolo 147 conferma che «la rappresentanza legale dell'incapace è assicurata dalla tutela paterna, testamentaria o dativa»; l'articolo 148, soprattutto, stabilisce che la rappresentanza legale è assicurata nel seguente ordine: l) il padre; 2) la madre maggiorenne, in caso di decesso o di incapacità legale del padre. Comunque la madre non può alienare i beni dei minori senza l'autorizzazione del giudice; 3) il tutore testamentario o il suo delegato; 4) il giudice; 5) il tutore dativo».

Da tale complesso normativo - proseguono le amministrazioni - discende che la madre non può in alcun caso assumere la rappresentanza dei figli minori, mentre il padre, ai sensi del successivo articolo 149 del medesimo testo, «è tenuto a esercitare la tutela», non potendovi rinunciare, con l''ulteriore conseguenza che, non avendo la madre la rappresentanza legale dei minori, questi non possono essere considerati «a carico», ai sensi del citato articolo 29 del decreto legislativo n. 286 del 1998.

In sostanza, l'ostacolo al ricongiungimento viene individuato nella condizione giuridica della [...] nei confronti dei figli, dal momento che, in Marocco, l'istituto della potestà patria impedisce comunque alla madre, sia se coniugata, sia se ripudiata - come nel caso di specie - di assumere la rappresentanza legale dei figli, tranne in caso di morte del padre: quest'ultimo - soggiungono ancora in via di fatto le amministrazioni - non è morto ma ha semplicemente consentito all'espatrio dei figli, i quali risultano attualmente affidati a tale [...], zia dei minori.

Il reclamo va respinto.

Il ragionamento seguito dalle reclamanti, pur non del tutto destituito di fondamento, muove però da una disciplina giuridica inapplicabile. Ed invero, se dovesse darsi ingresso al presupposto accolto dall'amministrazione, ossia che la madre dei due minori è priva della potestà sui medesimi, non potrebbe ritenersi palesemente erronea (salvo quanto si osserverà al paragrafo successivo) l'affermazione che i suoi figli non possono essere considerati «a carico», ancorché la madre provveda al sostentamento dei medesimi, giacché tale sostentamento non deriverebbe da un obbligo giuridico, ma - se così si può dire, per quanto assurdo ciò possa apparire agli occhi del giudice italiano - da una sorta di atteggiamento di liberalità.

Tuttavia, le norme richiamate dell'ordinamento marocchino non possono qui trovare applicazione, per contrarietà all'ordine pubblico internazionale (art. 16 della legge 31 maggio 1995, n. 218). Occorre dire che l'ordine pubblico del quale occorre qui fare applicazione comprende il complesso dei principi, ivi compresi quelli desumibili dalla Carta costituzionale, che formano il cardine della struttura economico-sociale della comunità nazionale in un determinato momento storico, conferendole una ben individuata ed inconfondibile fisionomia, nonché quelle regole inderogabili, le quali abbiano carattere di fondamentalità (che le distingue dal più ampio genere delle norme imperative) e siano immanenti ai più importanti istituti giuridici. Ora - ritiene la Corte - se vi è un principio che con tranquillità si può ricondurre al menzionato superiore ordine di cogenza, poiché scritto a chiare lettere nella Costituzione e ampiamente penetrato, di qui, in tutto il tessuto della pertinente legislazione ordinaria, questo è il principio della parità dei coniugi (art. 29, comma 2, Cost. ) e, ancor più - per la sua pertinenza al caso - il principio secondo cui i genitori hanno diritto, ma hanno parimenti dovere di mantenere i figli, dovere al quale essi non possono mai sottrarsi, salvo il caso dell'incapacità (art. 29, comma 2, Cost.).

Ciò detto, la Corte non dubita che la disciplina giuridica cui le amministrazioni si sono riferite pone, da un lato, la madre, in una palese condizione di minorità (tanto che ella non ha la rappresentanza dei figli nemmeno se il padre li abbia abbandonati, fin tanto che non sia morto) in stridente contrasto con il principio di eguaglianza, e, dall'altro lato, comporta un esonero dal dovere di mantenimento assolutamente insuscettibile di attecchire nel nostro ordinamento: sarà sufficiente, a tale ultimo riguardo, rammentare, per la cartesiana evidenza, che la madre, una volta integrata la fattispecie delittuosa di cui all'articolo 570 c.p. (per il caso che il genitore faccia mancare i mezzi di sussistenza ai discendenti di età minore), non avrebbe alcuna speranza di sottrarsi alla condanna invocando l'ordinamento marocchino.

Val quanto dire che, in ossequio ai fondamentali principi che si sono ricordati, la [...] è ineluttabilmente tenuta al mantenimento dei figli: e, essendo giuridicamente tenuta al mantenimento, i figli nei cui confronti chiede il ricongiungimento sono da considerare (nella misura in cui ella provvede a mantenerli) «a carico».

Sotto altro profilo, occorre ricordare che l'articolo 3, comma 1, della Convenzione sui diritti del fanciullo fatta a New York il 20 novembre 1989, resa esecutiva in Italia con legge 27 maggio 1991, n. 176, stabilisce che: «in tutte le decisioni relative ai fanciulli, di competenza sia delle istituzioni pubbliche o private di assistenza sociale, dei tribunali, delle autorità amministrative o degli organi legislativi, l'interesse superiore e del fanciullo deve essere una considerazione preminente».

Tale disposizione è ripresa, pressoché alla lettera, dall'articolo 28, comma 3, del decreto legislativo n. 286 del 1998: sicché, dovendosi prioritariamente guardare al ricongiungimento figli minori-madre nell'ottica dell'interesse dei minori all'unità familiare, non può omettersi di considerare che, secondo quanto è pacifico in causa, i minori in questione sono attualmente affidati (non è chiaro il profilo giuridico dell'affidamento) ad una zia, mentre il padre ha prestato il suo espresso consenso, documentato con la dichiarazione agli atti, all'espatrio dei figli minori, in vista del loro ricongiungimento con la madre.

Orbene, è di tutta evidenza che la soluzione patrocinata dalle amministrazioni reclamanti si porrebbe in aperta violazione con il principio - anche esso dotato di protezione costituzionale, nella misura in cui l'ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme di diritto internazionale generalmente riconosciute, ex art. 10 cost. - secondo cui in ogni procedimento giurisdizionale diretto a dare attuazione al diritto all'unità familiare, con riguardo ai minori, occorre guardare all'interesse di questi. Si finirebbe, infatti, per porre in secondo piano l'evidente interesse dei minori a ricongiungersi con la madre, dal momento che il padre non si occupa di loro, come è testimoniato dalla circostanza che essi non con il padre vivono - il quale ha anzi consentito all'espatrio - ma con una zia.

Ed allora, sembra da credere che, ove pure non volessero ritenersi risolutivi gli argomenti svolti in ordine alla sussistenza dell'obbligo della madre di mantenere i figli, rimarrebbe comunque da considerare che il prioritario interesse dei minori imporrebbe un'interpretazione della nozione di vivenza «a carico» quale mero contributo al mantenimento apportato dal soggetto titolare del vincolo di parentela preso in considerazione dal citato art. 29, tale da determinare (indipendentemente dalla sussistenza della qualità di rappresentante dei figli) l'accoglimento della domanda di ricongiungimento avanzata dalla [...].

E' ovvio, naturalmente, che la nozione di vivenza a carico è fatta - come si accennava anche di un elemento materiale, ossia il concreto contributo al mantenimento, il quale faccia ritenere che il mantenuto sia, appunto, a carico del congiunto. Ma, nel caso in esame, su tale requisito la Corte non ha nulla da dire, dal momento che il reclamo non se ne occupa affatto. Del resto, la sussistenza del menzionato requisito può essere considerata pacifica, giacche, ab origine, il questore di Perugia si è pronunciato per il nulla osta al ricongiungimento, ricongiungimento che è stato poi denegato sull'esclusiva considerazione dell'operatività della già ricordata disciplina giuridica marocchina.

Le spese del grado seguono la soccombenza (vedi app. Firenze 11 aprile 2001, Giur. merito, 2001,739; Arch. civ., 2001, 1154). Vi è da dire che la reclamata sollecita anche il rimborso delle spese del primo grado, ma, al riguardo, la Corte ritiene equa la compensazione, giacché, fino all'intervento della prima decisione, la questione discussa poteva mostrare un certo tratto di opinabilità.

P.Q.M.

pronunciando sul reclamo proposto dal ministero dell'interno e dal ministero degli affari esteri nei confronti di [...] contro il decreto del 9 dicembre 2003 preso tra le parti dal tribunale di Perugia, così provvede: rigetta il reclamo; condanna la parte reclamante al rimborso, in favore della parte reclamata, delle spese sostenute per questo grado del giudizio [...].