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Associazione per gli Studi Giuridici sull'Immigrazione
 
 
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Tribunale di Milano, decreto del 29 luglio 2004

 
est. Massenz
 

Proc. n. 3963/04 r.g., il giudice, letto il ricorso ex art. 13 d.lgs. 286/98 proposto da Ravelli Lucas avverso il decreto di espulsione del prefetto di Milano n. 5400/Id/04 del 21.5.2004; visti gli atti del procedimento; letta la memoria della questura di Milano pervenuta il 27.7.04; a scioglimento della riserva formulata all'udienza del 28.7.04;

osserva

Il sig. Ravelli Lucas ha proposto tempestivamente ricorso avverso il decreto di espulsione emesso dal prefetto di Milano in data 21.5.2004, lamentando in primo luogo, la mancata traduzione del decreto in lingua portoghese - unica lingua conosciuta essendo il ricorrente di nazionalità brasiliana - ed eccependo, in secondo luogo l'incostituzionalità della previsione di cui all'art. 13, comma 3, del d.lgs. 286/98, per violazione degli artt. 2, 10, 24, 111 e 113 della costituzione.

All'udienza fissata per la discussione del ricorso comparso il solo difensore del ricorrente, mentre la questura di Milano ha fatto pervenire memoria e documenti.

Ritiene questa giudicante di dover preliminarmente esaminare l'eccezione di illegittimità costituzionale proposta dal ricorrente, ritenuta rilevante ai fini della decisione. Dispone l'art. 13, 3° comma del d.lgs. 286/98 che "l'espulsione è disposta in ogni caso con decreto motivato immediatamente esecutivo, anche se sottoposto a gravame o impugnativa da parte dell'interessato".

L'art. 14 del citato decreto disciplina, poi, le modalità di esecuzione del decreto di espulsione, nelle varie forme, dell'accompagnamento alla frontiera, del previo trattenimento presso un centro di permanenza e assistenza temporanea, e, infine, dall'emissione, a cura del questore, dell'ordine di lasciare il territorio dello Stato entro il termine di cinque giorni, con indicazione delle conseguenze penali in caso di trasgressione. A seguito del deposito del ricorso, da presentare entro giorni dalla notificazione del decreto di espulsione, il giudice deve decidere entro 20 giorni, previa fissazione dell'udienza in camera di consiglio, nella quale l'autorità che ha emesso il decreto "può stare in giudizio personalmente o avvalersi di funzionari appositamente delegati" (art. 13 bis d.lgs. 286/98).

La disciplina in esame non prevede espressamente il diritto del ricorrente di presenziare personalmente all'udienza  fissata per la decisione del ricorso. Dispone, però (art. 13, comma 8), che lo straniero possa sottoscrivere il ricorso anche personalmente, che sia assistito da un difensore nominato dal giudice qualora ne sia sprovvisto e, ove necessario, da un interprete. E' certamente la nomina dell'interprete l'elemento qualificante che induce a ritenere che il legislatore abbia inteso garantire allo straniero il diritto di partecipare all'udienza, assicurandogli la possibilità di esprimersi e comprendere quanto viene detto dai presenti.

Tale garanzia, ritenuta da questa giudicante, come si dirà più avanti, indispensabile ossequio ai principi costituzionali del diritto di difesa enunciato dall'art. 24 della Carta costituzionale, viene di fatto vanificata dalla previsione, già citata, relativa all'immediata efficacia esecutiva del provvedimento di espulsione. Anche nell'ipotesi più "blanda" di esecuzione del provvedimento di espulsione, consiste nell'ordine del questore di lasciare il territorio nazionale entro cinque giorni dalla notificazione del provvedimento stesso, lo straniero non é posto in condizione di presenziare all'udienza, perché la mancata osservanza dell'ordine nel termine indicato é sanzionata penalmente dal comma 5 ter dell'art. 4 del d.lgs. 286/98. E' evidente che non può dirsi garantito dall'ordinamento il diritto dello straniero a presenziare all'udienza se per esercitarlo l'interessato deve contravvenire ad una disposizione penale (che, tra l'altro, sino alla recentissima sentenza della Corte costituzionale n. 223/04) imponeva anche l'arresto obbligatorio.

Deve aggiungersi, per completezza, che l'art. 17 del d.lgs. 286/98 ha disciplinato, per lo straniero parte offesa ovvero sottoposto a procedimento penale, l'autorizzazione a rientrare in Italia "per il tempo strettamente necessario per l'esercizio del diritto di difesa al solo fine di partecipare al giudizio o al compimento di atti per i quali è necessaria la sua presenza", ma nulla ha previsto per lo straniero che, già espatriato a seguito di decreto di espulsione, abbia presentato ricorso avverso il decreto medesimo.

E' opportuno evidenziare che, anteriormente alla modificazione al d.lgs. 286/98 introdotte con la recente legge n. 189/02, la questione era stata, almeno in parte, oggetto di attenzione da parte del legislatore. Salvi i casi di accompagnamento immediato alla frontiera, infatti, l'esecuzione del decreto di espulsione veniva effettuata mediante intimazione a lasciare il territorio nazionale nel termine di 15 giorni. Poiché secondo la precedente disciplina il termine per proporre opposizione era di cinque giorni e il giudice doveva decidere entro i successivi dieci, lo straniero era posto in condizioni di non violare l'ordine di allontanamento (violazione dalla quale peraltro non scaturivano conseguenze penali) presenziando all'udienza fissata dal giudice del ricorso e attendendo la successiva decisione sullo stesso. L'eventuale accoglimento dell'opposizione non era reso vano dalla già avvenuta esecuzione dell'espulsione.,

Ritiene questa giudicante, alla luce delle considerazioni sopra esposte, che l'attuale sistema normativo, ed in particolare la previsione dell'immediata efficacia esecutiva del provvedimento di espulsione, coordinata con la concreta possibilità che l'esecuzione avvenga effettivamente, in caso di proposizione del ricorso avverso il provvedimento di espulsione, prima della udienza fissata per la sua discussione, contrastino con il diritto di difesa sancito dall'art. 24 della costituzione, non consentendo all'interessato di partecipare a detta udienza. Pare opportuno, a questo proposito, richiamare quanto già affermato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 198/00: "Al riguardo si deve premettere che l'art. 2, comma 1, del d.lgs. n. 286 dispone che "allo straniero comunque presente alla frontiera o nel territorio dello Stato sono riconosciuti i diritti fondamentali della persona umana previsti dalle norme di diritto interno, dalle convenzioni internazionali in vigore e dai principi di diritto internazionale generalmente riconosciuti". Anche allo straniero deve quindi essere riconosciuto il pieno esercizio del diritto di difesa, sancito dall'art. 24 della costituzione e tutelato altresì dal Patto internazionale sui diritti civili e politici stipulato a New York il 19 dicembre 1966, ratificato e reso esecutivo con la legge 25.10.1977, n. 881, ove all'art. 13 si stabilisce che "uno straniero che si trovi legalmente nel territorio di uno Stato parte del presente Patto non può esserne espulso se non in base a una decisione presa in conformità della legge e, salvo che vi si oppongano imperiosi motivi di sicurezza nazionale, deve avere la possibilità di far valere le proprie ragioni contro la sua espulsione, di sottoporre il proprio caso all'esame dell'autorità competente, o di una o più persone specificamente designate da dette autorità, e di farsi rappresentare innanzi ad esse a tal fine". Principio analogo e poi ribadito nell'art. 1 del Protocollo n. 7 alla convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, adottato a Strasburgo il 22 novembre 1984, ratificato e reso esecutivo con la legge 9.4.1990, n. 98".

La stessa Corte costituzionale, ancora, con la recentissima sentenza n. 222/04, dichiarando incostituzionale l'art. 13, comma 5-bis, del d.lgs. 286/98, nella parte in cui non prevede che il giudizio di convalida debba svolgersi in contraddittorio prima dell'esecuzione del provvedimento di accompagnamento alla frontiera, con le garanzie della difesa, ha affermato che "insieme alla libertà personale è violato il diritto di difesa dello straniero nel suo nucleo incomprimibile. La disposizione censurata non prevede, infatti, che questa debba essere ascoltato dal giudice, con l'assistenza di un difensore".

La mancata previsione della sospensione dell'efficacia esecutiva del decreto di espulsione nella pendenza dei termini per la sua impugnazione e per la decisione nel merito della stessa, allo scopo precipuo di contenergli la partecipazione personale all'udienza davanti al giudice, appare in contrasto, a parere di questa giudicante, con il diritto di difesa riconosciuto dall'art. 24 della costituzione. Tale contrasto é ravvisabile, vieppiù, nel caso di specie, in cui é lo stesso legislatore a prevedere (attraverso l'assistenza dell'interprete garantita dal comma 8 dell'art. 13) la presenza dello straniero all'udienza.

Sulla rilevanza.

La questione proposta é rilevante nel caso in esame, perché, non avendo lo straniero ricorrente presenziato all'udienza fissata per 1a comparizione delle parti, appare preliminare alla decisione sul merito qualificare la sua mancata comparizione, presumibilmente determinata dalla già avvenuta esecuzione dell'espulsione o dal timore di incorrere nella sanzione penale prevista dall'art. 14, comma 5 ter del d.lgs. 286/98.

P.Q.M.

- dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 13, comma 3, del d.lgs. 286/98 nella parte m cui prevede che il provvedimento di espulsione sia "immediatamente esecutivo, anche se sottoposto a gravame o impugnativa da parte dell'interessato", anziché disporre che esso sia esecutivo una volta decorso il termine per proporre ricorso o, in caso di proposizione, sino all'udienza fissata per la decisione sul ricorso medesimo, per violazione dell'art. 24 della costituzione,

- sospende il presente procedimento in attesa della decisione della Corte costituzionale,

- ordina che, a cura della cancelleria, siano trasmessi gli atti alla Corte costituzionale, questo provvedimento sia notificato alle parti e al Presidente del consiglio dei ministri e sia comunicato ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato.