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Associazione per gli Studi Giuridici sull'Immigrazione
 
 
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Tribunale di Torino, decreto del 10 giugno 2004

 
est. Bergamasco
 

II giudice onorario, sciogliendo la riserva assunta all'udienza del 7.6.04; visto il ricorso, depositato in data 22.5.04, presentato dal difensore di Simion Nichita, ex art. 13, del d.lgs, 286/98, avverso il decreto di espulsione «emesso dal prefetto di Torino in data 20.5.04 e notificato in pari data e l'ordine del questore di Torino, emesso pari data; visti gli atti e i documenti prodotti; [...]

osserva quanto segue.

In via preliminare, al fine di verificare la legittimità del provvedimento di espulsione oggetto di impugnazione, occorre analizzare la natura dei rapporti tra questo provvedimento e il provvedimento di rigetto dell'istanza di regolarizzazione, con particolare riferimento alla posizione dello straniero all'inizio e al termine della procedura di regolarizzazione ed alle possibili conseguenze della conclusione a lui sfavorevole di detta procedura.

In primo luogo, pur dovendosi riconoscere la indipendenza dei due procedimenti, che rispondono a distinte finalità individuabili nella legalizzazione del lavoro irregolare di extracomunitari, da un lato, e nell'allontanamento - coattivo o volontario - degli stranieri che non siano in possesso dei requisiti per soggiornare regolarmente sul territorio dello Stato, dall'altro, è di tutta evidenza che il provvedimento dì rigetto dell'istanza di regolarizzazione costituisce, nel caso in oggetto, presupposto e occasione del provvedimento di espulsione. Non solo, intatti, il secondo fa espressa menzione della prima, ma è anche un atto sostanzialmente ad essa conseguente.

Inoltre, se è vero che la procedura di cui alla legge citata poteva essere avviata esclusivamente dal datore di lavoro, è altrettanto vero che le stessa legge disciplina tale procedura avendo ben presente la necessaria compresenza di due soggetti interessati alla sua conclusione, tanto che all'art. 1 comma 5, prevede che la prefettura, inviti "le parti" a presentarsi per l'eventuale stipula del contratto di soggiorno e per il contestuale rilascio del permesso di soggiorno, permanendo le condizioni, e all'art. 2 comma 1, dispone che non possano essere adottati provvedimenti di espulsione dal territorio nazionale nei confronti dei lavoratori compresi nella dichiarazione di cui all'art. 1, fino alla conclusione della procedura di cui allo stesso articolo, salvo che siano pericolosi per la sicurezza dello Stato.

D'altro canto sarebbe quanto meno irragionevole affermare che soggetto interessato alla procedura di emersione/legalizzazione sia esclusivamente il datore di lavoro, quando le conseguenze del rigetto della domanda riguardano anche e in modo decisamente più penalizzante il lavoratore extracomunitario.

Le stessa questura di Torino, infatti, ritenendo che il diniego della richiesta di legalizzazione faccia riassumere allo straniero l'originaria posizione di irregolarità amministrativa che l'avvio della procedura aveva "sospeso" considera tale diniego condizione necessaria e sufficiente per espellere il ricorrente, per non aver egli mai richiesto il permesso di soggiorno.

Ritenuta esistente, quindi, una stretta relazione tra il provvedimento di rigetto dell'istanza di regolarizzazione e il provvedimento dì espulsione, è, tuttavia, necessario ulteriormente chiarire quale sia la posizione in cui viene a trovarsi lo straniero in conseguenza del suddetto rigetto. A tale proposito, l'equiparazione tra lo straniero che non abbia richiesto il permesso di soggiorno nei termini prescritti e non si sia neppure avvalso, sussistendone i presupposti, della possibilità concessagli, unitamente al suo datore di lavoro, dal d.l. 195/02, convertito in l. 222/02, e lo straniero al quale il permesso di soggiorno non sia stato concesso in relazione alla presenza di motivi ostativi di cui all'art. 1 del decreto citato, deve ritenersi discriminatoria e irragionevole.

Discriminatoria in quanto il secondo, contrariamente al primo, pur trovandosi in una situazione di irregolarità, aderendo alla dichiarazione di legalizzazione presentata dal datore di lavoro chiaramente manifesta l'intenzione di modificare la propria posizione di irregolarità e di inserirsi nel contesto socio-lavorativo nazionale, in conformità a quanto stabilito dalla legge.

Irragionevole in quanto la procedura di cui al d.l. 195/02, convertito in l. 222/02 rappresenta, come si è già chiarito, un'opportunità non solo per il datore di lavoro, ma anche per il lavoratore extracomunitario, e non può trasformarsi, in caso di esisto sfavorevole, esclusivamente in una sorta di autodenuncia dello straniero irregolare che legittima il suo allontanamento immediato. Deve, perciò, ritenersi - anche alla luce della giurisprudenza formatesi in pendenza della procedura di regolarizzazione di cui al d.p.c.m 16.10.98 - che la procedura di legalizzazione dei lavoro irregolare di extracomunitari non rappresenti esclusivamente una parentesi destinata a concludersi con il rilascio del permesso di soggiorno o, in caso contrario, a non lasciare nessuna traccia, ma che debba essere più correttamente interpretato come un'ipotesi di rimessione in termini per la denuncia da parte del datore dì lavoro di lavoratori extracomunitari alle sue dipendenze, in posizione di irregolarità, e per il lavoratore extracomunitario per la richiesta del permesso di soggiorno.

Di conseguenza, il rigetto dell'istanza di regolarizzazione, non fa riassumere allo straniero l'originaria posizione di irregolarità amministrativa, e rende applicabile non l'art. 13 comma 2, lett. b) del t.u. 286/98, per non aver mai chiesto il permesso di soggiorno, ma l'art. 12 del d.p.r. 394/99, in base al quale il questore nel provvedimento di rifiuto del permesso di soggiorno, concede allo straniero un termine non superiore a quindici giorni per lasciare volontariamente il territorio dello Stato, avvertendolo che in mancanza si procederà a norma dell'art. 13 del t.u.

La distinzione è fondamentale poiché solo in un seguito all'emissione di un decreto di espulsione con accompagnamento alle frontiera, lo straniero si vede preclusa la possibilità di rientrare nel territorio dello Stato prima che siano decorsi cinque anni dal suo effettivo allontanamento, equiparazione, desumibile dalla motivazione del provvedimento impugnato, tra lo straniero che non abbia chiesto il permesso di soggiorno nei termini di cui all'art. 5 comma 2, del d.lgs. 286/98, e straniero che abbia visto rigettare l'istanza di regolarizzazione presentata ai sensi della legge 22/02, attribuisce al rigetto di tale istanza effetti eccessivamente afflittivi rispetto a quelli punibili da una corretta interpretazione delle finalità della normativa.

Tale scostamento dal principio di ragionevolezza è, perciò, sintomo di un vizio di eccesso di potere che inficia il provvedimento di espulsione emesso nei confronti di Simion Nichita.

Nel caso di specie, infatti, il rigetto dell'istanza di regolarizzazione è stato notificato all'interessato contestualmente al decreto di espulsione e all'ordine di allontanamento del questore di Torino.

Da ultimo, si deve, infine, rilevare che le considerazioni sino ad ora esposte sembrano trovare esplicita conferma nella motivazione della sentenza 7472/04 della Corte di cassazione, che, sia pure in via incidentale, attribuisce al rifiuto di procedere alla legalizzazione del rapporto di lavoro sostanziale natura di atto di diniego del permesso di soggiorno.

L'accoglimento del primo motivo di impugnazione esime dall'esame di ogni ulteriore vizio denunciato.

P.Q.M.

Ritenuto assorbito ogni altro motivo di ricorso, accoglie il ricorso, e per l'effetto annulla il decreto di espulsione emesso dal prefetto di Torino nei confronti di Simion Nichita, in data 20.5.04 e il conseguente ordine di allontanamento adottato dal questore di Torino; compensa le spese.