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Associazione per gli Studi Giuridici sull'Immigrazione
 
 
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Tribunale di Milano, sentenza del 9 marzo 2004, n. 3252

 
est. Marangoni
 

Nella causa civile di I grado iscritta al n. [...], contro Ministero dell'interno, [...].

Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato in data 12.7.2002 [...] conveniva in giudizio dinanzi a questo tribunale, Ministero dell'interno, esponendo di essere cittadino sudanese di religione mussulmana, appartenente al gruppo etnico dei Dinkra residente nella regione meridionale del paese; che da anni in Sudan era in corso un sanguinoso conflitto tra i musulmani arabi - che esprimono il governo del paese - e le minoranze etniche cristiane e musulmane nere delle regioni meridionali, riunite in una associazione politica (S.s.p.a) che raggruppa tutte le forze di opposizione al governo; che tale conflitto era aggravato da continue violazioni dei diritti umani; che l'attore sin dal 1996 era attivo esponente delle forze di opposizione in particolare del movimento S.s.p.a.; che in data 21.12.2000 era stato coinvolto in un grave episodio in cui aveva perso la vita un cittadino sudanese di etnia araba e che per tale fatto era ricercato dalla polizia con l'accusa di omicidio volontario, reato per cui in Sudan è prevista la pena di morte; di essere riuscito ad allontanarsi dal suo paese e, giunto in Italia presso la dogana di Malpensa, di avere presentato istanza di riconoscimento dello status di rifugiato politico; che in data 6.5.2002 la questura di Milano gli aveva notificato il provvedimento di rigetto di tale istanza emesso dalla commissione centrale per il riconoscimento dello status di rifugiato politico; che detto provvedimento non aveva tenuto conto degli elementi di fatto e documentali addotti a sostegno dell'istanza nonché della grave situazione presente in Sudan. Chiedeva pertanto il riconoscimento dello status di rifugiato politico o, in via subordinata, del diritto all'asilo politico di cui all'art. 10 comma terzo cost.

Si costituiva in giudizio il ministero dell'interno, contestando in via preliminare la competenza territoriale del giudice adito; nel merito deduceva la carenza di prova in ordine ai presupposti necessari per il riconoscimento dello status richiesto; che in ordine alla richiesta di riconoscimento del diritto d'asilo rilevava la carenza di interesse ad agire dell'attore, il quale mai in precedenza aveva rivolta tale istanza all'autorità amministrativa competente. Concludeva dunque per l'integrale rigetto delle domande.

[...].

Motivi

In via preliminare deve essere valutata l'eccezione di carenza di competenza territoriale del giudice adito, fondata secondo l'amministrazione convenuta sulla circostanza che la Commissione centrale per il riconoscimento dello status di rifugiato ha sede in Roma.

L'eccezione in tal senso formulata appare incompleta in quanto non riferibile né a tutte le domande formulate dalla parte attrice né a tutti i profili di possibile competenza. Invero la Commissione centrale non ha soggettività propria e deve essere considerata un organo dell'amministrazione centrale cui appartiene. Le norme che vengono in considerazione sono l'art. 25 c.p.c. e gli art. 6, 7 e 9 del r.d. 30 ottobre 1933, n. 1611, sulla rappresentanza e difesa in giudizio dello Stato. Queste norme dispongono che, se davanti ad un tribunale è convenuta in giudizio un'amministrazione dello Stato, competente per territorio è il giudice del luogo dove ha sede l'ufficio dell'avvocatura dello Stato nel cui distretto si trova il giudice dei luogo dove è sorta e si deve eseguire l'obbligazione.

Non può invece trovare applicazione, quanto alla domanda proposta contro un'amministrazione dello Stato, il criterio di collegamento rappresentato dalla sede della persona giuridica (art. 19 c.p.c.) posto che le norme citate non contemplano tale criterio, perché, considerato come persona giuridica, lo Stato non ha propriamente una sede (v. già Cass. SU 1329/74; da ultimo, Cass. 9597/00).

Quanto al merito della controversia, ritiene il giudicante che gli elementi presenti in atti non consentano l'accoglimento della domanda dell'attore relativa al riconoscimento in suo favore dello status di rifugiato ai sensi della l. 39/90 e della Convenzione di Ginevra del 28.7.1951.

Pur tenendo in debito conto l'obbiettiva difficoltà per chi è costretto ad abbandonare il paese d'origine a seguito di comportamenti persecutori da parte delle autorità governative di predisporre una prova documentale o testimoniale adeguata a sostenere l'onere probatorio incombente sulla parte attrice ai sensi dell'art. 2697 c.c., tuttavia nel caso di specie anche una considerazione di tale onere meno rigorosa non consente di individuare con la pur necessaria attendibilità l'esistenza di un intento persecutorio da parte delle autorità sudanesi nei confronti dell'odierno attore.

Com'è noto l'art. 1 della Convenzione di Ginevra del 28.7.1951 annovera tra i rifugiati, tra gli altri, colui che "temendo con ragione di essere perseguitato in ragione della sua razza, religione, nazionalità, dell'appartenenza ad un certo gruppo sociale o di opinioni politiche si trova fuori dal paese di cui è cittadino e non può, o non vuole, a causa di questo timore reclamare la protezione di questo paese".

In tale prospettiva deve essere dimostrato con sufficiente attendibilità, ai fini del riconoscimento dello status in questione, se non la persecuzione m concreto, quantomeno un fondato timore di essere perseguitato (così Cass. S.U. 4674/97). La documentazione prodotta da parte attrice non appare sufficiente ed univoca sul punto.

Rileva invero il collegio che le diverse dichiarazioni rese dall'interessato nelle occasioni in cui egli è stato ascoltato dinanzi alle autorità del nostro paese non risultano tra loro coerenti. Invero dinanzi ai funzionari della questura di Varese in data 22.3.2001 l'attore ha riferito di essere stato costretto a fuggire perché la polizia sudanese arrestava molte persone e gli avevano chiesto dove fossero i ribelli (v. foglio 24 fasc. att.); dinanzi alla commissione centrale in data 6.3.2002 le motivazioni del suo allontanamento dal Sudan sembrano ricondotte a fatti non di apparente rilievo politico (v. 17 in fasc. att.:"Durante una rissa nel suo paese è rimasto ucciso un sudanese del nord, mentre cercava di fare da paciere. Successivamente è arrivata la polizia che ha iniziato ad interrogare le persone presenti. Visto che aveva compreso che lo stavano incolpando dell'omicidio che non aveva compiuto è scappato...".

L'attore ha anche prodotto in atti un documento rilasciato dalla S.s.p.a. privo di data che dichiara l'appartenenza attiva del [...] a tale associazione politica (v. foglio 6 fasc.. att.). Tali elementi risultano nel loro complesso di scarso significato rispetto alla verifica di un effettivo timore di persecuzione, sia in quanto non vi è certezza in ordine alla natura politica degli eventi che hanno indotto l'attore a lasciare il suo paese., sia per la pratica impossibilità di attribuite al documento prodotto il valore di una prova certa dell'appartenenza del [...] ad un movimento di opposizione al governo sudanese, movimenti di cui non si hanno riscontri obbiettivi nemmeno nel documento sulla situazione dei diritti umani in Sudan pubblicato da Amnesty International (v. fogli da 2 a 5 fase. att. ). Se dunque troppo esigui risultano i presupposti di fatto per procedere al riconoscimento dello status di rifugiato politico tuttavia la situazione rilevabile in Sudan sotto il profilo del rispetto dei diritti umani e delle libertà democratiche consente l'accoglimento della domanda subordinata concernente la concessione del diritto d'asilo. L'art. 10, comma 3 Cost, attribuisce invero il diritto d'asilo allo straniero cui sia impedito nel suo paese l'effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla costituzione italiana senza richiederne la concreta persecuzione nello Stato di appartenenza.

Nessun rilievo può essere ricondotto al fatto che attualmente non è operante nel nostro sistema giuridico una normativa di attuazione del precetto costituzionale. Il carattere precettivo e la conseguente immediata operatività della disposizione costituzionale sono da ricondurre al fatto che essa, seppur in parte necessiti di disposizioni legislative di attuazione, delinea con sufficiente chiarezza e precisione la fattispecie che fa sorgere in capo allo straniero il diritto d'asilo, individuando nell'impedimento all'esercizio delle libertà democratiche la causa di giustificazione del diritto ed indicando l'effettività quale criterio di accertamento della situazione ipotizzata (così Cass. S.U. 4674/97 cit.).

A tal fine appare sufficiente quanto rilevabile dal rapporto annuale di associazioni indipendenti rivolte alla tutela dei diritti umani (v. rapporto Amnesty International in v. fogli da 2 a 5 fasc. att.), nel quale si evidenziano le gravi violazioni dei diritti umani commesse dalle parti in conflitto nei confronti dei diritti civili che vivono nelle zone petrolifere del Sudan (bombardamenti indiscriminati, rapimenti, riduzione in schiavitù, reclutamento forzato, torture ed uccisioni) nonché nei confronti di avvocati, giornalisti, studenti e difensori dei diritti umani che hanno subito vessazioni ed intimidazioni nonché arresti e torture.

In particolare risultano denunziate torture e maltrattamenti in molte città controllato dal governo sudanese, ma anche nel territorio controllato dalle milizie d'opposizione, nei confronti di oppositori politici, denunzie senza esito alcuno per i responsabili, di fatto non perseguiti.

Grave la situazione risulta anche per ciò che riguarda abusi è violenze nei confronti delle donne, che avrebbero subito anche restrizioni nella loro libertà di movimento.

Sussistono dunque i presupposti per la concessione del diritto all'asilo in favore dell'attore.

Quanto alle spese del presente giudizio ritiene il collegio che sussistano i presupposti per dichiararne l'integrale compensazione tra le parti.

P.Q.M.

il tribunale, definitivamente pronunciando, ogni ulteriore domanda, eccezione e deduzione disattesa, cosi decide:

l) in accoglimento della domanda svolta in via subordinata da [...] nei confronti del Ministero dell'interno con atto di citazione notificato in data 12.7.2002, dichiara il diritto dell'attore all'asilo nel territorio nazionale ai sensi dell'art. 10 terzo co. Cost.;

2) respinge le altre domande di parte attrice;

3) dichiara integralmente compensate tra le parti le spese del giudizio.