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Associazione per gli Studi Giuridici sull'Immigrazione
 
 
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Tribunale di Sassari, ordinanza del 26 aprile 2004

 
est. Cirielli
 

A scioglimento della riserva espressa all'udienza del 22.4.2004, visti ed esaminati gli atti relativi all'impugnazione avverso il decreto di espulsione a titolo di sanzione alternativa ai sensi dell'art. 16 d.lgs. n. 286/1998 modificato dall'art. 15 legge n. 189/2002, emesso in data 20.11.02 dal magistrato di sorveglianza di Nuoro proposto da [...] nato in Marocco nel 1972, in detenzione domiciliare presso la Comunità il Samaritano in Arborea, loc. Centro 1 Sassu, in relazione ai seguenti titoli: sentenza Corte appello Milano in data 31.10.00, n. es. 53/02 procura generale Milano, anni 5 mesi 4 di reclusione, inizio pena 10.12.99, fine pena 29.5.04; sentenza gip tribunale Milano in data 26.10.02, n. es. 5271/00 procura tribunale Milano, mesi 10 di reclusione, inizio pena 8.4.04, fine pena 29.3.05. Il tribunale rilevato che l'impugnazione risulta proposta nel termine previsto dall'art. 16 d.lgs. n. 286/1998;

osserva

Il detenuto espia la condanna indicata in epigrafe per reati di cui agli artt. 73 legge 309/90 non rientranti nella previsione di cui all'art. 407 c. 2 lett. a) e la pena residua da espiare non è superiore a due anni. La questura di Nuoro con nota del 26.3.03 ha riferito che il detenuto è identificato in modo certo e che egli si trova in tal una delle situazioni indicate nell'art. 13 c. 2 d.lgs. n. 286/1998 (espulsione amministrativa), in quanto in possesso di permesso di soggiorno scaduto il 22.3.00 non lo ha rinnovato e che non risultano dagli atti situazioni inquadrabili nei divieti di espulsione e di respingimento indicati nell'art. 19 d.lgs. n. 286/1998. Il magistrato di sorveglianza di Nuoro il 19.11.03 ha disposto l'espulsione del soggetto dal territorio dello Stato.

Questo tribunale di sorveglianza con ordinanza del 1.4.04 ha concesso al detenuto la misura della detenzione domiciliare presso la comunità il Samaritano di Arborea, talché il collegio ritiene che l'ammissione del condannato alla detenzione domiciliare faccia venir meno uno dei presupposti richiesti dalla legge per l'applicazione dell'espulsione da parte del magistrato di sorveglianza. La sanzione alternativa di cui all'art. 16 cit. è prevista solo per i "detenuti" e in mancanza di una espressa previsione legislativa non appare corretto estendere la norma anche ai detenuti domiciliari.

In primo luogo la detenzione domiciliare è ricompresa nel novero delle misure alternative disciplinate specificamente dal capo VI del titolo I dell'ordinamento penitenziario. La circostanza che la stessa fu introdotta dal legislatore del 1986 quale proiezione nella fase esecutiva dell'istituto degli arresti domiciliari parificati ai sensi dell'art. 284, 5° comma c.p.p. alla custodia cautelare in carcere non può comportare tout court una assimilazione dello status di detenuto con quello sottoposto alla detenzione domiciliare. Quest'ultima, infatti, non può essere ridotta a una mera modalità di esecuzione della pena ontologicamente uguale a quella scontata in carcere eccetto che per il locus custodiae. Infatti già all'epoca della sua introduzione detta misura, seppure caratterizzata da finalità umanitarie e assistenziali e dall'assenza di specifiche previsioni a contenuto risocializzante, si configurava come una vera e propria pena alternativa caratterizzata dalla soggezione a prescrizioni limitative della libertà sotto la vigilanza del magistrato di sorveglianza e con l'intervento del Servizio sociale in una ottica comunque generale di conseguimento della finalità rieducativa prevista dall'art. 27 cost. (v. in tal senso Corte costituzionale sent. 6.6.1989 n. 337 e successivamente tra le altre sent. 5.6.1997 n. 173).

Va, poi, osservato che con le modifiche introdotte dalla legge n. 165/1998 la detenzione domiciliare ha accentuato gli aspetti sicuramente più vicini alla ordinaria finalità di reinserimento sociale propria delle altre misure alternative. La circostanza, infatti, che non sia più limitata alla tutela dei "soggetti deboli" ma sia applicabile in tutti i casi di pena non superiore ai due anni, purché non sussista il pericolo di recidiva, sta a dimostrare che è "volta ad assecondare il passaggio graduale allo stato di libertà pieno mediante un istituto che sviluppa la ripresa dei rapporti familiari ed intersoggettivi, senza incidere negativamente sulle eventuali opportunità di lavoro" (v. sent. Corte cost. 27.10.1999 n. 422).

Ciò premesso in ordine alla natura dell'istituto va rilevato come il legislatore ha inteso dettare in materia di detenzione domiciliare una disciplina distinta rispetto a quella prevista per detenuti in carcere. L'art. 47 ter legge 1975 n. 354 prevede espressamente che il condannato nei confronti del quale è disposta la misura non è sottoposto al regime penitenziario previsto dalla legge 1975 n. 354 e dal relativo regolamento di esecuzione. E soprattutto quando il legislatore ha voluto equiparare le due situazioni lo ha detto esplicitamente come ad esempio in materia di liberazione anticipata (v. art. 54, 1 comma O.P.) o di applicabilità dell'art 385 c.p. anche nei confronti del detenuto domiciliare che si allontani dal luogo di fruizione della misura. Previsione quest'ultima sancita in modo espresso dall'art. 47 ter O.P. nonostante l'ampia dizione contenuta nella norma del codice penale.

L'interpretazione qui sostenuta appare, inoltre, conforme alla ratio perseguita dal legislatore che nel dettare l'art. 15 legge 30.7.02 n. 189 ha inteso rinunciare all'esecuzione della pena al fine di ridurre il numero di coloro che sono ristretti in carcere assicurando comunque mediante l'espulsione una finalità di prevenzione speciale. Va, infatti, osservato che se la ratio della norma in esame fosse stata quella di espellere dal territorio dello Stato qualunque soggetto sottoposto all'esecuzione di pena anche in forma alternativa - e sempre che ovviamente non fosse in regola con il permesso di soggiorno - il legislatore avrebbe usato il termine generale di condannato e non quello più specifico di detenuto. D'altra parte proprio la scelta di quest'ultimo termine indica che il legislatore ha voluto escludere gli affidati in prova al servizio sociale non essendo questi ultimi sicuramente sottoposti ad alcuna forma di detenzione in senso proprio. Ma se così è non si capisce perché si dovrebbe estendere l'applicazione della norma ai detenuti domiciliari i quali sono sottoposti al pari degli affidati - come già evidenziato - ad una misura alternativa tendente alla loro risocializzazione.

Inoltre, coloro che sono sottoposti alla detenzione domiciliare non gravano neppure dal punto di vista economico a carico dell'amministrazione penitenziaria e la loro espulsione non avrebbe alcun effetto di deflazione della popolazione carceraria.

Va, infine, osservato come l'espulsione finirebbe in questi casi proprio per colpire quegli stranieri in via di rieducazione e già reinseriti nel territorio nazionale ponendo profili di dubbia legittimità costituzionale della norma. L'espulsione è pur sempre una misura incidente sulla libertà personale, e cioè su un diritto inviolabile dell'uomo, e nel sospendere la pena comporta indubbiamente un'interferenza sull'adempimento delle funzioni connesse all'applicazione del trattamento penitenziario. Ma tale interferenza per non essere illegittima deve essere ragionevole. Non v'è dubbio, infatti, che la regolamentazione dell'ingresso e del soggiorno degli stranieri sia collegata alla valutazione di vari interessi pubblici (quali l'ordine e la sicurezza pubblica) e che tale ponderazione sia riservata al legislatore al quale deve riconoscersi in materia ampia discrezionalità, ma nondimeno tale discrezionalità trova un limite nella necessità che la disciplina sia sorretta da criteri logici e giuridici e non sia arbitraria (sent. Corte costituzionale n. 62 del 1994 e n. 283 del 1994).

E nel caso in esame è proprio il corretto bilanciamento degli interessi in gioco che non sembra giustificare la previsione dell'espulsione. La sanzione finirebbe, infatti, per colpire soggetti la cui assenza di pericolosità così come la possibilità di un loro effettivo e idoneo inserimento nel territorio dello stato sono state già positivamente valutate in sede di concessione della detenzione domiciliare e avrebbe l'effetto di porre nel nulla la funzione di rieducazione svolta dalla pena durante la carcerazione fino ad allora sofferta.

Nel caso concreto il condannato ha compiuto un positivo percorso, ha fruito regolarmente di permessi premio e ha reperito un domicilio presso la comunità il Samaritano di Arborea. L'espulsione verrebbe ad incidere proprio sulla fruizione di un beneficio già concesso comportandone di fatto una revoca indipendentemente da un comportamento colpevole dell'interessato e ciò in contrasto con il principio di "relativa costituzionalizzazione della tutela delle posizione giuridiche acquisite nel corso del trattamento penitenziario" più volte affermato dalla stessa Corte costituzionale in relazione all'art. 4 bis O.P." (v. per tutte sent. n. 445/1997).

Le considerazioni svolte impongono l'accoglimento dell'impugnazione.

P.Q.M.

visti gli artt. 666,678,16 l.1998 n. 286 come modificato dall'art. 15 legge 30.7.02 n. 189; sentite le conclusioni del P.G. e della difesa, accoglie l'impugnazione proposta da [...] avverso l'ordinanza indicata in epigrafe e per l'effetto non dispone l'applicazione della sanzione alternativa dell'espulsione dal territorio dello stato nei confronti del predetto. Manda alla cancelleria per quanto di competenza.