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Associazione per gli Studi Giuridici sull'Immigrazione
 
 
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Tribunale di Pordenone, decreto del 2 dicembre 2004

 
est. Zaccardi
 

[...]. Con ricorso ex art. 30 d.lgs. 286/1998, depositato il 16.10.2004, [...] e [...], coniugi e cittadini del Ghana, conviventi e soggiornanti in Italia in forza delle rispettive personali carte di soggiorno, hanno esposto di avere presentato alla questura di Pordenone domanda di ricongiungimento familiare per i figli [...]. Il questore, con atto del 14.11.2003, aveva rilasciato nulla osta al ricongiungimento familiare, ai sensi e per gli effetti di cui agli articoli 30 del d.lgs. 286/98 e 6 d.p.r. 394/99.

L'Ambasciata italiana ad Accra, invece, mentre aveva concesso il visto di ingresso per ricongiungimento in favore di [...] e [...], aveva invitato, con nota prot. 2476 del 2.8.2004 diretta a [...], gli interessati a sottoporre la minore [...] al test del DNA. L'autorità stessa, infatti, nutriva seri dubbi sull'esistenza del legame di filiazione tra la ragazza e i ricorrenti.

Ciò premesso, questi ultimi hanno chiesto ordinarsi all'Ambasciata il rilascio del visto di ingresso, rilevando di avere allegato al ricorso (vedasi doc. 5 del fascicolo di parte) copia del certificato di nascita formato dalle autorità del Ghana e che, in ogni caso, nella specie sarebbe sussistente il possesso dello stato di figlio, in tutti gli elementi costitutivi di cui all'art. 237 c.c. Per l'Amministrazione è comparsa nella camera di consiglio del 26.11.2004 una funzionaria della prefettura, appositamente delegata, la quale ha osservato che in Ghana non esisterebbe uno stato civile con regole di registrazione obiettive e rigide come le nostre; la medesima, quindi, onde consentire alla parte resistente di sottoporre al giudice le ragioni a fondamento delle quali l'Ambasciata dubita della filiazione per cui è causa, ha domandato un rinvio.

Motivi della decisione

Il ricorso è fondato e va accolto per un duplice ordine di considerazioni.

I) Ai sensi dell'art. della 33 legge 218 del 1995, l'accertamento della filiazione va compiuto in base alle regole dell'ordinamento nazionale del figlio al momento della nascita. Ancora, è legittimo il figlio (comma 2) considerato tale per la legge di cittadinanza di uno dei genitori. Per il comma 3 dello stesso articolo, infine, non si può contestare lo stato di figlio legittimo acquisito alla stregua delle leggi di cui ai precedenti commi. Nella specie, è pacifica la cittadinanza ghanese, sin dalla nascita, della minore [...] e dei suoi genitori, attuali ricorrenti.

Nessun dubbio, quindi, che la filiazione andava e va accertata soltanto in base alla legge del Ghana. Pertanto, i precedenti giurisprudenziali di questo ufficio, richiamati dalla difesa dei ricorrenti, con i quali, entrando nel merito della sussistenza della filiazione secondo le regole italiane, si accoglievano altri ricorsi ex art. 30 d.lgs. 286/98, fondati su motivi analoghi a quelli di cui alla domanda degli attuali ricorrenti, non sembrano cogliere nel segno. Né rileva indagare se, nella fattispecie in esame, possa essere invocato il possesso dello stato di figlia ai sensi dell'art. 236 comma secondo c.c.; il concetto in questione, infatti, attiene all'accertamento della filiazione per il nostro diritto nazionale e, quindi, in applicazione della regola di diritto internazionale privato di cui al menzionato art. 33 legge 218/95, non è invocabile nel caso di specie, nel quale si deve tenere conto solo della legge del Ghana.

Ora, parte ricorrente ha prodotto (doc. 5) copia di un certificato di iscrizione nei registri di nascita ghanesi, dalla quale si evince chiaramente (né è oggetto di contestazione il tenore delle affermazioni del certificato), seppure in lingua inglese, che la minore, alla quale l'Ambasciata ha ritenuto di negare il visto di ingresso - invitandola a sottoporsi a sue spese all'esame del DNA - è figlia degli attuali istanti. Nell'atto si indica anche il numero di registrazione nel registro delle nascite.

Parte resistente, onde giustificare il rigetto, rileva come lo stato civile del Ghana non sarebbe basato su regole rigide ed oggettive come quelle italiane. Infatti, in quel paese, le risultanze dei registri di nascita rispecchiano le semplici dichiarazioni delle parti. In presenza di una regola chiara e di non oscura interpretazione, però, quale quella dettata dall'art. 33 legge 218, non può fondarsi, il diniego di visto, esclusivamente su una sorta di asserita ed indimostrata superiore dignità del nostro diritto su quello di un altro Stato. Le regole di diritto internazionale privato che richiamano l'applicazione di sistemi giuridici stranieri, infatti, pongono solo il limite dell'ordine pubblico di cui all'art. 16 legge 218. E, non è sostenibile che sia contraria alla clausola generale dell'ordine pubblico (da identificarsi, secondo la Corte costituzionale, sentenza 18/1982, con il principi fondanti sui quali si basano gli istituti giuridici nei quali si articola l'ordinamento positivo italiano), la previsione che i registri di nascita siano formati sulla base delle dichiarazioni degli interessati. Analoga previsione, del resto, contiene il nostro ordinamento (art. 30 d.p.r. 396/2000) per il caso in cui il parto abbia luogo in assenza di personale sanitario. Ora, se anche la legge italiana contempla casi di registrazione degli atti di stato civile sull'esclusiva base delle circostanze riferite dagli interessati, l'analoga previsione del diritto del Ghana, pur se generale, non può ritenersi contrastante con il nostro ordine pubblico.

Negli stessi termini, del resto, si è pronunciata la Suprema Corte di cassazione, sez. I sentenza 14545 dell'1.10.2003, relativa, peraltro, proprio ad un caso di diniego di visto di ricongiungimento in favore di cittadini ghanesi, per l'asserita inattendibilità delle risultanze anagrafiche del Ghana. Dal ragionamento della Corte si evince che il pubblico ufficiale italiano, giudice o funzionario della P.A., deve astenersi dal compiere valutazioni sulla serietà o sul rigore, nell'accertamento dei fatti, degli atti pubblici di stato civile degli altri paesi.

II) Il ricorso va accolto anche per un ulteriore motivo. La Corte di cassazione (tra le altre, sez. I sentenza 2907 del 27.2.2002 e sez. I sentenza 8059 del 27.8.1997) ha costantemente affermato, anche se con riguardo al diverso procedimento per la dichiarazione giudiziale di paternità, che il giudice può trarre argomenti di prova, ex artt. 115 e 116 c.p.c., dal rifiuto della parte di sottoporsi all'esame del DNA, solo ove il mancato consenso sia immotivato. Tale principio di diritto può applicarsi anche alla fattispecie in esame, posto che, anche in questa si discute dell'esistenza o meno di un vincolo di filiazione.

Nella specie, per le ragioni esposte in precedenza, l'opposizione della minore [...] a sottoporsi al prelievo ematico per il relativo esame del DNA, è giustificata. L'interessata, infatti, risulta, in base ad un certificato che produce pieni effetti nel nostro ordinamento, figlia degli attuali ricorrenti. Non si vede perché, quindi, ella avrebbe dovuto assoggettarsi all'esame del DNA, peraltro a proprie spese.

P.Q.M.

accoglie il ricorso e per l'effetto ordina all'Ambasciata italiana di Accra (Ghana) il rilascio del visto, in favore di [...], per ricongiungimento familiare con i genitori [...].