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Associazione per gli Studi Giuridici sull'Immigrazione
 
 
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Tribunale di Milano, sentenza dell'11 novembre 2004

 
est. Nardo
 

Nella causa civile iscritta al numero di ruolo generale Rg. n. 65322/2002, promossa da [...] contro Ministero dell'interno [...] e con il P.M. [...]. Oggetto: riconoscimento di status di rifugiato. [...].

Fatto e svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato in data 15 novembre 2002 il sig. [...], cittadino eritreo, conveniva in giudizio il Ministero degli interni e - ricostruita la situazione storica e politica del suo Paese d'origine, sottolineata la disastrosa azione del partito Fronte per la democrazia e giustizia (P.F.DJ.), partito di governo ed unico autorizzato in Eritrea, che aveva comportato la graduale compressione delle libertà democratiche e l'instaurazione di un regime di oppressioni e di violenza - asseriva: che egli sin dal 1998 era membro attivo del Fronte Democratico Popolare per la liberazione dell'Eritrea; che, a causa del peggioramento della situazione politica interna, degli effetti devastanti della guerra, del rastrellamento dei giovani eritrei per arruolarli forzosamente nell'esercito ed inviare in guerra, nonché della reazione violenta alle proteste degli studenti universitari, egli aveva organizzato la propria fuga dal paese d'origine, partendo nel giugno 2000 insieme alla moglie ed ai due figli in tenera età ed era giunto in Italia nell'ottobre 2001 dopo un viaggio complesso e difficoltoso; che intanto era intervenuto un accordo di pace tra Etiopia ed Eritrea, ma la situazione politica interna in questo ultimo Paese era peggiorata sia sotto il profilo politico che sotto quello dei diritti dei cittadini; che arrivato in Italia, egli era approdato a Ragusa, dove era stato inserito in un centro di prima accoglienza; che ivi gli era stato sottoposto un formulario in lingua italiana, lingua che egli non comprendeva, e che aveva riempito con l'ausilio di volontari a cui egli espressamente aveva dichiarato di volere richiedere lo status di rifugiato politico; che la questura di Bari aveva rilasciato a suo favore un permesso di soggiorno temporaneo - successivamente rinnovato dalla questura di Messina, prima, e dalla questura di Milano, dopo - in cui risultava come motivazione la "richiesta di asilo" e ciò in attesa della decisione della Commissione centrale per il riconoscimento di status di rifugiato; che sentito il 18.07.2002 dalla Commissione, il 16.09.2002 gli era stata notificata la decisione di rigetto dell'istanza con contestuale revoca del permesso di soggiorno. Ciò premesso, l'attore sottolineava il proprio diritto a vedersi riconoscere lo status di rifugiato ai sensi della Convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951. In subordine rilevava la sussistenza dei presupposti per vedersi riconoscere, ex art. 10, comma III, della Costituzione, il diritto all'asilo nel territorio italiano ed il diritto al rilascio di permesso di soggiorno.

Si costituiva il Ministero dell'interno eccependo, in via preliminare, l'incompetenza per territorio del tribunale adito ritenuto unico tribunale competente quello di Roma ai sensi dell'art. 25 c.p.c. e posto che oggetto della domanda proposta era la "disapplicazione" del provvedimento della Commissione centrale per il riconoscimento dello status di rifugiato, la cui sede era a Roma presso il Ministero degli interni.

Nel merito il Ministero convenuto sosteneva l'infondatezza della pretesa avversaria non sussistendo, nel caso di specie, i presupposti per l'applicazione della Convenzione di Ginevra e della L. n. 39/90. [...].

Motivi della decisione

La sussistenza della giurisdizione del G.O. non è in contestazione e, peraltro, è pacifica sia in relazione alla domanda di riconoscimento di status di rifugiato sia a quello di riconoscimento del diritto all'asilo politico. Entrambe le figure, infatti, sono riconducibili alla categorie degli status e dei diritti soggettivi e, pertanto, tutti i provvedimenti assunti dai competenti ordini in materia hanno natura meramente dichiarativa e non costitutiva. Coerentemente a tale principio, l'art. 46 L. 40/98 ha abrogato l'art. 5 della L. 39/90 (abrogazione confermata dall'ari 47 del T.U. 268/98) che attribuiva al giudice amministrativo la competenza per l'impugnazione del provvedimento di diniego di status di rifugiato (Cass. S.U. n. 907/99).

Il Ministero convenuto ha eccepito l'incompetenza territoriale del tribunale di Milano, sul presupposto che oggetto della domanda è l'impugnazione del provvedimento di diniego dello status di rifugiato dell'attore, reso dalla Commissione centrale per il riconoscimento dello status di rifugiato, con sede a Roma presso il Ministero degli interni e, quindi, ai sensi dell'art. 25 c.p.c. ivi andrebbe individuato il giudice territorialmente competente.

L'eccezione è inammissibile perché sollevata sotto il solo profilo sopra indicato e senza riferimento ad altri possibili criteri di collegamento. Deve sottolinearsi che la Commissione centrale non ha una propria soggettività ma è un organo del Ministero dell'interno e che opera anche attraverso l'Ufficio Immigrazione territoriale.

Con riferimento all'amministrazione dello Stato risulta inapplicabile il criterio generale fissato dall'art. 19 c.p.c. in relazione alla sede delle persone giuridiche, mentre deve farsi riferimento all'art. 25 c.p.c. nonché agli arti 6, 7 e 9 del R.D. n. 1611/33, che prevedono che, in caso sia convenuta un'amministrazione dello Stato, competente per territorio è il giudice del luogo dove ha sede l'ufficio dell'Avvocatura dello Stato nel cui distretto si trova il giudice del luogo dove è sorta o si deve eseguire l'obbligazione. Il criterio generale di cui all'art. 19 c.p.c. non è contemplato poiché lo Stato, quale persona giuridica non ha propriamente una sede (cfr Cass. SU. n. 1329/74 e Cass. n. 9597/00).

Nel caso di specie l'attore ha proposto, oltre quella di riconoscimento di status (che neppure può ritenersi una mera impugnazione del provvedimento della Commissione centrale), molteplici domande, che riguardano anche la richiesta di asilo e la disapplicazione del provvedimento di diniego del permesso di soggiorno.

L'Amministrazione convenuta, come rilevato, ha limitato la sua contestazione ad uno soltanto dei possibili criteri di collegamento, con la conseguente inammissibilità dell'eccezione proposta.

Nel merito, la domanda di riconoscimento di status di rifugiato politico proposta da [...] non è fondata.

Va premesso che lo status di rifugiato politico non coincide con quello di avente diritto all'asilo politico. Per un verso la categoria degli aventi diritto allo status di rifugiato politico è meno ampia di quella degli aventi diritto all'asilo politico che, per altro verso, non godono delle particolari garanzie che ai primi competono.

L'art. 1 della Convenzione di Ginevra stabilisce che il termine "rifugiato" va applicato, tra gli altri, a colui che "temendo con ragione di essere perseguitate in ragione della loro razza, religione, nazionalità, dell'appartenenza ad un certo gruppo sociale o di opinioni politiche si trova fuori dal Paese di cui è cittadino e non può e non vuole, a causa di questo timore, reclamare la protezione di questo Paese". La Convenzione di Ginevra, dunque, prevede "quale fattore determinante per la individuazione del rifugiato, se non la persecuzione in concreto, un fondato timore di essere perseguitato, cioè un requisito che non è considerato necessario dall'ari 10, terzo comma, Cost." (Cass. S.U. n. 4674/97).

Tale ultima norma attribuisce il diritto d'asilo allo straniero a cui nel proprio Paese sia impedito l'effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana. Trattasi di norma a carattere precettivo e di conseguente immediata operatività che delinea con sufficiente chiarezza e precisione la fattispecie che fa sorgere in capo allo straniero il diritto d'asilo, individuando la causa di giustificazione del diritto nell'impedimento all'esercizio delle libertà democratiche ed indicando l'effettività quale criterio di accertamento della situazione ipotizzata (Cass. S.U. n. 4674/97).

Ciò premesso, si osserva che nel caso di specie nessuna seria prova è stata fornita dall'attore da cui risulti che egli sia stato oggetto di persecuzioni od abbia subito concrete angherie, vessazioni tali da dimostrare che egli sia stato perseguitato nel proprio Paese d'origine. Né dette prove  sono idonee a confermare la fondatezza dell'asserito timore dell'attore che, in caso di rientro e di permanenza in patria, possa essere verosimilmente oggetto di persecuzione. [...]. Conseguentemente all'attore non può riconoscersi lo status di rifugiato politico.

Al contrario risulta fondata la domanda di asilo politico. Dalla copiosa documentazione in atti, in particolare dai rapporti di Amnesty International, risulta che i principi democratici sono attualmente tutt'altro che rispettati in Eritrea. Il Fronte Popolare per la democrazia e la giustizia (PFDJ) è ancora al potere ed è l'unico partito politico autorizzato, né è prevista alcuna concreta iniziativa per la realizzazione di elezioni multipartitiche, pure previste dalla Costituzione del 1997.

Non risultano attuate le previste garanzie costituzionali per la detenzione arbitraria (attualmente spesso utilizzata arbitrariamente e per reprimere i tentativi di rivendicare i diritti fondamentali), per la libertà di pensiero, di opinione, di espressione di organizzazione e di riunione. Non sussiste un sistema giudiziario; adeguato ad evitare arbitri ed a garantire il diritto di difesa degli imputati e la libertà  dei cittadini. Ancora adesso risultano arresti degli oppositori del governo che sostenevano riforme democratiche ovvero di persone sospettate di essere oppositori del governo; agli arresti sono seguiti (ed in alcuni casi perdurano a tempo indeterminato) periodi di detenzione in posti segreti ed in condizioni non note e senza alcuna seria imputazione e ciò solo in quanto prigionieri di coscienza. Anche i giornalisti indipendenti e studenti risultano spesso arrestati a causa delle richieste di riforma ovvero per la diffusione di notizie sulla situazione del Paese. 

La situazione politica e sociale dell'Eritrea, segnata dal violento autoritarismo governativo, insomma, è tale da comprimere sistematicamente i principi fondamentali democratici e da avere indotto il Parlamento europeo ad intervenire nel 2002 con una risoluzione per condannare le violazioni dei diritti dell'uomo in Eritrea, in particolare nei confronti di studenti, oppositori politici e giornalisti indipendenti, chiedendo la liberazione di tutti i prigionieri politici e la revoca della messa al bando della stampa indipendente, oltre che sollecitando affinché fossero indette elezioni  legislative sotto il controllo internazionale (v. doc. 12, fasc. attore).

In tale contesto si ritengono sussistenti i presupposti per accordare all'attore il diritto di asilo, ex art. 10, comma 3, Costituzione, nello Stato italiano.  

Con riferimento alla richieste riguardanti il rilascio del permesso di soggiorno, infine, si rileva che le condizioni per provvedere in proposito sono rimesse alla competente autorità, sebbene conseguenti ed in esecuzione alla presente pronuncia.

Le spese di causa vengono poste a carico del convenuto e liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

il tribunale, definitivamente pronunciando nel contraddittorio delle parti, ogni contraria od ulteriore istanza, eccezione e deduzione disattesa, così dispone:

1) accerta e dichiara che [...] ha diritto all'asilo politico in Italia ai sensi dell'art. 10, co. 3 della Costituzione; 2) rigetta ogni altra domanda; 3) condanna il Ministero dell'interno al pagamento delle spese di lite sostenute dall'attore [...].