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Associazione per gli Studi Giuridici sull'Immigrazione
 
 
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Tribunale di Lucca, decreto del 16 dicembre 2003

 
est. Terrusi
 

Esaminato il ricorso a mezzo del quale [...], cittadino nigeriano appartenete alla tribù Hausa, di religione cristiana, ha chiesto il riconoscimento dello status di rifugiato, a seguito della reiezione, il 17 aprile 2003, di apposita istanza da parte della Commissione centrale di cui all'art.2 del d.p.r. n. 136 del 1990;

ritenuto che il presente procedimento è stato giustamente incardinato a mezzo di ricorso ex art.737 c.p.c.;

- che invero soccorre l'orientamento - che il Collegio condivide - in base al quale:

a) la qualifica di rifugiato, ai sensi della convenzione di Ginevra del 29 luglio 1951, costituisce una figura giuridica riconducibile alla categoria degli status e dei diritti soggettivi, con la conseguenza che tutti i provvedimenti assunti dai competenti organi in materia hanno solo natura dichiarativa;

b) le controversie riguardanti il riconoscimento di simile condizione hanno, dunque, rilevanza di diritto soggettivo e rientrano nella giurisdizione del giudice ordinario a seguito dell'abrogazione dell'art. 5 del d.l. n. 416 del 1989, conv. con modificazione in legge n. 39 del 1990 (così espressamente Cass. S.U. 17/12/99 n. 907 );

c) l'applicazione del procedimento camerale deriva dal fatto di essere qui rilevante una questione di giurisdizione soggettiva, senza possibilità di individuazione di controinteressati alla tutela richiesta; invero nessuno, oltre il ricorrente, si palesa titolare di un interesse autonomamente tutelato, suscettibile di risentire degli effetti propri del provvedimento; sicché codesto essenziale dato impone di ritenere il relativo procedimento come, appunto, di giurisdizione obiettiva (o volontaria), assoggettato al rito camerale ordinariamente stabilito per siffatta tipologia di giurisdizione (art.737 e ss. c.p.c.) (cfr. in tal senso App. Catania 22/03/02, edita, nonché per spunti di principio, sebbene con riguardo alla dichiarazione di apolidia, Trib. Lucca  16/12/02); il tutto ferma restando l'interlocuzione necessaria del pubblico ministero ex art. 70 n. 3 c.p.c.;

- che, rispetto al procedimento camerale, non rileva il foro erariale invocato dall'amministrazione resistente;

- che, invero, in mancanza di specifiche previsioni di competenza, relativamente al rito camerale, la giurisprudenza è ferma nel sostenere che rileva la competenza del giudice del luogo in cui ha il domicilio (o, come nella specie, la dimora) il soggetto della cui situazione giuridica si discute; e la dottrina più autorevole insegna che, in ogni caso, tanto qualora il giudice territorialmente competente per la procedura camerale sia individuato direttamente dalla legge, quanto nell'ipotesi in cui egli debba essere individuato per via di interpretazione, in base ai citati criteri tratti dalla giurisprudenza, resta inteso che la competenza per territorio, così individuata, è inderogabile ex art.28 c.p.p.;

- che la cognizione del presente procedimento è del Collegio; si osserva infatti che i procedimenti camerali sono espressamente inseriti fra quelli oggetto di riserva collegiale ex art 50 bis ult. co. c.p.c., salvo che sia diversamente disposto; laddove nessuna disposizione assume, rispetto a codesta previsione generale, specifica funzione derogatoria;

- che dunque va affrontato il merito del ricorso, con specifico riferimento all'istanza proposta in tesi, di riconoscimento, cioè, dello status di rifugiato del ricorrente [...];

- che, a giudizio del tribunale, il ricorso è meritevole di accoglimento;

- che la nozione di rifugiato è data dalla Convenzione di Ginevra del 28/7/51, cui rinvia l'art.1 co. 5 del d.l. n. 416 del 1989, conv. in legge n. 39 del 1990 (norma non abrogata dall'art. 47 del d.lgs. n. 286 del 1998) (cfr. Cass. 9/04/02 n. 5055); rifugiato, in particolare, è colui che "temendo a ragione di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza a un determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche, si trovi fuori del paese di cui è cittadino e non può o on vuole, a causa di questo timore, avvalersi della protezione di questo paese".

- che già tenendo conto della citata, ampia definizione di rifugiato, quale risultante dalla norma convenzionale, si palesa di tutta evidenza la lacunosità del provvedimento della Commissione centrale; invero, la previsione di cui all'ultimo inciso della norma convenzionale rende chiaro che, ai fini indicati, non rileva il mero fatto di non essere il ricorrente esposto a pericolo per condotte delle autorità dello Stato di origine; tant'è che ciò che identifica la situazione protetta è unicamente il fatto dell'esistenza del fondato timore di persecuzioni per motivi di razza, nazionalità, religione et similia, ancorché il perseguitato rifiuti, a cagione del timore, di avvalersi della stessa protezione delle autorità del proprio paese; il che conferma che non necessariamente la persecuzione deve avvenire ad opera delle autorità dello Stato;

- che dunque il tenore motivazionale della reiezione in sede ministeriale è manchevole (cfr., nel senso della necessità di una motivazione particolarmente incisiva della decisione della Commissione in caso di diniego, Tar Veneto 31/07/01 n. 2354;Tar Liguria 28/10/02 n.1054);

- che, di contro, reputa il Collegio di dover evidenziare:

a) che il ricorrente proviene da Kano; b) che è assolutamente notorio, finanche in base alle cronache internazionali, che negli Stati del nord della Nigeria è in atto un tentativo di introduzione della "Sharia"; c) che simile situazione ha determinato e continua a determinare condizioni di violenza fisica e psicologica a sfondo etnico-religioso, con cruenti episodi culminati in uccisioni di civili; d) che il doc. 4 di parte ricorrente costituisce adeguato elemento di suffragio di simile situazione; e) che i doc. sub n. 5 confermano le dichiarazioni del ricorrente circa il fatto di essere stato, egli, sottoposto a violenze per motivi di religione; arrestato per i medesimi motivi; ricercato dopo la fuga dal carcere nigeriano; il tutto, a seguito di scontri con esponenti del fondamentalismo islamico, cui è da correlare l'allegata uccisione dei membri della famiglia del ricorrente stesso;

- che va dato seguito all'orientamento secondo il quale l'onere dimostrativo, in simili casi, deve tener conto dell'intrinseca difficoltà del perseguitato di conservare le prove della specificità delle subite persecuzioni; cosicché si palesa sufficiente, ai limitati fini, il riscontro oggettivo di un quadro generale corrispondente alla situazione di pericolo concretamente descritta; e ciò soprattutto laddove risultino acquisite (finanche in base al notorio) inconfutabili notizie circa l'incapacità dello Stato d'origine di garantire le minimali condizioni di protezione e consequenziale sopravvivenza del cittadino;

P.Q.M.

il tribunale accoglie il ricorso e dichiara che il ricorrente [...] ha diritto al riconoscimento dello status di rifugiato di cui alla convenzione di Ginevra citata in motivazione.