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Associazione per gli Studi Giuridici sull'Immigrazione
 
 
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Corte d'Appello di Firenze, sezione prima civile, decreto del 16 novembre 2001

 
Apolide - Accertamenti relativi allo status personale dello straniero - Ricorso all'autorità giudiziaria ordinaria con rito camerale ex art. 742 bis c.p.c. - Funzione tipicamente attribuita alla pubblica amministrazione, e in alternativa al giudice nei soli casi espressamente stabiliti dalla legge.
 

La Corte d'Appello di Firenze

Sezione prima civile

composta dai Signori Magistrati:

Dott. Giovacchino Massetani Presidente

Dott. Bruno Rados Consigliere

Dott. Giulio De Simone Consigliere rel.

nel procedimento in camera di consiglio per reclamo ex art. 739 cpc iscritto al n. 215/2001 Reg. V.G., proposto da O.A.R. difeso dall'avv. Carlo Vitiello del foro di Prato, che lo rappresenta e difende per delega a margine del ricorso, avverso il decreto del Tribunale di Firenze in data 27 giugno 2001, ha pronunziato il seguente

Decreto
Con ricorso depositato il 16 maggio 2001 nella cancelleria del Tribunale di Firenze O.A.R. (nato all'Avana (Cuba) il 22 ottobre 1960), assumeva: che era espatriato il 14 maggio 1999 senza più far ritorno a Cuba; che secondo la legislazione cubana egli era considerato straniero nel suo paese d'origine, atteso che 'i cittadini cubani che viaggiano per motivi di turismo e si trattengono all'estero per oltre undici mesi sono considerati immigranti. Questo significa che nel momento in cui egli avesse desiderato visitare Cuba avrebbe dovuto chiedere un permesso d'ingresso presso il Consolato di Cuba e che il permesso avrebbe potuto essere conferito o revocato a criterio delle autorità cubane d'immigrazione. Sosteneva, ancora, che per la legge cubana il ricorrente, non facendo ritorno nel proprio Paese entro gli 11 mesi prescritti, aveva rinunziato al diritto di rientrarvi e di conseguenza aveva subito la confisca dei suoi beni; premesso, infine, che la Repubblica socialista di Cuba non riconosceva più l'istante come proprio cittadino, in quanto la Convenzione di New York del 28 settembre 1954, resa esecutiva in Italia con legge 1 febbraio 1962 n. 306, prevedeva, all'art. 1, che é apolide l'individuo che non sia considerato da nessuno Stato come proprio cittadino: 'une personne qu'aucun Etat ne considére comme son ressortissant par application de sa legislation', mentre lo Stato di residenza non lo assimila ai propri cittadini nel riconoscimento di diritti e doveri.
Aggiungeva che il riconoscimento dello status di apolidia non é necessario un provvedimento formale di privazione della cittadinanza posseduta, ma sono sufficienti atti di rifiuto degli organi nazionali ad accordare la tipica protezione spettante al cittadino. Di fatto, poichè il nostro ordinamento si conforma alle norme di diritto internazionale generalmente riconosciute, la Corte Costituzionale, con ripetute pronunzie, ha affermato che il cittadino ha diritto di risiedere ovunque nel territorio della Repubblica e senza limiti di tempo uscirne o rientrarvi, mentre lo straniero deve ottenere autorizzazioni che sono valide per un periodo di tempo in genere limitato. Dunque, rilevava, la condizione del cittadino cubano che, se si reca all'estero e vi si trattiene per oltre undici mesi può rientrare soltanto come immigrante, <<risulta incompatibile con la condizione giuridica del cittadino così come definita dalla norma internazionale generalmente riconosciuta e costituisce un unicum non rinvenibile in altri ordinamenti>>. La conferma é all'art. 3 comma 2 del protocollo 4 addizionale della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà individuali, reso esecutivo con D.P.R. 14 aprile 1982 n. 217 ('Nul ne peut etre privè du droit d'entrer sur le territoire de l'Etat dont il est le ressortissant') e all'art. 13 comma 2 della Dichiarazione Universale dei diritti dell'Uomo, adottata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948, n. 217-III ('Toute personne a le droit de quitter tout pays, y compris le sien, et de revenir dans son pays').

Per tutte queste ragioni in fatto e in diritto, l'istante concludeva chiedendo che il Tribunale di Firenze dichiarasse che egli era apolide, in coerenza con l'altra sua statuizione su un caso uguale, resa con decreto 29.1.1996 a conclusione di un procedimento camerale.

A questa istanza dava risposta negativa l'adito giudice collegiale fiorentino con decreto 27/30.6.2001, accogliendo la valutazione data dal PM.

Secondo detto Tribunale, <<gli accertamenti relativi allo status personale di un soggetto sono rimessi all'Autorità Giudiziaria Ordinaria che provvede con rito camerale, trattandosi di procedimenti genericamente predisposti per 'la materia di famiglia o di stato delle persone (art. 742 bis c.p.c.) non essendo peraltro previsto un contraddittorio, anche se tali procedimenti non sono specificamente previsti dal titolo II del libro IV del c.p.c.'; rilevato che la legge 5 febbraio 1992, n. 91>> sulla cittadinanza <<e relativo regolamento di attuazione non impongono all'interessato un preventivo ricorso al Ministero dell'Interno al fine del riconoscimento della condizione di apolide; rilevato che tale interpretazione trova conferma nella circolare n. K.60.1 con cui il Ministero ha fornito indicazione agli uffici in merito al procedimento di concessione della cittadinanza italiana ai sensi del DM 22.11.1994: difatti tra i documenti da presentarsi a corredo dell'istanza di concessione o conferimento della cittadinanza sono previsti come equivalenti 'copia autenticata del provvedimento ricognitivo dello stato di apolidia pronunciato dall'Autorità Giudiziaria Italiana ovvero copia del provvedimento ministeriale dichiarativo dell'apolidia; ritenuta di conseguenza la competenza del Tribunale civile ordinario a rendere la pronunzia richiesta ricognitiva dello status di apolide;
rilevato che deve considerarsi apolide quell'individuo che nessuno Stato in base al proprio ordinamento riconosce come proprio cittadino; rilevato che nel caso di specie non é accertata la perdita della cittadinanza cubana da parte del richiedente, il quale é in possesso di passaporto cubano, ed anzi dal documento n. 2 prodotto, rilasciato dall'ambasciata di Cuba in Italia, emerge che 'un cittadino cubano viene considerato tale a meno che non faccia formale rinuncia alla sua cittadinanza presso la sezione consolare del paese dive risiede'; rilevato che non essendo documentata una formale rinuncia nel senso predetto il ricorrente deve ritenersi cittadino cubano; ritenuto che non influisce su tale qualifica di natura pubblicistica la circostanza che il cittadino cubano che si sia trattenuto all'estero per oltre undici mesi sia considerato 'immigrante', nel senso che deve chiedere un permesso di ingresso per rientrare a Cuba, posto che la cittadinanza implica una molteplicità di diritti e doveri tra Stato e cittadino, che non si esauriscono nella facoltà (e nella modalità) di ingresso, di tal che la circostanza predetta non legittima di per sé sola il riconoscimento dello status di apolide.. di conseguenza.. non sussistono nel caso di specie i presupposti per l'emanazione del provvedimento richiesto con riferimento ai requisiti prescritti dall'art. 17 DPR 572/93 ai fini del riconoscimento dello status di apolide del ricorrente>>.
Avverso questo provvedimento l'O.A.R. ricorreva alla Corte reclamando perchè sarebbe stata fraintesa la definizione di apolide data dal testo francese della Convenzione di New York del 28.9.1954, ritenendo erroneamente traducibile col termine italiano di 'cittadino' l'espressione francese di 'ressortissant' che, invece <<designa nel linguaggio diplomatico, persona che, risiedendo in uno stato estero, gode della protezione dei rappresentanti diplomatici e consolari del proprio Stato ovvero di quella protezione dovuta al cittadino in virtù delle norme di diritto internazionale consuetudinario>>, con valenza, dunque, di carattere sostanziale, legata ai comportamenti effettivi dello Stato verso l'individuo, restando irrilevante ogni formale provvedimento di revoca della cittadinanza. Il ricorrente, che poteva ormai soltanto visitare, per un massimo di 21 giorni ed a discrezione delle autorità, il Paese di provenienza vedeva rotti i legami colla collettività originaria. Insisteva nel sottolineare l'ordinamento internazionale, ai cui principi si conforma il diritto interno dello Stato Italiano, prevede la facoltà per il cittadino di ogni Stato di entrare nel proprio Paese senza limitazioni di sorta e di non esserne allontanato per alcun motivo, a differenza di quanto avviene per lo straniero; a suffragio di ciò, produceva nutrita giurisprudenza costituzionale ed ordinaria.
Le richieste e le argomentazioni del reclamo sono state riprese dal difensore nella udienza odierna in camera di consiglio camera, ma questa Corte ritiene di non poterne esaminare il fondamento perchè esse non attengono al bisogno della tutela giudiziale (dichiarativa, costitutiva o di condanna) contro la lesione di un diritto, destinata ad esprimersi contro un responsabile della lesione colla efficacia del giudicato, secondo quello che richiede il sistema giuridico processuale; l'interesse che muove il reclamante, evidentemente, é quello di ottenere una 'certificazione' di fatti che lo riguardano (e che pur possono giustificare sue pretese giuridiche da proporre verso un numero indeterminato di soggetti o enti ma fuori dal processo avviato perchè a questo sono rimasti estranei).
Egli, in buona sostanza, assume che il giudice possa e debba concedere quello che invece, e non a caso, l'art. 17 del DPR 12.10.1993 n. 572 (Regolamento di esecuzione della legge 5.2.1992 n. 91, recante nuove norme sulla cittadinanza) affida alla valutazione di un organo amministrativo assunta in via discrezionale e senza contraddittorio, così disponendo:

<< Certificazione della condizione d'apolidia.
Il Ministero dell'interno può certificare la condizione di apolidia, su istanza dell'interessato corredata della seguente documentazione: a) atto di nascita; b) documentazione relativa alla residenza in Italia; c) ogni documento idoneo a dimostrare lo stato di apolide.
La facoltà del Ministero dell'interno di richiedere, a seconda dei casi, altri documenti>>.

Allo stesso modo, non si può chiedere al giudice il certificato di nascita, né quello di cittadinanza, né quello di matrimonio, né quello di stato libero, né quello di morte.

Che questi fatti siano parte frequente di fattispecie costitutive (o estintive o modificative) di rapporti giuridici (o anche di molteplici e tra loro strettamente collegati, tanto da far parlare di Status) tutelabili davanti al giudice non comporta che possano e debbano essere accertati con provvedimento giudiziale autonomo in funzione certificativa indifferenziata.

L'art. 24 della Costituzione stabilisce che tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti (e interessi legittimi); l'art. 102 della Costituzione precisa che la funzione giurisdizionale é esercitata da magistrati ordinari e l'art. 2907 cod. civ. conferma che alla tutela giurisdizionale dei diritti provvede l'autorità giudiziaria su domanda di parte, (e solo se la legge lo dispone, anche su istanza del pubblico ministero o d'ufficio); l'art. 2909 cod. civ. pone come punto decisivo che l'accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato fa stato a ogni effetto tra le parti, i loro eredi o aventi causa, e non già nei confronti di chiunque si voglia; l'art. 100 del cod. proc. civ. condiziona la valida proposizione di una domanda colla quale far valere un diritto al giudice, alla esistenza di un interesse ad ottenere il suo intervento di tutela; l'art. 101 cod. proc. civ. prevede che vi sia una parte contro cui si propone la domanda al giudice (quella cui si potrà opporre il giudicato finale) e che ad essa sia data la possibili di resistere nello stesso processo.

A queste condizioni, non occorre che la legge preveda espressamente la domanda che si intende rivolgere al giudice per esercitare il proprio diritto sostanziale, e la sua tutela può avere anche carattere puramente dichiarativo o di accertamento (cfr. Cassazione civile, sez. II, 5 marzo 2001, n. 3157: <<L'interesse ad agire con l'azione di mero accertamento, sussiste ogni qualvolta ricorra una situazione pregiudizievole di incertezza relativa a diritti o rapporti giuridici che non sia eliminabile senza l'intervento del giudice così conseguendo un risultato utile e giuridicamente apprezzabile.>>.).
La statuizione giudiziale di esistenza o di inesistenza di un fatto dovrebbe violare il principio di efficacia del giudicato nei confronti di coloro che sono stati parti del processo e, perciò, hanno potuto esercitare il loro diritto di difesa.

Solo eccezionalmente la domanda può avere ad oggetto non già un diritto o rapporto giuridico bensì un fatto; ma la legge deve renderlo possibile in maniera sicura (come avviene per la querela di falso di un documento: artt. 221-227 cod. proc. civ.).

Posti questi chiarimenti la Corte conferma l'impossibilità di riconoscere nella pretesa del reclamante O.A.R. una valida domanda di tutela giurisdizionale: perchè con essa il ricorrente non fa valere la violazione di un rapporto giuridico imputabile ad altri soggetti, e la conseguente necessità di fare intervenire il giudice per ottenere la dovuta tutela di un suo diritto attraverso una pronuncia che, in quanto suscettibile di passare in giudicato, non ha equivalenti sostituibili.

Questa inammissibilità non potrebbe essere superata attraverso l'assunto che con essa si mira ad un provvedimento di volontaria giurisdizione, nel cui ambito, eccezionalmente, il giudice viene chiamato a soddisfare direttamente l'interesse del postulante, senza che vi sia stata lesione di rapporti giuridici da parte di alcuno: funzione tipicamente attribuita alla pubblica amministrazione, e che il giudice svolge in alternativa (esclusiva di potestà amministrative o private) ma solo per i casi espressamente stabiliti dalla legge.

Del tutto errata é, infatti, la lettura data all'art. 742 bis del cod. proc. civ. come se contenesse un affidamento generale al giudice di ogni interesse comunque relativo alla <<materia di famiglia o di stato delle persone>>, indipendentemente dai presupposti generali di cui si é detto e da trattare nelle forme della camera di consiglio tipiche della volontaria giurisdizione: con tutta evidenza, infatti, la norma si limita a rendere applicabili le disposizioni del capo sesto del titolo secondo del libro quarto del codice di procedura civile a tutti i casi in cui la legge prevede espressamente il ricorso alla camera di consiglio del giudice, senza esaurire nei dettagli il suo svolgimento: <<Le disposizioni del presente capo si applicano a tutti i procedimenti in camera di consiglio, ancorché non regolati dai capi precedenti o che non riguardino materia di famiglia o di stato delle persone>>.
Il reclamo deve essere rigettato, dunque, sia pure per motivi diversi da quelli ritenuti dal Tribunale di Firenze.

P.Q.M.

la Corte respinge il reclamo proposto da O.A.R. avverso il decreto di rigetto pronunciato nei suoi confronti dal Tribunale di Firenze in data 27/30.6.2001

Firenze, 16 novembre 2001

Il Presidente G.Massetani